Dante Alighieri
Paolo e Francesca
(Inferno, V, 73-142)
Tra i lussuriosi del secondo cerchio dell'Inferno Dante incontra le anime di Paolo Malatesta e Francesca da Polenta, che volano affiancate nella bufera infernale attirando la sua attenzione: Virgilio lo invita a chiamarli e i due dannati si avvicinano, raccontando la loro triste storia d'amore (lei era sposata al fratello di lui e avevano intrecciato una relazione adultera, prima di essere entrambi assassinati per mano dello sposo tradito). Attraverso la loro vicenda Dante svolge un discorso intorno alla letteratura amorosa, che può portare alla perdizione se presa alla lettera come è accaduto a Francesca, lettrice colta ed esperta di poesia cortese, mentre il poeta fiorentino si sente chiamato in causa in quanto stinovista e produttore di quella stessa letteratura che è costata ai due amanti la dannazione eterna.
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Divina Commedia
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Divina Commedia
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I’ cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ’nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggeri». Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor che i mena, ed ei verranno». Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s’altri nol niega!». Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l’aere dal voler portate; cotali uscir de la schiera ov’è Dido, a noi venendo per l’aere maligno, sì forte fu l’affettuoso grido. «O animal grazioso e benigno che visitando vai per l’aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, se fosse amico il re de l’universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c’hai pietà del nostro mal perverso. Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che ’l vento, come fa, ci tace. Siede la terra dove nata fui su la marina dove ’l Po discende per aver pace co’ seguaci sui. Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte. Quand’io intesi quell’anime offense, china’ il viso e tanto il tenni basso, fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?». Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!». Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio. Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, a che e come concedette Amore che conosceste i dubbiosi disiri?». E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore. Ma s’a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice. Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante». Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangea; sì che di pietade io venni men così com’io morisse. E caddi come corpo morto cade. |
Cominciai: «Poeta, parlerei volentieri a quei due che volano insieme e sembrano essere trasportati tanto lievemente dal vento».
Mi rispose: «Aspetta quando saranno più vicini a noi: allora pregali in nome di quell'amore che li trascina ed essi verranno». Non appena il vento li portò verso di noi, iniziai a parlare: «O anime affannate, venite a parlarci se Dio ve lo consente!» Come le colombe chiamate dal desiderio volano verso il dolce nido (per accoppiarsi), con le ali ferme e alzate, portate dal desiderio, allo stesso modo i due uscirono dalla schiera di Didone, venendo a noi attraverso l'aria infernale, tanto forte e affettuoso fu il mio richiamo. «O creatura cortese e benevola, che nell'aria oscura visiti noi che tingemmo il mondo di sangue, se il re dell'universo ci fosse amico lo pregheremmo perché ti dia pace, visto che mostri pietà del nostro terribile male. Noi vi ascolteremo e vi parleremo di ciò che volete, mentre il vento tace come fa in questo punto. La terra dove sono nata (Ravenna) sorge alla foce del Po, dove il fiume si getta in mare per trovare pace coi suoi affluenti. L'amore, che si attacca subito al cuore nobile, prese costui per il bel corpo che mi fu tolto, e il modo ancora mi danneggia. L'amore, che non consente a nessuno che sia amato di non ricambiare, mi prese per la bellezza di costui con tale forza che, come vedi, non mi abbandona neppure adesso. L'amore ci condusse alla stessa morte: Caina attende colui che ci uccise». Essi ci dissero queste parole. Quando io sentii quelle anime offese, chinai lo sguardo e lo tenni basso così a lungo che alla fine Virgilio mi disse: «Cosa pensi?» Quando risposi, dissi: «Ahimè, quanti dolci pensieri, quanto desiderio portarono questi due al passo doloroso!» Poi mi rivolsi a loro e parlai dicendo: «Francesca, le tue pene mi rendono triste e mi spingono a piangere. Ma dimmi: al tempo della vostra relazione, in che modo e in quali circostanze Amore vi concesse di conoscere i dubbiosi desideri?» E lei mi disse: «Non c'è nessun dolore più grande che ricordare il tempo felice quando si è miseri; e questo lo sa bene il tuo maestro. Ma se tu hai tanto desiderio di conoscere l'origine del nostro amore, allora farò come colui che piange e parla al tempo stesso. Un giorno noi leggevamo per svago il libro che narra di Lancillotto e di come amò Ginevra; eravamo soli e non sospettavamo quel che sarebbe successo. Più volte quella lettura ci spinse a cercarci con gli occhi e ci fece impallidire; ma fu solo un punto a sopraffarci. Quando leggemmo che la bocca desiderata di Ginevra fu baciata da un simile amante, costui, che non sarà mai diviso da me, mi baciò la bocca tutto tremante. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse; quel giorno non leggemmo altre pagine». Mentre uno spirito diceva questo, l'altro piangeva, così che io venni meno a causa del turbamento, proprio come se morissi. E caddi come un corpo privo di vita. |
Interpretazione complessiva
- La protagonista del canto è Francesca, la figlia di Guido da Polenta (signore di Ravenna) che a quindici anni la diede in sposa a Gianciotto Malatesta, signore di Rimini, probabilmente per siglare un'alleanza politica tra le due famiglie nobili: secondo una tradizione che risale a Dante e ai commentatori posteriori ma di cui non c'è traccia nelle cronache del tempo, la giovane si innamorò del fratello di Gianciotto, Paolo, con cui ebbe una relazione adultera, finché i due furono scoperti dal marito di lei e uccisi. Dante include i due amanti tra i lussuriosi in quanto si sono abbandonati alla passione carnale e intende fare attraverso la loro storia un discorso intorno alla letteratura amorosa, che egli condanna in quanto può indurre i lettori a mettere in pratica ciò che vi viene descritto e a peccare, come è accaduto ai due adulteri romagnoli. Paolo e Francesca fanno probabilmente parte di una schiera di dannati morti di morte violenta, come i personaggi del mito e della letteratura che Virgilio elenca nei versi precedenti (tra cui Cleopatra, Didone, Achille, Semiramide).
- Francesca è il primo dannato con cui Dante dialoga nell'Inferno ed è la sola a parlare nell'episodio, mentre Paolo si limita ad ascoltare e a piangere: si presenta come una donna colta, esperta lettrice e conoscitrice di quella letteratura amorosa di cui Dante era stato un produttore e ciò spiega perché il poeta si senta particolarmente coinvolto nel suo peccato. Già nella sua prosopopea Francesca indica Ravenna con un'elegante perifrasi geografica (è la città che sorge sul delta del Po, dove il fiume sfocia per aver "pace" coi suoi affluenti), poi parla di sé e di Paolo con la celebre triplice anafora dei vv. 100-108, che riprendono i dettami dell'amor cortese e citano i testi dello Stilnovo; il v. 100 combina insieme due versi della canzone di Guinizelli Al cor gentil (► VAI AL TESTO) e del sonetto di Dante Amor e 'l cor gentil sono una cosa, del cap. XX della Vita nuova (► VAI AL TESTO), mentre il v. 103 riprende un concetto espresso da A. Cappellano nel trattato De amore, ovvero l'impossibilità per chi è amato di non riamare a sua volta. La donna è ancora profondamente legata a un orizzonte culturale che si esaurisce nella concezione letteraria dell'amor cortese (► VAI ALLA SCHEDA) ed è proprio questa sua fedeltà alle leggi amorose che ne ha causato la perdizione.
- L'amore peccaminoso tra Paolo e Francesca è nato quasi per caso, durante la lettura comune di un libro (il romanzo cortese che narra la storia di Lancillotto e Ginevra) che ha mostrato loro la relazione di due personaggi d'eccezione, spingendoli a mettere in pratica gli stessi comportamenti nella vita: ciò li ha portati a peccare e attraverso questo esempio Dante intende condannare almeno in parte la letteratura cortese, che se fraintesa dai lettori può provocare turbamento e portare alla dannazione eterna. In questa condanna Dante include anche parte della propria opera, dal momento che in questa fase della sua produzione poetica egli ha ormai superato lo Stilnovo ed ha intrapreso un percorso che lo porterà agli altissimi versi del Paradiso, dove l'amore cantato sarà quello di Dio e non quello cortese che, se male interpretato, può causare danni irreparabili al pubblico. Non è del resto un caso se Francesca sia il primo dannato con cui parla Dante, mentre Guinizelli e Arnaut Daniel saranno gli ultimi penitenti da lui incontrati in Purgatorio, entrambi inclusi tra i lussuriosi e puniti in quanto produttori della stessa poesia amorosa di cui Francesca è rimasta vittima (► TESTO: Dante e Guinizelli).
- È certamente da respingere l'interpretazione in senso romantico che di questo episodio ha fornito tanta critica ottocentesca (specie ad opera di De Sanctis), dal momento che Dante non intende in alcun modo riabilitare i due amanti per il destino che hanno subìto, ma solo condannarli in quanto preda del richiamo dei sensi: tutti i riferimenti letterari del canto sono da leggere in questo senso e anche la famosa similitudine dei vv. 82-87 (Paolo e Francesca paragonati a due colombe che vanno nel nido ad accoppiarsi) è tutt'altro che nobilitante, dal momento che accosta i due dannati a degli animali che in modo naturale sono soggetti all'istinto sessuale, a differenza degli uomini che devono far prevalere il raziocinio e tenere a freno la passione della carne.