Dante Alighieri
«Era venuta ne la mente mia»
(Vita nuova, cap. XXXIV)
Scritto nel primo anniversario della morte di Beatrice (quindi nel 1291, secondo la cronologia stabilita da Dante stesso) questo sonetto con due diversi inizi descrive soprattutto la pena del poeta al ricordo della sua donna ora assisa nello splendore dei cieli, anche attraverso la personificazione tutta cavalcantiana dei sospiri che escono dal petto dell'autore e parlano in modo autonomo. Interessante nella prosa l'aneddoto che avrebbe dato luogo alla composizione del sonetto, ovvero l'incontro di Dante con imprecisati personaggi di riguardo mentre è intento a disegnare "uno angelo sopra certe tavolette" (testimonianza forse di una pratica artistica evocata anche in altre parti dell'opera dantesca).
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Vita nuova
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Vita nuova
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In quello giorno nel quale si compiea l’anno che questa donna era fatta de li cittadini di vita eterna [1], io mi sedea in parte ne la quale, ricordandomi di lei, disegnava uno angelo sopra certe tavolette; e mentre io lo disegnava, volsi li occhi, e vidi lungo me uomini a li quali si convenia di fare onore. E’ riguardavano quello che io facea; e secondo che me fu detto poi, elli erano stati già alquanto anzi che io me ne accorgesse. Quando li vidi, mi levai, e salutando loro dissi: "Altri [2] era testé meco, però pensava". Onde partiti costoro, ritornaimi a la mia opera, cioè del disegnare figure d’angeli: e faccendo ciò, mi venne uno pensero di dire parole, quasi per annovale [3], e scrivere a costoro li quali erano venuti a me; e dissi allora questo sonetto, lo quale comincia: Era venuta; lo quale ha due cominciamenti, e però lo dividerò secondo l’uno e secondo l’altro. Dico che secondo lo primo questo sonetto ha tre parti: ne la prima dico che questa donna era già ne la mia memoria; ne la seconda dico quello che Amore però mi facea; ne la terza dico de gli effetti d’Amore. La seconda comincia quivi: Amor, che; la terza quivi: Piangendo uscivan for. Questa parte si divide in due: ne l’una dico che tutti li miei sospiri uscivano parlando; ne la seconda dico che alquanti diceano certe parole diverse da gli altri. La seconda comincia quivi: Ma quei. Per questo medesimo modo si divide secondo l’altro cominciamento, salvo che ne la prima parte dico quando questa donna era così venuta ne la mia memoria, e ciò non dico ne l’altro.
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[1] Era trascorso un anno da quando Beatrice era salita in Paradiso.
[2] Il ricordo di Beatrice. [3] Per ricordare l'anniversario della morte di Beatrice. |
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Primo cominciamento
Era venuta ne la mente mia la gentil donna che per suo valore fu posta da l’altissimo signore nel ciel de l’umiltate, ov’è Maria. Secondo cominciamento Era venuta ne la mente mia quella donna gentil cui piange Amore, entro ’n quel punto che lo suo valore vi trasse a riguardar quel ch’eo facia. Amor, che ne la mente la sentia, s’era svegliato nel destrutto core, e diceva a’ sospiri: "Andate fore"; per che ciascun dolente si partia. Piangendo uscivan for de lo mio petto con una voce che sovente mena le lagrime dogliose a li occhi tristi. Ma quei che n’uscian for con maggior pena, venian dicendo: "Oi nobile intelletto, oggi fa l’anno che nel ciel salisti". |
La nobile donna che per la sua virtù fu posta dall'Altissimo Signore nel cielo dell'umiltà [Empireo], dove si trova Maria, era venuta nella mia mente.
Quella nobile donna che Amore rimpiange era venuta nella mia mente, proprio nel momento in cui la sua virtù vi indusse a guardare quello che stavo facendo. L'amore, che la sentiva nella mente, si era svegliato nel cuore distrutto e diceva ai sospiri: "Andate fuori"; dunque ciascuno di loro usciva dolente. Essi piangendo uscivano dal mio petto con una voce che spesso fa uscire le lacrime dagli occhi tristi. Ma quelli che uscivano con maggior pena andavano dicendo: "Oh nobile anima [di Beatrice], oggi è un anno da quando sei salita in cielo". |
Interpretazione complessiva
- Metro: entrambe le redazioni del sonetto hanno schema della rima ABBA, ABBA, CDE, DCE; la lingua non presenta particolarità di rilievo, tranne il termine "intelletto" (v. 13) che significa "anima" (designata attraverso la sua parte più nobile).
- Il capitolo celebra in modo doloroso il primo anniversario della morte di Beatrice, attraverso un sonetto che presenta curiosamente "due cominciamenti" (cioè due diverse quartine iniziali, corrispondenti a due redazioni successive) entrambi trascritti dall'autore; il primo è concentrato sulla gloria celeste di Beatrice e la colloca nell'Empireo, dove poi la mostrerà la successiva "mirabile visione", mentre il secondo descrive le circostanze che indussero Dante a scrivere la lirica, ovvero l'incontro con gli uomini mentre è intento a disegnare. Lo svolgimento che segue presenta una situazione tipicamente cavalcantiana, con la personificazione dei "sospiri" che Amore fa uscire dal petto del poeta e che esprimono il suo dolore per la perdita di Beatrice, chiarendo ulteriormente che si compie l'anno da quando la donna è salita in cielo.
- L'aneddoto raccontato nella prosa è curioso, poiché mostra Dante intento a disegnare "uno angelo sopra certe tavolette" mentre pensa a Beatrice ed è talmente preso dalla sua opera da non accorgersi che gli altri uomini si sono avvicinati e lo hanno osservato; ciò sembrerebbe avvalorare l'ipotesi che Dante avesse una certa familiarità con le arti figurative e le sue pratiche, fatto comprovato dalla perizia con cui ne parla in Purg., VIII, X (sappiamo inoltre che conobbe Oderisi da Gubbio, il miniatore protagonista di Purg., XI e che fu amico di Giotto, il grande pittore citato a sua volta nello stesso Canto).