Ludovico Ariosto
Orlando e l'archibugio
(Orlando furioso, IX, 72-91)
Il passo è la conclusione dell'episodio che occupa l'intero canto IX ed ha come protagonisti Orlando e Olimpia, la figlia del duca d'Olanda: questa, promessa sposa di Bireno duca di Selandia, ha rifiutato le nozze col figlio di Cimosco, malvagio re negromante di Frisa che per vendetta ha invaso l'Olanda e fatto prigioniero Bireno. Cimosco è in possesso di una micidiale arma da fuoco, una specie di archibugio che gli consente di vincere ogni nemico, così Olimpia (che è riuscita a sfuggirgli) invoca l'aiuto di Orlando come cavaliere errante. Il paladino (che cavalca un destriero diverso da Brigliadoro) giunge a Dordrecht, la città olandese in cui è trincerato Cimosco, e lo sfida a duello con il patto che se sarà vinto dovrà liberare Bireno: Cimosco accetta pensando di uccidere facilmente Orlando grazie all'archibugio, ma il paladino riuscirà a vincerlo e, una volta venuto in possesso del micidiale ordigno, lo distruggerà gettandolo in fondo al mare.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso
72
Il re volta le spalle, e signor lassa del ponte Orlando e d'amendue le porte; e fugge, e inanzi a tutti gli altri passa, mercé che 'l suo destrier corre più forte. Non mira Orlando a quella plebe bassa: vuole il fellon, non gli altri, porre a morte; ma il suo destrier sì al corso poco vale, che restio sembra, e chi fugge, abbia l'ale. 73 D'una in un'altra via si leva ratto di vista al paladin; ma indugia poco, che torna con nuove armi; che s'ha fatto portare intanto il cavo ferro e il fuoco: e dietro un canto postosi di piatto, l'attende, come il cacciatore al loco, coi cani armati e con lo spiedo, attende il fier cingial che ruinoso scende; 74 che spezza i rami e fa cadere i sassi, e ovunque drizzi l'orgogliosa fronte, sembra a tanto rumor che si fracassi la selva intorno, e che si svella il monte. Sta Cimosco alla posta, acciò non passi senza pagargli il fio l'audace conte: tosto ch'appare, allo spiraglio tocca col fuoco il ferro, e quel subito scocca. 75 Dietro lampeggia a guisa di baleno, dinanzi scoppia, e manda in aria il tuono. Trieman le mura, e sotto i piè il terreno; il ciel ribomba al paventoso suono. L'ardente stral, che spezza e venir meno fa ciò ch'incontra, e dà a nessun perdono, sibila e stride; ma, come è il desire di quel brutto assassin, non va a ferire. 76 O sia la fretta, o sia la troppa voglia d'uccider quel baron, ch'errar lo faccia; o sia che il cor, tremando come foglia, faccia insieme tremare e mani e braccia; o la bontà divina che non voglia che 'l suo fedel campion sì tosto giaccia: quel colpo al ventre del destrier si torse; lo cacciò in terra, onde mai più non sorse. 77 Cade a terra il cavallo e il cavalliero: la preme l'un, la tocca l'altro a pena; che si leva sì destro e sì leggiero, come cresciuto gli sia possa e lena. Quale il libico Anteo sempre più fiero surger solea da la percossa arena, tal surger parve, e che la forza, quando toccò il terren, si radoppiasse a Orlando. 78 Chi vide mai dal ciel cadere il foco che con sì orrendo suon Giove disserra, e penetrare ove un richiuso loco carbon con zolfo e con salnitro serra; ch'a pena arriva, a pena tocca un poco, che par ch'avampi il ciel, non che la terra; spezza le mura, e i gravi marmi svelle, e fa i sassi volar sin alle stelle; 79 s'imagini che tal, poi che cadendo toccò la terra, il paladino fosse: con sì fiero sembiante aspro ed orrendo, da far tremar nel ciel Marte, si mosse. Di che smarrito il re frison, torcendo la briglia indietro, per fuggir voltosse; ma gli fu dietro Orlando con più fretta, che non esce da l'arco una saetta: 80 e quel che non avea potuto prima fare a cavallo, or farà essendo a piede. Lo seguita sì ratto, ch'ogni stima di chi nol vide, ogni credenza eccede. Lo giunse in poca strada; ed alla cima de l'elmo alza la spada, e sì lo fiede, che gli parte la testa fin al collo, e in terra il manda a dar l'ultimo crollo. 81 Ecco levar ne la città si sente nuovo rumor, nuovo menar di spade; che 'l cugin di Bireno con la gente ch'avea condutta da le sue contrade, poi che la porta ritrovò patente, era venuto dentro alla cittade, dal paladino in tal timor ridutta, che senza intoppo la può scorrer tutta. 82 Fugge il populo in rotta, che non scorge chi questa gente sia, né che domandi; ma poi ch'uno ed un altro pur s'accorge all'abito e al parlar, che son Selandi, chiede lor pace, e il foglio bianco porge; e dice al capitan che gli comandi, e dar gli vuol contro i Frisoni aiuto, che 'l suo duca in prigion gli han ritenuto. 83 Quel popul sempre stato era nimico del re di Frisa e d'ogni suo seguace, perché morto gli avea il signore antico, ma più perch'era ingiusto, empio e rapace. Orlando s'interpose come amico d'ambe le parti, e fece lor far pace; le quali unite, non lasciar Frisone che non morisse o non fosse prigione. 84 Le porte de le carceri gittate a terra sono, e non si cerca chiave. Bireno al conte con parole grate mostra conoscer l'obligo che gli have. Indi insieme e con molte altre brigate se ne vanno ove attende Olimpia in nave: così la donna, a cui di ragion spetta il dominio de l'isola, era detta; 85 quella che quivi Orlando avea condutto non con pensier che far dovesse tanto; che la parea bastar, che posta in lutto sol lei, lo sposo avesse a trar di pianto. Lei riverisce e onora il popul tutto. Lungo sarebbe a ricontarvi quanto lei Bireno accarezzi, ed ella lui; quai grazie al conte rendano ambidui. 86 Il popul la donzella nel paterno seggio rimette, e fedeltà le giura. Ella a Bireno, a cui con nodo eterno la legò Amor d'una catena dura, de lo stato e di sé dona il governo. Ed egli tratto poi da un'altra cura, de le fortezze e di tutto il domìno de l'isola guardian lascia il cugino; 87 che tornare in Selandia avea disegno, e menar seco la fedel consorte: e dicea voler fare indi nel regno di Frisa esperienza di sua sorte; perché di ciò l'assicurava un pegno ch'egli aveva in mano, e lo stimava forte: la figliuola del re, che fra i captivi, che vi fur molti, avea trovata quivi. 88 E dice ch'egli vuol ch'un suo germano, ch'era minor d'età, l'abbia per moglie. Quindi si parte il senator romano il dì medesmo che Bireno scioglie. Non volse porre ad altra cosa mano, fra tante e tante guadagnate spoglie, se non a quel tormento ch'abbiàn detto ch'al fulmine assimiglia in ogni effetto. 89 L'intenzion non già, perché lo tolle, fu per voglia d'usarlo in sua difesa; che sempre atto stimò d'animo molle gir con vantaggio in qualsivoglia impresa: ma per gittarlo in parte, onde non volle che mai potesse ad uomo più fare offesa: e la polve e le palle e tutto il resto seco portò, ch'apparteneva a questo. 90 E così, poi che fuor de la marea nel più profondo mar si vide uscito, sì che segno lontan non si vedea del destro più né del sinistro lito; lo tolse, e disse: «Acciò più non istea mai cavallier per te d'esser ardito, né quanto il buono val, mai più si vanti il rio per te valer, qui giù rimanti. 91 O maladetto, o abominoso ordigno, che fabricato nel tartareo fondo fosti per man di Belzebù maligno che ruinar per te disegnò il mondo, all'inferno, onde uscisti, ti rasigno.» Così dicendo, lo gittò in profondo. Il vento intanto le gonfiate vele spinge alla via de l'Isola Crudele. |
Il re [Cimosco] volta le spalle e lascia Orlando padrone del ponte, e di entrambe le porte; fugge e supera tutti gli altri grazie al suo cavallo che corre più veloce. Orlando non bada a quei soldati di vile condizione, vuole uccidere il fellone e nessun altro; ma il suo destriero è così poco abile nella corsa che sembra stare fermo, mentre chi fugge ha le ali. Cimosco da una strada all'altra si sottrae rapido alla vista del paladino; ma poco dopo torna con nuove armi, poiché intanto si è fatto portare il ferro cavo e il fuoco [l'archibugio]: e appostatosi dietro un angolo, lo attende come il cacciatore attende coi cani e con la lancia il feroce cinghiale che scende a precipizio; esso [il cinghiale] spezza i rami e fa cadere le pietre, e ovunque diriga il muso orgoglioso sembra che la selva intorno a tanto rumore vada in pezzi e che il monte si sradichi. Cimosco sta appostato, affinché l'audace conte [Orlando] non passi senza pagare il fio [senza morire]: non appena appare, egli tocca il ferro con il fuoco nell'apertura e l'archibugio subito spara. Dietro lampeggia come un fulmine, davanti scoppia e produce nell'aria un tuono. Le mura e il terreno sotto i piedi tremano; il cielo rimbomba a quel suono spaventoso. Il proiettile infuocato, che spezza e distrugge ciò che incontra e non perdona nessuno, sibila e stride; ma non raggiunge lo scopo desiderato da quel brutto assassino. O per la fretta, o per il troppo desiderio di uccidere quel paladino che lo fa sbagliare; o perché il cuore, tremando come una foglia, fa tremare anche mani e braccia; o perché la bontà divina non vuole che il suo fedele campione cada così presto: quel colpo insomma andò a finire sul ventre del cavallo e lo fece cadere a terra, da dove non si alzò mai più. Il cavallo e il cavaliere cadono a terra: l'uno [il cavallo] la preme, l'altro [il cavaliere] la tocca appena; infatti si alza così agile e svelto come se gli fosse aumentata la forza e l'energia. Come il gigante libico Anteo era solito alzarsi sempre più feroce dal suolo quando cadeva, così sembrava alzarsi Orlando e che la forza raddoppiasse quando toccò il terreno. Chi abbia mai visto cadere dal cielo il fuoco che Giove schiude con orrendo fragore [un fulmine], e penetrare in un luogo chiuso dove ci sono zolfo e salnitro, che appena arriva e tocca un po' quelle cose sembra che il cielo e la terra si infiammino, spezza le mura e svelle i pesanti marmi, e fa volare i sassi alle stelle; immagini che il paladino fosse così, dopo aver toccato la terra cadendo: si mosse con aspetto così feroce, aspro e orrendo da far tremare Marte in cielo. Il re di Frisa [Cimosco], smarrito, si voltò per fuggire torcendo la briglia indietro; ma Orlando gli fu alle spalle più in fretta di quanto una freccia non sia scoccata da un arco: e ora che è a piedi farà ciò che non ha potuto fare prima a cavallo. Lo segue così veloce, che ogni ipotesi di chi non lo vide va al di là di ciò che si possa credere. Lo raggiunse dopo pochi metri; e alza la spada alla punta dell'elmo e lo colpisce con tanta forza che gli stacca la testa dal collo, e lo manda a stramazzare infine al suolo. Ecco che nella città si sente un nuovo rumore, un nuovo cozzare di spade; infatti il cugino di Bireno, avendo trovato la porta aperta, con i soldati che aveva portato dal suo paese, era entrato in città, ridotta in tale timore da Orlando che la poté percorrere tutta senza ostacoli. Il popolo in rotta fugge, non sapendo chi sia questa gente e non domandandolo; ma quando ci si accorge che sono di Selandia dall'abito e dalla parlata, chiedono loro pace e accettano di arrendersi; e si mettono al servizio del loro capo e vogliono aiutarli contro i Frisoni, che hanno fatto prigioniero il loro duca [Bireno]. Quel popolo era sempre stato nemico del re di Frisa e di ogni suo seguace, perché Cimosco aveva ucciso il loro antico re, ma soprattutto perché era ingiusto, malvagio e rapace. Orlando fece da paciere tra le parti e alla fine tutti i Frisoni furono uccisi o fatti prigionieri. Le porte delle carceri sono abbattute e non si cerca la chiave. Bireno con parole di riconoscenza mostra di sapere quale obbligo abbia verso Orlando. Quindi se ne vanno insieme a molti soldati dove Olimpia li attende sulla nave: così si chiamava la donna a cui spettava di diritto il dominio dell'isola; quella che aveva condotto qui Orlando senza pensare di dover fare tanto poiché sembrava bastarle che, sacrificando se stessa, potesse trarre dalla prigionia il fidanzato. Tutto il popolo la riverisce e la onora. Sarebbe lungo raccontarvi quanto Bireno la accarezzi, e come lei faccia lo stesso con lui, e quali ringraziamenti rendano entrambi ad Orlando. Il popolo rimette la fanciulla sul trono del padre e le giura fedeltà. Lei dona il governo di se stessa e dello stato a Bireno, cui era legata dalla dura catena di Amore. E lui, spinto da un altro pensiero, lascia il cugino a custodire le fortezze e tutto il dominio dell'isola; infatti voleva tornare in Selandia, e portare con sé la fedele Olimpia: e diceva di voler tentare la sorte nel regno di Frisa e per questo aveva un pegno in mano e lo stimava di gran valore: la figlia di Cimosco, che aveva trovata qui tra i molti prigionieri. E dice che vuole che la prenda in moglie un suo fratello di minore età. Il senatore romano [Orlando] parte il giorno stesso in cui salpa Bireno. Non volle nulla di tutto il bottino di guerra, se non quell'arma che abbiamo detto essere simile in tutto al fulmine [l'archibugio]. Non lo prese certo perché avesse intenzione di usarlo per difendersi, infatti giudicò sempre di animo vile affrontare un'impresa con un vantaggio: ma lo prese per gettarlo in un posto in cui nessun potesse mai più usarlo per offendere altri: e portò con sé la polvere e i proiettili e tutto il resto che apparteneva a quest'arma. E così, non appena vide di essere in alto mare, in un punto in cui non si vedeva più nulla né a destra né a sinistra, lo prese e disse: «Affinché un cavaliere non si senta mai più valoroso per te, né il malvagio si vanti mai più di valere quanto il buono, rimani qui. O maledetto e orribile ordigno, che fosti fabbricato nel fondo dell'inferno per mano del maligno Belzebù, che pensò di rovinare il mondo per te: ti ricaccio all'inferno da dove sei uscito». Dicendo questo, lo gettò in fondo al mare. Il vento intanto spinge le vele gonfie verso l'Isola Crudele [di Ebuda]. |
Interpretazione complessiva
- L'intero canto IX è pressoché occupato da questa avventura di Orlando, che è uno dei tanti esempi nel poema di come un prode paladino sia chiamato talvolta a mostrare il proprio valore e impegnarsi in un'impresa che non lo riguarda direttamente: Orlando accetta di aiutare la bellissima Olimpia contro il malvagio Cimosco per puro amore della giustizia e cortesia, fatto notevole in quanto il paladino sta andando all'isola di Ebuda dove Angelica rischia di essere divorata dall'orca (l'uomo ha fatto un sogno rivelatore che lo ha spinto a lasciare Parigi). Lo schema narrativo è quello del "cavaliere errante" che va in giro per il mondo all'aventure e, richiesto di usare il suo valore per una nobile causa, non esita a intervenire anche se la cosa è contraria al suo interesse, secondo i moduli tipici del romanzo cortese del XII-XIII sec. La richiesta di Olimpia è semplicemente quella di accompagnarla a Dordrecht dove lei si dovrà consegnare a Cimosco in cambio della liberazione del fidanzato Bireno, ma siccome teme che il suo nemico non rispetti i patti le serve un "garante" che individua nell'erculeo Orlando. Il paladino farà molto di più, perché sfiderà a duello Cimosco e lo vincerà, nonostante lui sia in possesso del terribile archibugio, unendosi poi alle forze di Selandia (la terra di Bireno) da dove il cugino di questi muove con un'armata contro Cimosco.
- Il cuore dell'episodio è ovviamente l'espediente narrativo dell'archibugio, arma del tutto anacronistica al tempo dei paladini che il re-negromante Cimosco usa per sconfiggere tutti i nemici e impadronirsi del regno d'Olanda: si tratta ovviamente di uno strumento di morte che dà un ingiusto vantaggio a chi lo usa e, soprattutto, annulla ogni concetto di cavalleria, dal momento che anche gli uomini malvagi possono usarlo per sconfiggere i nemici e non richiede particolare abilità, essendo sufficiente dar fuoco all'innesco per scatenare una potenza spaventosa. La caratterizzazione che l'autore dà dell'arma e di chi la utilizza (in questo caso Cimosco) è del tutto negativa, specie nella scena in cui il malvagio re si apposta come un cacciatore che attende il cinghiale e si prepara a sparare contro Orlando che arriva ignaro e si salva solo perché Cimosco fallisce il colpo e uccide il cavallo di Orlando, nell'occasione un ronzino diverso da Brigliadoro. Particolarmente efficace la descrizione della detonazione dell'arma, paragonata al fragore di un tuono che fa tremare le mura e il terreno, mentre poco oltre la furia di Orlando che si rialza e corre verso il suo nemico è accostata all'esplosione causata da un fulmine, con riferimento ancora allo sparo dell'archibugio. Ariosto intende polemizzare contro le armi da fuoco che si stavano diffondendo nelle guerre del Cinquecento e che ormai stavano facendo tramontare l'ideale di cavalleria, come è evidente nelle dure parole con cui Orlando getta l'archibugio in fondo al mare chiamandolo "maladetto... abominoso ordigno" e affermando che è stato prodotto dal diavolo nell'inferno, in cui intende ricacciarlo; la sua visione del problema è piuttosto realistica, anche più di quella di Machiavelli che, invece, sottovaluta la portata delle artiglierie nelle guerre (► SCHEDA: Armi da fuoco e cavalleria; ► CINEMA: Il mestiere delle armi). Ariosto tornerà sull'argomento pochi canti dopo (XI.21-28), dicendo che l'aver gettato l'archibugio nel mare non ha risolto il problema, in quanto a molti anni di distanza un negromante tedesco (l'allusione è al monaco Berthold Schwarze, considerato l'inventore della polvere da sparo in Europa) troverà il modo di riprodurlo e di armare in tal modo tutti gli eserciti del mondo, per cui "la militar gloria è distrutta" e "il mestier de le arme è senza onore"; evidente anche qui la polemica contro le soldatesche di ventura, in cui gli "stipendi" sono assicurati non dall'abilità in guerra ma dal possesso di fucili e armi da fuoco.
- La vicenda di Olimpia e Bireno ha un ulteriore sviluppo, poiché nel canto X ci viene narrato di come l'uomo si invaghisca della figlia di Cimosco mentre veleggiano verso la Selandia e decida di abbandonare su un'isola deserta la fidanzata, che risvegliandosi da sola si abbandona a un pianto disperato (fin troppo evidente l'imitazione del mito classico di Arianna e Teseo, nonché della vicenda di Didone ed Enea nel libro IV dell'Eneide; ► TESTO: L'abbandono di Olimpia). Olimpia verrà in seguito catturata dagli abitanti di Ebuda ed esposta all'orca, ma giungerà ancora Orlando a salvarla (XI.33 ss.) e in seguito la donna verrà sposata dal re d'Irlanda Oberto, che catturerà Bireno e lo metterà a morte (► TESTO: L'orca di Ebuda).