Niccolò Machiavelli
Le milizie mercenarie
(Il principe, XII)
Nei capp. XII-XIV l'autore affronta lo spinoso problema delle milizie che devono difendere lo Stato, distinguendo tra quelle civili (formate cioè da cittadini che combattono per la propria patria) e quelle mercenarie cui si ricorreva ampiamente nell'Italia dei secc. XV-XVI, specie da parte dei signori delle regioni del Nord: Machiavelli non ha dubbi nel condannare le truppe prezzolate e i loro capitani in quanto poco motivati a difendere lo Stato che li ha assoldati, attribuendo tra l'altro al loro utilizzo la gran parte delle traversie militari subite dall'Italia alla fine del Quattrocento e l'origine della crisi e del declino del nostro Paese per le invasioni dei popoli stranieri. La visione dello scrittore è tuttavia molto semplicistica e adatta forse all'analisi degli Stati piccoli come quello di Firenze, la realtà che conosceva più direttamente, e meno alle nazioni più grandi come la Francia o la Germania.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli
► OPERA: Il principe
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli
► OPERA: Il principe
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CAPITOLO XII
Quot sint genera militiae et de mercennariis militibus. [1] Avendo discorso particularmente tutte le qualità di quelli principati de’ quali nel principio proposi di ragionare [2], e considerato, in qualche parte, le cagioni del bene e del male essere loro, e mostro [3] e’ modi con li quali molti hanno cerco di acquistarli e tenerli, mi resta ora a discorrere generalmente le offese e difese che in ciascuno de’ prenominati possono accadere. Noi abbiamo detto di sopra come a uno principe è necessario avere e’ sua fondamenti buoni; altrimenti, di necessità, conviene che ruini. E' principali fondamenti che abbino tutti li stati, così nuovi come vecchi o misti, sono le buone legge e le buone arme [4]: e perché non può essere buone legge dove non sono buone arme, e dove sono buone arme conviene sieno buone legge, io lascerò indrieto el ragionare delle legge e parlerò delle arme. Dico, adunque, che l’arme con le quali uno principe defende il suo stato, o le sono proprie o le sono mercenarie, o ausiliarie, o miste. Le mercenarie e ausiliarie sono inutile e periculose: e se uno tiene lo stato suo fondato in sulle arme mercenarie, non starà mai fermo né sicuro; perché le sono disunite, ambiziose, sanza disciplina, infedele; gagliarde fra gli amici; fra e’ nimici, vile; non timore di Dio, non fede con gli uomini [5]; e tanto si differisce la ruina quanto si differisce lo assalto; e nella pace se’ spogliato da loro, nella guerra da’ nimici. La cagione di questo è che le non hanno altro amore né altra cagione che le tenga in campo, che uno poco di stipendio, il quale non è sufficiente a fare che voglino morire per te. Vogliono bene essere tuoi soldati mentre che tu non fai guerra; ma, come la guerra viene, o fuggirsi o andarsene. [6] La qual cosa doverrei durare poca fatica a persuadere, perché ora la ruina di Italia non è causata da altro che per essere in spazio di molti anni riposatasi in sulle arme mercenarie. Le quali feciono già per alcuno qualche progresso, e parevano gagliarde infra loro; ma, come venne el forestiero, le mostrorono quello che elle erano; onde che a Carlo re di Francia fu licito pigliare la Italia col gesso. [7] E chi diceva come e’ n’erano cagione e’ peccati nostri, diceva il vero; ma non erano già quelli che credeva, ma questi che io ho narrati: e perché elli erano peccati de’ principi, ne hanno patito la pena ancora loro. Io voglio dimostrare meglio la infelicità di queste arme. È capitani mercenarii, o e’ sono uomini nelle armi eccellenti, o no: se sono, non te ne puoi fidare, perché sempre aspireranno alla grandezza propria, o con lo opprimere te che li se’ patrone, o con lo opprimere altri fuora della tua intenzione; ma, se non è il capitano virtuoso e’ ti rovina per l’ordinario. [8] E se si responde che qualunque arà le arme in mano farà questo, o mercenario o no, replicherei come le arme hanno ad essere operate o da uno principe o da una republica: el principe debbe andare in persona, e fare lui l’offizio del capitano; la republica ha a mandare sua cittadini; e quando ne manda uno che non riesca valente uomo, debbe cambiarlo; e quando sia, tenerlo con le leggi, che non passi el segno. E per esperienzia si vede a’ principi soli e republiche armate fare progressi grandissimi, e alle arme mercenarie non fare mai se non danno; e con più difficultà viene alla obedienzia di uno suo cittadino una republica armata di arme proprie, che una armata di armi esterne. [9] Stettono Roma e Sparta molti secoli armate e libere. E' Svizzeri sono armatissimi e liberissimi. Delle armi mercenarie antiche in exemplis [10] sono e’ Cartaginesi; li quali furono per essere oppressi da’ loro soldati mercenarii, finita la prima guerra con li Romani, ancora che [11] e’ Cartaginesi avessino, per capi, loro proprii cittadini. Filippo Macedone fu fatto da’ Tebani, dopo la morte di Epaminunda, capitano delle loro genti; e tolse loro, dopo la vittoria la libertà. E' Milanesi, morto il duca Filippo, soldorono Francesco Sforza [12] contro a’ Viniziani; il quale, superati gli inimici a Caravaggio, si congiunse con loro per opprimere e’ Milanesi suoi patroni. Sforza, suo padre [13], sendo soldato della regina Giovanna di Napoli, la lasciò in un tratto disarmata; onde lei, per non perdere el regno, fu costretta gittarsi in grembo al re di Aragona. E se Viniziani e Fiorentini hanno per lo adrieto cresciuto lo imperio loro con queste armi, e li loro capitani non se ne sono però fatti principi ma li hanno difesi, respondo che e’ Fiorentini in questo caso sono suti favoriti dalla sorte; perché de’ capitani virtuosi, de’ quali potevano temere, alcuni non hanno vinto, alcuni hanno avuto opposizione, altri hanno volto la ambizione loro altrove. Quello che non vinse fu Giovanni Aucut [14], del quale, non vincendo, non si poteva conoscere la fede; ma ognuno confesserà che, vincendo, stavano e’ Fiorentini a sua discrezione. [15] [...] |
[1] Quanti siano i tipi di esercito e le milizie mercenarie. [2] Nei capp. II-XI del trattato. [3] Mostrato. [4] Per "arme" si intendono le milizie, gli eserciti. [5] Non hanno fedeltà, non sono fedeli. [6] Non appena scoppia la guerra, vogliono fuggire o andar via. [7] Il riferimento è a Carlo VIII re di Francia, che nel 1494 invase l'Italia e la conquistò facilmente ("col gesso"perché così venivano segnate le case requisite per alloggiare le soldatesche). [8] Se il capitano non è un buon comandante, subirà sempre sconfitte. [9] Una repubblica dotata di armi proprie difficilmente viene asservita da un tiranno, rispetto a quelle con milizie mercenarie. [10] Per fare un esempio. [11] Benché. [12] Assoldarono Francesco Sforza (1401-1466), uno dei più celebri capitani di ventura del XV sec. [13] Muzio Attendolo, padre naturale di Francesco Sforza. [14] John Hawkwood (1320-1394) fu un condottiero inglese al servizio di Firenze. [15] Se avesse vinto, i Fiorentini sarebbero stati nelle sue mani. |
Interpretazione complessiva
- Il passo apre un "trittico" di capitoli (XII-XIV) dedicati al delicato problema della difesa militare dello Stato, che nella visione dell'autore è cruciale per il mantenimento della struttura politica e per assicurare "buone legge" al popolo amministrato dal sovrano: Machiavelli distingue in modo analitico tra i vari tipi di "milizie" e conclude che quelle mercenarie sono poco efficaci, in quanto i soldati prezzolati sono poco motivati a combattere per uno Stato che non è il loro e si rivelano perciò una rovina in caso di guerra, essendo facilmente pronti alla fuga o alla resa. Molto meglio se gli eserciti sono composti da cittadini che difendono la loro patria (le milizie "cittadine", come le chiama lo scrittore) e l'esempio storico più immediato a questo riguardo è l'antica Roma, dove appunto l'esercito era formato da contadini-soldati grazie ai quali i Romani ottennero grandiose conquiste in tutto il mondo. Il problema delle soldatesche mercenarie e del danno che esse procuravano all'Italia era già stato affrontato da Petrarca nella canzone 128 del Canzoniere (► TESTO: Italia mia, benché 'l parlar sia indarno), in cui l'uso di queste milizie era deplorato in parte per gli stessi motivi e, soprattutto, in quanto la presenza di guerrieri germanici sul suolo italico era fonte di disordini e impediva il mantenimento della pace tra gli Stati.
- Machiavelli condanna non solo il ricorso alle soldatesche mercenarie ma anche ai capitani di ventura, sia nel caso in cui non siano militarmente abili (poiché causano sconfitte al signore o alla repubbliche da cui dipendono), sia nel caso in cui siano capaci, perché portati a nutrire ambizioni personali e a cercare di prendere il potere a danno del loro padrone: anche rispetto a questo il modello proposto è quello dell'antica Roma, in cui il comando dell'esercito era affidato ai consoli che, essendo cittadini dello Stato, erano degni di fiducia e controllabili, mentre nei moderni principati l'autore propone che siano gli stessi signori a guidare l'esercito in battaglia, anziché dare il comando a un capitano esterno col rischio di venire sopraffatti da lui. L'analisi di Machiavelli non è del tutto irrealistica ma pecca forse di superficialità, in quanto l'esercito poteva essere guidato da cittadini nella Roma repubblicana (che era una piccola città e combatteva guerre su fronti limitati, specie nel periodo arcaico che lo scrittore ha bene in mente), mentre la guida militare affidata al principe è praticabile in età moderna per una realtà cittadina e geograficamente modesta come Firenze, ma diventa improponibile per uno Stato moderno e complesso come la Francia o la Germania, che pure Machiavelli conosceva direttamente per esservi stato. Tale visione limitata traspare anche nei dialoghi Dell'arte della guerra, in cui lo scrittore affronta in modo più compiuto il complesso tema della difesa dello Stato e giunge a conclusioni non sempre plausibili sul piano strettamente militare (► SCHEDA: Armi da fuoco e cavalleria).
- Nella seconda parte del passo l'autore argomenta le sue tesi con esempi tratti dal mondo antico e moderno, soprattutto citando casi in cui l'utilizzo di milizie e, soprattutto, di capitani mercenari si è rivelato infausto: gli esempi più noti in tal senso sono Francesco Sforza, il capitano di ventura che fu assoldato dai Milanesi contro Venezia e riportò la vittoria di Caravaggio (1448), mentre in seguito (1450) assediò Milano e ottenne il titolo ducale a danno dei Visconti per cui aveva lavorato; già il padre, Muzio Attendolo, era stato al servizio della regina di Napoli Giovanna II e con la sua condotta ambigua l'aveva spinta a nominare suo erede Alfonso V d'Aragona, causando di fatto la fine del dominio angioino sull'Italia meridionale. Interessante anche il caso di John Hawkwood, condottiero inglese al servizio di Firenze che non riportò vittorie significative, nel qual caso secondo l'autore avrebbe certamente imposto il suo potere sulla città. Il tema dei capitani di ventura è stato affrontato anche dal cinema moderno e in particolare nel film Il mestiere delle armi di E. Olmi, dedicato alla vita di Giovanni dalle Bande Nere (► CINEMA: Il mestiere delle armi).