Francesco Guicciardini (Firenze, 1483 - Arcetri, 1540) è stato insieme a Niccolò Machiavelli il principale scrittore politico e storiografo del Rinascimento, nonché diplomatico e apprezzato consigliere di papi. Amico dell'autore del Principe e spesso con lui in polemica, ha espresso nelle sue opere una diversa e più pragmatica visione politica, scegliendo nei Ricordi la forma frammentaria di una raccolta di massime e pensieri, lontana dal trattato cinquecentesco. Come storico ha fondato in certo qual modo la storiografia moderna, attenta a esprimere contenuti oggettivi e fondati su documenti d'archivio, benché non immune dal fascino delle opere del passato. La sua opera è stata rivalutata positivamente soprattutto dalla critica più recente.
Biografia
Gli studi e la prima attività politica
Francesco Guicciardini nacque a Firenze il 6 marzo 1483, membro di una importante famiglia borghese impegnata nell'attività politica della città: ebbe una prima educazione umanistica, affidata a precettori privati, poi intraprese gli studi giuridici, dapprima allo Studio fiorentino e poi a Ferrara e a Padova, città dove rimase sino al 1505 e dove conseguì il titolo di dottore in legge. Tale formazione giuridica ebbe grande importanza sia nella sua produzione letteraria, cui iniziò presto a dedicarsi, sia nell'attività politica, in cui si impegnò al suo rientro a Firenze ottenendo la nomina ad ambasciatore presso il re di Spagna (1511). Guicciardini rimase nel Paese iberico sino al 1514, mentre nel frattempo a Firenze la Repubblica era stata rovesciata ed erano tornati i Medici (1512); rientrato in Italia, egli fu bene accolto dai nuovi signori della città per via degli ottimi rapporti che avevano con la sua famiglia e ottenne da loro alcuni incarichi politici nel governo cittadino. Guicciardini, che aveva lavorato per la Repubblica e che preferiva il regime repubblicano a quello sostanzialmente monarchico imposto dai Medici, fu comunque fedele servitore dei nuovi padroni di Firenze e scrisse nel 1516 un'operetta intitolata Del modo di assicurare lo Stato ai Medici, in cui consigliava ai signori fiorentini di usare anche la forza per mantenere il potere sulla città (mostrando quindi una certa vicinanza alle idee espresse da Machiavelli nel Principe pochi anni prima; ► AUTORE: Niccolò Machiavelli). Guicciardini conobbe l'ex-segretario fiorentino che era stato, diversamente da lui, allontanato dal governo della città e divenne suo amico, anche se su molte questioni i due avranno opinioni contrastanti (sul punto si veda oltre).
Al servizio dei papi: Leone X e Clemente VII
Nel 1516 Guicciardini passò la servizio del cardinale Giovanni de' Medici, nel frattempo divenuto papa col nome di Leone X: ottenne anzitutto il governatorato di Modena, che faceva parte dei domini della Chiesa, poi nel 1521 fu nominato commissario generale dell'esercito pontificio, nell'ambito della guerra che in quel momento il papa intendeva condurre contro i Francesi. Guicciardini affiancò dunque all'attività politica e diplomatica anche quella militare, di cui si ha un riflesso in alcuni suoi scritti, e tale esperienza gli consentì di maturare alcune considerazioni sul modo di organizzare le soldatesche che lo fecero dissentire da quanto affermato da Machiavelli nelle sue opere (sul punto si veda oltre). Guicciardini difese con successo Parma dall'assedio delle truppe francesi e quando nel 1523 divenne papa Giulio de' Medici, col nome di Clemente VII, se ne rallegrò sperando di ottenere nuovi incarichi; fu in effetti poi nominato governatore della Romagna, mentre nel 1526 si trasferì a Roma dove divenne consigliere del papa. In seguito alla conclusione della Lega di Cognac, di cui lui era stato appassionato promotore, Guicciardini diventò luogotenente dell'esercito pontificio e prese parte ad alcune operazioni militari contro le truppe imperiali, anche se la situazione precipitò e, anche in seguito alla drammatica uccisione del capitano Giovanni de' Medici (più noto come Giovanni dalle Bande Nere), i lanzichenecchi giunsero a saccheggiare Roma nel 1527. Tra le ripercussioni di tali fatti ci fu la cacciata dei Medici da Firenze e il momentaneo ritorno della Repubblica, che accusò Guicciardini di concussione e lo processò in contumacia (l'accusa era probabilmente pretestuosa e frutto del risentimento per il suo servizio ai Medici); in ogni caso l'uomo politico preferì ritirarsi a vita privata in una sua residenza di campagna, dove si dedicò alla produzione letteraria (specie dei Ricordi) e dove rimase sino al 1530, quando a Firenze tornarono i Medici.
Gli ultimi anni
Dopo il rientro dei Medici a Firenze, nel 1530, Guicciardini fu inviato dal papa Clemente VII a "riformarla" ed egli assunse alcuni importanti incarichi politici, avvicinandosi al nuovo duca Alessandro: il suo compito era di riportare l'ordine in città dopo il periodo repubblicano e Guicciardini vi si dedicò con particolare zelo, comminando pesanti condanne e guadagnandosi l'odio di molti concittadini, che lo soprannominarono "Ser Cerrettieri" (da Cerrettieri Visdomini, l'antico aguzzino del duca d'Atene nel XIV sec.). Ottenne in seguito dal papa il governo di Bologna e continuò il suo servizio a Clemente VII sino al 1534, quando il pontefice morì; il successore Paolo III tolse a Guicciardini il governo di Bologna ed egli tornò a Firenze, dove fu tra i più stretti collaboratori del duca Alessandro. Quando il duca venne assassinato (5 gennaio 1537) Guicciardini venne emarginato dal governo cittadino, al punto che si ritirò dalla vita pubblica e riparò in sua villa ad Arcetri, dove si dedicò alla stesura di alcune opere (specie la Storia d'Italia), anche se conservava alcune magistrature cittadine prive di reale importanza. Ad Arcetri il Guicciardini morì il 22 maggio 1540, venendo poi seppellito nella tomba di famiglia, ai piedi dell'altare maggiore della chiesa di S. Felicita.
La visione del mondo e della politica
Guicciardini fu soprattutto un uomo politico impegnato nel governo dello Stato, per il quale l'attività letteraria rivestì un carattere occasionale e fu un momento di riflessione a posteriori: ne è una prova il fatto che egli non pubblicò mentre era in vita nessuna delle sue opere principali e specialmente i Ricordi furono concepiti come una raccolta di massime sentenziose, come le considerazioni finali sulla sua precedente esperienza di vita (il testo venne del resto più volte rimaneggiato). In ciò sta la principale differenza rispetto all'amico Machiavelli, poiché l'ex-segretario scriveva le sue opere nel tentativo di influire direttamente sul governo di Firenze (soprattutto con il Principe, che dedicò ai Medici come una sorta di manuale di istruzioni per monarchi), mentre Guicciardini, che pure nutre un maggiore ottimismo sulla natura umana e non condivide il crudo realismo politico del suo concittadino, tuttavia appare più disincantato e meno fiducioso nella possibilità di opporsi con l'azione di governo alla travolgente azione della fortuna. Guicciardini teorizza nella sua riflessione soprattutto due concetti, ovvero la "discrezione" (la capacità dell'uomo politico di sapersi adattare alle diverse circostanze della vita, senza confidare in massime generali) e il "particulare" (l'insieme degli interessi privati e personali che guidano le azioni di ciascuno, incluso l'autore che in nome di esso è stato al servizio dei papi pur detestando la corruzione della Chiesa). Questa particolare visione dell'esistenza e della prassi politica emerge specialmente nei Ricordi e segna la grande distanza tra lui e Machiavelli, poiché Guicciardini ritiene illusorio fissare delle regole di validità universale che possano guidare l'azione di governo e, in particolare, non condivide l'abitudine del suo amico a proporre modelli cui ispirarsi, men che meno quelli dell'antica Roma che secondo lui sono del tutto impraticabili nella realtà contemporanea (sul punto si veda oltre). Va detto che questo carattere disincantato e incline al pessimismo di Guicciardini è stato oggetto di critiche da parte degli intellettuali moderni, che spesso gli hanno preferito un Machiavelli più speranzoso e, talvolta, persino visionario nell'immaginare il riscatto dell'Italia dal dominio degli stranieri, anche se l'autore della Storia d'Italia sembra più realistico nell'analizzare le cause del declino della Penisola e nell'ipotizzare soluzioni, e soprattutto come storico dimostra di essere più oggettivo e lontano da ogni intento encomiastico che, invece, aveva portato Machiavelli a deformare molto spesso gli eventi (cfr. ad es. le Istorie fiorentine). Si può ricordare, infine, che entrambi hanno sostanzialmente fallito di fronte alla grave crisi scatenatasi nel 1527 e, se la morte precoce impedì a Machiavelli di riflettere sulle ragioni di quel disastro, Guicciardini ebbe invece il tempo di "metabolizzare" la sconfitta e di ciò si ha traccia nella sua opera più tarda, vale a dire le tre orazioni in cui finge di difendersi dalle accuse di non aver saputo evitare il sacco di Roma (anche su questo, si veda oltre).
I Ricordi politici e civili
È considerata l'opera principale di Guicciardini e una delle più originali del Cinquecento, se non altro per la distanza dai modelli rinascimentali che in quel periodo erano stati fissati: si tratta di una raccolta di 221 pensieri o aforismi, scritta in diversi momenti della vita dell'autore (principalmente tra 1527 e 1530, poi più volte rimaneggiata), pubblicata postuma nel 1576 col titolo non d'autore Consigli e avvertimenti in materia di repubblica e di privato e successivamente col titolo, poi diventato tradizionale, di Ricordi politici e civili. Nel testo i pensieri si succedono senza un ordine prestabilito e privi di qualsiasi divisione interna, per cui l'opera ha carattere frammentario ed è lontanissima dal modello di trattato rinascimentale in voga in quegli anni, tanto che gli studiosi moderni hanno parlato di "anti-trattato". Il genere degli aforismi, ovvero brevi massime di tono moraleggiante o di commento su aneddoti di vicende storiche o di vita vissuta, conosce altri esempi nella letteratura moderna (cfr. il dialogo Della famiglia di Leon Battista Alberti) e tuttavia Guicciardini è il primo a cimentarsi in un'opera interamente formata da massime sentenziose, non molto imitato da altri scrittori negli anni seguenti. I pensieri sono quasi tutti di relativa brevità e si possono raggruppare in diverse "aree tematiche", tra cui le principali riguardano il potere e la tirannide, il ruolo del consigliere del principe, l'importanza della "discrezione" e il potere della fortuna, la critica alla corruzione della Chiesa, l'arte della simulazione e dissimulazione, gli eserciti, varie considerazioni morali e sulla natura degli uomini. Nei Ricordi emerge più chiaramente la visione del mondo che caratterizza l'autore e in molti aforismi si vede la sua sottile polemica contro le idee di Machiavelli, senza peraltro che il suo amico e concittadino venga mai esplicitamente nominato. L'idea di fondo, piuttosto pessimistica, è che difficilmente gli uomini possano opporsi al destino e al potere della fortuna, per cui è illusorio proporre modelli o massime di validità generale, ed è preferibile affidarsi alla "discrezione" intesa come la capacità di adattarsi alle diverse circostanze, con sagacia ed esperienza del mondo (► TESTO: Discrezione e fortuna). Interessante anche la riflessione sul ruolo delicato del consigliere del sovrano, che in fondo è quello svolto dall'autore in tutta la sua vita politica, il quale ha spesso la necessità di mascherare i propri veri pensieri specie quando ha a che fare con un tiranno (tema questo che sarà spesso affrontato nel tardo Cinquecento, in rapporto all'opera dello scrittore latino Tacito; ► TESTI: I consiglieri del principe; La tirannide; Simulazione e dissimulazione). Cruda ed esplicita è poi la condanna della corruzione ecclesiastica, benché Guicciardini ammetta che per il suo "particulare" (il suo personale interesse) ha dovuto lavorare per due papi, accettando in modo ipocrita una situazione che moralmente gli ripugna, pur preferendo aderire alla Riforma luterana (► TESTO: Contro la Chiesa). Interessanti anche le osservazioni sull'ingratitudine degli uomini e sull'ambizione, che per lui è da condannare solo se conduce ad azioni delittuose (► TESTO: L'ambizione), mentre viene irrisa ogni concezione metafisica e in particolare l'astrologia, con la quale molti si illudono follemente di prevedere il futuro (► TESTO: Contro l'astrologia). Degni di nota infine i pensieri dedicati alle questioni militari, di cui Guicciardini aveva qualche competenza avendo avuto più incarichi come responsabile di eserciti, poiché in questi aforismi emerge ancora la sua distanza dalle idee di Machiavelli circa il modello delle soldatesche antiche e la considerazione dell'importanza delle artiglierie, da lui tutt'altro che sottovalutate (anzi, proprio per questo afferma che la discesa in Italia dei Francesi nel 1494 ha cambiato modo di combattere, per l'uso nuovo e dirompente delle armi da fuoco; ► TESTO: Il problema degli eserciti).
La Storia d'Italia
Scritta ad Arcetri nel 1537-1540, dopo il definitivo ritiro dalla vita politica in seguito all'assassinio del duca Alessandro de' Medici, la Storia d'Italia è un trattato storiografico in 20 libri che ricostruisce le vicende della Penisola dal 1492, anno della morte di Lorenzo il Magnifico, al 1534, anno della morte di papa Clemente VII. L'opera è considerata assieme ai Ricordi il capolavoro di Guicciardini e presenta delle interessanti novità rispetto alla tradizione storiografica dell'Umanesimo, soprattutto perché il libro è privo di qualunque intento encomiastico e l'autore si sforza dunque di essere il più possibile oggettivo, senza deformare i fatti (come invece aveva fatto Machiavelli nelle Istorie fiorentine, dedicate allo stesso Clemente VII). Di qui la scelta di concentrare la narrazione su un periodo relativamente breve e per il quale è possibile reperire fonti di prima mano e pezzi d'archivio, che rendono la ricostruzione degli avvenimenti assai precisa (in molti casi, poi, Guicciardini riferisce di fatti di cui lui stesso era stato diretto testimone o protagonista, con una certa attendibilità). L'elemento più interessante dell'opera, in ogni caso, è la coscienza che dopo il 1492 si è aperto un periodo di crisi politica e militare per l'Italia, le cui cause vengono ricondotte al quadro più ampio delle vicende storiche dell'Europa di cui l'autore ha maggiore consapevolezza, giungendo a conclusioni talvolta assai più penetranti del suo contemporaneo Machiavelli. Tutto questo fa di Guicciardini il primo vero storico moderno operante in Italia, aprendo una strada che verrà presto seguita da altri importanti scrittori del XVI-XVII sec., a cominciare da Paolo Sarpi autore della Istoria del Concilio Tridentino in cui, al pari di Guicciardini, farà ampio uso di fonti documentarie per corroborare le sue tesi. Nonostante la sua modernità, in ogni caso, Guicciardini è ancora debitore del modello storiografico classico in cui frequente era il ricorso alla tecnica del ritratto dei personaggi e del discorso, come ad es. in Sallustio o in Tacito, per cui nella Storia d'Italia non è raro trovare passi del genere che, pure, rispondono ai criteri di obiettività descritti sopra. L'opera rimase inedita sino al 1561, quando venne stampata mancante degli ultimi quattro libri, e fu ripubblicata nel 1564 per intero ma con l'eliminazione di alcuni passi giudicati "sconvenienti", specie quelli dedicati alla corruzione ecclesiastica e alle implicazioni religiose delle nuove scoperte geografiche. Tra i brani più celebri si possono ricordare il Proemio, in cui l'inizio della rovina d'Italia viene fatto coincidere con la morte del Magnifico e la discesa di Carlo VIII (► VAI AL TESTO), quello in cui si racconta la morte per avvelenamento di papa Alessandro VI Borgia (► VAI AL TESTO) e quello poi censurato sulle nuove scoperte geografiche (► VAI AL TESTO).
Le Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli
Nel 1529-1530 Guicciardini si dedicò alla composizione di un'opera di analisi e commento dei Discorsi dell'amico Machiavelli, intitolata Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli sopra la prima Deca di Tito Livio: il testo è diviso in tre libri e in ciascuno di essi l'autore prende in esame alcuni dei capitoli dell'opera originale, proponendo la sua personale visione della materia, con correzioni, integrazioni, prese di distanza più o meno nette rispetto al punto di vista dell'ex-segretario fiorentino. L'idea di fondo, già espressa in alcuni dei Ricordi, è che sia improponibile un raffronto tra il modello politico-militare dell'antica Roma e la realtà degli Stati italiani del XVI sec., per le enormi differenze storiche che si sono determinate e, soprattutto, per la naturale diffidenza di Guicciardini verso gli "esempli" e le massime di carattere generale, dal momento che secondo lui nell'attività politica è fondamentale l'arte della "discrezione" che si acquisisce con l'esperienza e non sui libri (► TESTO: Discrezione e fortuna). In particolare Guicciardini non condivide l'idea di Machiavelli secondo la quale alla Chiesa va attribuita la colpa della frammentazione politica dell'Italia, a paragone con la religione utilitaristica degli antichi Romani, dal momento che per lui, anzi, la divisione in tante "repubbliche" ha consentito un florido sviluppo delle città che non vi sarebbe stato sotto un unico dominio, come durante l'Impero romano. A questo proposito viene ribaltato il giudizio di Machiavelli sui primi re di Roma, dal momento che per Guicciardini se Numa Pompilio (leggendario fondatore dei riti religiosi dell'antica città) fosse stato il primo monarca, i Romani ben difficilmente avrebbero potuto compiere le conquiste territoriali avvenute invece sotto Romolo, per cui è evidente che la religione quale instrumentum regni non è per l'autore un elemento sufficiente alla creazione di uno Stato solido e duraturo. Va ricordato che per Guicciardini la storia non riveste un carattere esemplare e non va intesa classicamente come magistra vitae, per cui è errato e pericoloso trarre da essa modelli di comportamento da applicare nel presente, data la natura caotica ed estremamente frammentaria della politica moderna a paragone della realtà più semplice del mondo antico.
Le opere minori
Al periodo 1508-1509 risalgono le Storie fiorentine, trattato in 31 capitoli che ricostruisce la storia della città dal 1378 (anno del tumulto dei Ciompi) sino al 1509 (anno della battaglia di Agnadello), anche se il periodo sino al 1494 è riassunto in modo alquanto sommario e maggiore approfondimento è dedicato agli anni della Repubblica fiorentina di Savonarola e poi del gonfaloniere perpetuo Pier Soderini. L'opera, che a differenza dello scritto omonimo di Machiavelli non ha alcun intento encomiastico, è incentrata sullo scontro tra i "savi" membri dell'oligarchia patrizia di Firenze e il "popolo", verso cui Guicciardini ostenta un certo disprezzo, e l'orientamento sembra essere favorevole proprio a un governo di tipo oligarchico contrario a quello di Soderini, il giudizio sul quale è decisamente negativo (l'autore era comunque funzionario della Repubblica, anche se di lì a poco sarebbe stato ambasciatore in Spagna e in seguito si sarebbe avvicinato ai Medici tornati nel 1512 in città).
Altrettanto interessante il Dialogo del Reggimento di Firenze, composto nel 1521-25 in due libri e contenente un'analisi politica delle diverse forme di governo esistenti (monarchia, oligarchia, regime popolare), per concludere che quella migliore è la "mista" che le contempera tutte e tre e che secondo Guicciardini coincide con il principato oligarchico costituito dai Medici a Firenze (in modo simile a quando detto da Machiavelli nei Discorsi, salvo che l'ex-segretario accordava la sua preferenza al regime repubblicano). Il ragionamento è svolto in forma di dialogo, in base al modello di trattato rinascimentale diffuso nel Cinquecento, e gli interlocutori sono Piero Capponi, Paolantonio Soderini e Bernardo del Nero, tra i più cospicui cittadini di Firenze alla fine del XV sec. (il dialogo si svolge nel 1494, poco dopo la cacciata dei Medici dalla città).
Da ricordare ancora le tre orazioni scritte nel 1527 dopo il rovescio del sacco di Roma e il temporaneo ritorno della Repubblica a Firenze, in seguito al quale egli fu costretto ad allontanarsi dalla città e a ritirarsi in una sua villa presso Finocchieto: nella Consolatoria provò a riflettere sulle ragioni del fallimento della sua politica e sull'ingratitudine dei suoi concittadini, coi toni pacati della riflessione morale tipica degli autori antichi (c'è forse una vaga ispirazione ai testi di Seneca), mentre nella Accusatoria e nella Defensoria (quest'ultima incompiuta) finse di mettersi sotto accusa e di difendersi di fronte alle magistrature fiorentine per le sue responsabilità nel disastro della Lega di Cognac, di cui lui era stato acceso promotore e che aveva condotto all'evento traumatico del sacco di Roma da parte delle truppe imperiali. Mentre l'Accusatoria ha uno stile declamatorio e populista, con un immaginario accusatore che fa una requisitoria di tutte le colpe che gli possono essere attribuite, nella Defensoria lo stile è più pacato e razionale e le accuse vengono smontate una ad una, anche se è evidente che la sconfitta subita brucia all'ex-funzionario dei Medici e il "colpo" non è stato pianamente riassorbito (giova ricordare che anche Machiavelli provò lo stesso senso di frustrazione per quel disastro e ne morì forse prematuramente).
Altrettanto interessante il Dialogo del Reggimento di Firenze, composto nel 1521-25 in due libri e contenente un'analisi politica delle diverse forme di governo esistenti (monarchia, oligarchia, regime popolare), per concludere che quella migliore è la "mista" che le contempera tutte e tre e che secondo Guicciardini coincide con il principato oligarchico costituito dai Medici a Firenze (in modo simile a quando detto da Machiavelli nei Discorsi, salvo che l'ex-segretario accordava la sua preferenza al regime repubblicano). Il ragionamento è svolto in forma di dialogo, in base al modello di trattato rinascimentale diffuso nel Cinquecento, e gli interlocutori sono Piero Capponi, Paolantonio Soderini e Bernardo del Nero, tra i più cospicui cittadini di Firenze alla fine del XV sec. (il dialogo si svolge nel 1494, poco dopo la cacciata dei Medici dalla città).
Da ricordare ancora le tre orazioni scritte nel 1527 dopo il rovescio del sacco di Roma e il temporaneo ritorno della Repubblica a Firenze, in seguito al quale egli fu costretto ad allontanarsi dalla città e a ritirarsi in una sua villa presso Finocchieto: nella Consolatoria provò a riflettere sulle ragioni del fallimento della sua politica e sull'ingratitudine dei suoi concittadini, coi toni pacati della riflessione morale tipica degli autori antichi (c'è forse una vaga ispirazione ai testi di Seneca), mentre nella Accusatoria e nella Defensoria (quest'ultima incompiuta) finse di mettersi sotto accusa e di difendersi di fronte alle magistrature fiorentine per le sue responsabilità nel disastro della Lega di Cognac, di cui lui era stato acceso promotore e che aveva condotto all'evento traumatico del sacco di Roma da parte delle truppe imperiali. Mentre l'Accusatoria ha uno stile declamatorio e populista, con un immaginario accusatore che fa una requisitoria di tutte le colpe che gli possono essere attribuite, nella Defensoria lo stile è più pacato e razionale e le accuse vengono smontate una ad una, anche se è evidente che la sconfitta subita brucia all'ex-funzionario dei Medici e il "colpo" non è stato pianamente riassorbito (giova ricordare che anche Machiavelli provò lo stesso senso di frustrazione per quel disastro e ne morì forse prematuramente).
Lingua e stile
Le scelte linguistiche di Guicciardini in tutte le sue opere sono conformi a quelle dell'amico Machiavelli, poiché anch'egli rifiuta il modello proposto da Bembo e basato sul fiorentino "aureo" del XIV sec. e usa invece quello parlato nel XV-XVI sec., opzione poi non seguita dalla maggior parte degli scrittori del Cinquecento: l'autore dei Ricordi, anzi, lesse e commentò le Prose della volgar lingua e ne trasse spunti per i suoi dubbi linguistici, che tuttavia risolse a favore dell'uso corrente contro il modello "arcaizzante". Prevalgono comunque i tratti del fiorentino parlato, ad es. nelle forme del plurale ("le provisione", "le cose ragionevole"), nell'articolo determinativo maschile ("el segreto", "e prìncipi"), in alcune forme verbali ("potrebbono", "fussi"), accanto a formule latine o latineggianti proprie del linguaggio cancelleresco e presenti ampiamente anche in Machiavelli ("etiam", "verbigrazia", ecc.). Secondo gli studiosi moderni la lingua di Guicciardini subì un'evoluzione nel corso degli anni e rispetto alle opere giovanili, in cui le forme popolari e gergali sono più numerose, si passa a un linguaggio più elaborato e letterario, per cui nelle Storie fiorentine si leggono ancora espressioni quali "dare del capo nel muro" o "tenere e panni a chi voleva annegarsi", così come nei Ricordi sono normali le forme pronominali "lui", "lei", "loro" come soggetto, mentre nelle opere più tarde (Storia d'Italia, Dialogo) certe forme proprie del parlato scompaiono e vengono ridotte anche quelle latineggianti del linguaggio giuridico, prima invece più numerose. Specie nella Storia d'Italia la sintassi si fa più complessa e più simile all'architettura del periodo latino, con ampio uso di frasi infinitive che elevano di molto lo stile, sicché quest'opera in particolare viene considerata il capolavoro della maturità dell'autore e anche un bell'esempio di uso del volgare nel genere storiografico, con un'innovazione che anticipa quella compiuta più tardi da Galileo nella prosa scientifica (anche lo scienziato pisano, infatti, userà un volgare corrente per affrontare temi di grande importanza).
Fama e fortuna critica
Guicciardini non pubblicò quand'era in vita nessuna delle sue opere principali e la sua fama rimase a lungo legata all'attività politica più che a quella letteraria: nella seconda metà del XVI sec. venne data alle stampe la Storia d'Italia (1564, edizione "purgata" dei passi più controversi) e dello scrittore circolò soprattutto l'opera storiografica, che gli conservò una discreta notorietà per tutto il Seicento, secolo in cui proprio la storiografia conobbe un certo sviluppo. I Ricordi vennero pubblicati una prima volta nel 1576 a cura di Jacopo Corbinelli, esule fiorentino in Francia (fu lui anche a pubblicare il De vulgari eloquentia di Dante), e la prima vera edizione moderna è del XIX sec., che è anche il periodo in cui iniziarono studi approfonditi su un autore fino a quel momento abbastanza trascurato dalla critica. Anche allora, tuttavia, il destino di Guicciardini fu di essere sempre paragonato per contrasto a Machiavelli, l'illustre concittadino che gli faceva ombra e rispetto al quale lui aveva preso le distanze in alcune sue opere, il che limitò molto una corretta esplorazione e valutazione della sua opera che, complessivamente, è più vasta e interessante dei capolavori che di solito vengono registrati nei manuali di letteratura. In particolare, il giudizio su Guicciardini in età romantica fu generalmente non positivo e decisamente severo fu in alcune sue pagine Francesco De Sanctis, che lo definì freddo, calcolatore, privo di quella passione politica "visionaria" che invece caratterizzava l'opera di Machiavelli (il quale, per inciso, veniva non di rado frainteso con l'attribuirgli un patriottismo a lui estraneo). Bisogna attendere tempi relativamente recenti (la metà del Novecento) perché la figura dello scrittore divenga oggetto di seri studi critici, anche alla luce di nuove scoperte filologiche tra cui, molto importante, quella del suo ricchissimo epistolario (ancora in corso di pubblicazione). Tra gli studiosi che hanno dedicato lavori a Guicciardini si possono ricordare Vittorio De Caprariis, Alberto Asor Rosa, lo studioso americano Felix Gilbert e, in anni più recenti, Diego Quaglioni e Paolo Carta, questi ultimi soprattutto impegnati a indagare quanto la formazione giuridica dell'autore abbia influito sulla sua esperienza letteraria.