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Luigi Pulci


Il tegame di Roncisvalle
(Morgante, XXVII, 53-57)

Il passo è tratto dal cantare XXVII del "Morgante", in cui è descritta la battaglia di Roncisvalle in cui la retroguardia dell'esercito franco, comandata da Orlando, è caduta in un'imboscata dei Mori a causa del tradimento di Gano: Orlando è caduto combattendo strenuamente e solo in punto di morte ha suonato il corno, chiamando i rinforzi che giungono poco dopo annientando le forze saracene. Le ottave riportate descrivono proprio il culmine dello scontro, con i guerrieri arabi che muoiono a migliaia e vengono ingoiati dalle bocche spalancate di Lucifero all'Inferno, mentre il campo di battaglia è paragonato a un immenso "tegame" in cui ribolle il sangue e dove i resti umani sono immersi come pezzi di carne in un orrendo intingolo.

► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Luigi Pulci


53
Credo ch’egli era più bello a vedere
certo gli abissi il dì, che Runcisvalle:
ch’e’ saracin cadevon come pere
e Squarciaferro gli portava a balle;
tanto che tutte l’infernal bufere
occupan questi, ogni roccia, ogni calle
e le bolge e gli spaldi e le meschite,
e tutta in festa è la città di Dite.

54
Lucifero avea aperte tante bocche
che pareva quel giorno i corbacchini
alla imbeccata, e trangugiava a ciocche
l’anime che piovean de’ saracini,
che par che neve monachina fiocche
come cade la manna a’ pesciolini:
non domandar se raccoglieva i bioccoli
e se ne fece gozzi d’anitroccoli!

55
E’ si faceva tante chiarentane
che ciò ch’io dico è disopra una zacchera,
e non dura la festa mademane,
crai e poscrai e poscrigno e posquacchera,
come spesso alla vigna le romane;
e chi sonava tamburo, e chi nacchera,
baldosa e cicutrenna e zufoletti,
e tutti affusolati gli scambietti.

56
E Runcisvalle pareva un tegame
dove fussi di sangue un gran mortito,
di capi e di peducci e d’altro ossame
un certo guazzabuglio ribollito,
che pareva d’inferno il bulicame
che innanzi a Nesso non fusse sparito;
e ’l vento par certi sprazzi avviluppi
di sangue in aria con nodi e con gruppi.

57
La battaglia era tutta paonazza,
sì che il Mar Rosso pareva in travaglio,
ch’ognun per parer vivo si diguazza:
e’ si poteva gittar lo scandaglio
per tutto, in modo nel sangue si guazza,
e poi guardar come e’ suol l’ammiraglio
ovver nocchier se cognosce la sonda,
ché della valle trabocca ogni sponda.


Quel giorno era meglio vedere gli abissi dell'inferno, piuttosto che Roncisvalle: infatti i saraceni cadevano come pere e il demonio Squarciaferro li portava a mucchi, tanto che questi [i Saraceni] occupano tutte le bufere dell'inferno, ogni roccia, ogni sentiero, le bolge, gli spalti e le moschee, e la città di Dite è tutta in festa.




Lucifero quel giorno aveva aperto le sue bocche e ricordava i piccoli corvi imbeccati nel nido, e trangugiava a mucchi le anime dei saraceni che piovevano [all'inferno], così che pare che cada neve scura [monachina, del colore del saio dei monaci] come quando cade la manna [insetti che sfiorano l'acqua] ai pesciolini: non chiedere, lettore, se Lucifero ingoiava i fiocchi [le anime dei Mori] e se fece una scorpacciata come gli anatroccoli
.




Vi si facevano tanti b
alli
che, al confronto, ciò che ho appena detto è una cosa da nulla, e la festa non dura stamattina, domani, dopodomani, il giorno dopo e quello dopo ancora, come spesso nelle feste dei Romani per la vendemmia [la festa dura in eterno]; e chi suonava il tamburo, chi le nacchere, chi la baldosa [strumento a corda] e la zampogna e lo zufolo, e i passi di danza erano tutti rapidi e leggeri.



E Roncisvalle sembrava un tegame con dentro uno spezzatino di sangue, un ribollimento confuso di teste, piedi e altre ossa, così che sembrava il fiume di sangue dell'inferno che, però, non diminuiva di fronte al centauro Nesso [il Flegetonte dell'Inferno dantesco diminuiva di livello a seconda della gravità dei peccati, questo aumenta]; e sembra che il vento faccia ruotare in aria certi spruzzi di sangue con vortici e mulinelli.




Il campo di battaglia era tutto rossastro, così da sembrare il Mar Rosso
in tempesta e ognuno per sembrare vivo ci sguazzava: ci si poteva gettare lo scandaglio dappertutto, a tal punto ci si dibatteva nel sangue, e poi guardare come fa di solito l'ammiraglio o il timoniere, se sa usare la sonda, poiché ogni sponda di quel luogo [Roncisvalle] trabocca di sangue [il sangue è così profondo che per trovare la terra occorre usare uno scandaglio].


Interpretazione complessiva

  • Il testo riprende un tema assai diffuso nell'epica medievale francese e in particolare nella Chanson de Roland, al centro della quale vi è proprio la morte eroica del paladino franco nella battaglia di Roncisvalle (► TESTO: La morte di Orlando), anche se qui Pulci trasforma la scena in uno spettacolo grottesco dominato da immagini paradossali, da Lucifero che apre le fauci per inghiottire i saraceni morti al campo di battaglia trasformato in un orrendo tegame di sangue. Le immagini culinarie nella rappresentazione dell'inferno non sono del tutto nuove, poiché già in Giacomino da Verona se ne ha un esempio nella descrizione di Belzebù che arrostisce un dannato come  pasto succulento da servire proprio a Lucifero (► TESTO: I tormenti infernali).
  • La lingua presenta diversi termini gergali e ricercati, quali ad esempio neve monachina (scura come il saio dei monaci, con riferimento alla pelle nera dei saraceni), chiarentane (danze in tondo originarie della Carinzia), mademane (domattina, voce meridionale), crai e poscrai (domani e dopodomani, latinismi), poscrigno (il giorno dopo ancora, meridionalismo), posquacchera (neologismo di Pulci, per la rima difficile con zacchera), cicutrenna (zampogna). Lo sperimentalismo linguistico dell'autore, già visto in altri brani del poema, qui giunge al culmine in una sorta di crescendo verbale, che rende ancor più paradossale la scena già di per sé stravolta.
  • Non sono pochi i riferimenti dotti nella descrizione dell'Oltretomba, specie (com'era ovvio) all'Inferno dantesco: sono citate le "bolge" e la "città di Dite" (le "meschite" sono le guglie di stile arabeggiante di Inf., VIII, 70) e Lucifero spalanca le sue molte bocche proprio come quello dantesco aveva tre facce; il "bulicame" è il Flegetonte del settimo cerchio dell'Inferno (canto XII), che Dante attraversa in groppa al centauro Nesso. La stessa immagine del "tegame" in cui ribolle il sangue con dentro "capi", "peducci" (propriamente le zampe di un animale) e "altro ossame" ricorda la pena dei barattieri della quinta bolgia, immersi nella pece bollente come pezzi di carne in una "caldaia" (Inf., XXI, 55-57).


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