Giannozzo Manetti
I piaceri del corpo
(De dignitate et excellentia hominis)
In questo passo del trattato composto nel 1450-51, lo scrittore fiorentino respinge la prospettiva della letteratura religiosa medievale secondo cui il corpo umano è una sentina di vizi e sporcizia, destinato a soffrire per espiare il peccato originale, ma al contrario è una meravigliosa macchina creata da Dio a sua immagine e fonte di piaceri che non sono affatto da condannare, benché essi derivino dalla fisicità che, in quanto tale, viene celebrata in modo del tutto nuovo. L'autore afferma addirittura che il piacere sessuale è qualcosa di perfettamente naturale e ordinato da Dio al fine di spingere gli uomini a riprodursi, con una visione non dissimile da quella espressa da Boccaccio nel "Decameron" e decisamente in linea con la visione antropocentrica dell'Umanesimo.
► PERCORSO: L'Umanesimo
► PERCORSO: L'Umanesimo
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I dottori della nostra fede attestano che il corpo umano, che sopra dicemmo essere stato fatto col limo [1] della terra da Dio onnipotente, fu formato in modo che fosse in parte mortale, se quel primo parente [2] avesse peccato, come sappiamo che fece, e che in parte invece potesse divenire immortale, se non avesse peccato. [...] Perciò ogni debolezza del corpo, e le malattie e gli altri incomodi sopra menzionati, non furono contratti da natura, ma dalla macchia del peccato. Onde i malanni che si ritiene che attualmente l’uomo abbia, non sono da attribuirsi alla natura, ma piuttosto alla prima colpa [3], come sopra si è detto. Conviene quindi che cessino del tutto i lamenti e i pianti degli scrittori profani e sacri, intonati in lode della morte e dei vantaggi suoi, e intorno agli altri malanni, visto che tutto ciò non è derivato affatto da Dio e dalla natura, ma dal peccato. [...] Orbene, anche se noi concedessimo questo e altro, tuttavia, se non fossimo troppo queruli [4] e troppo ingrati e ostinati e delicati, dovremmo riconoscere e dichiarare che in questa nostra vita quotidiana possediamo molti più piaceri che non molestie. Non c’è infatti atto umano, ed è mirabile cosa, sol che ne consideriamo con cura e attenzione la natura, dal quale l’uomo non tragga almeno un piacere non trascurabile: così attraverso i vari sensi esterni, come il vedere, l’udire, l’odorare, il gustare, il toccare, l’uomo gode sempre piaceri così grandi e forti, che taluni paiono a volte superflui ed eccessivi e soverchi. Sarebbe infatti difficile a dirsi, o meglio impossibile, quali godimenti l’uomo ottenga dalla visione chiara ed aperta dei bei corpi, dall’audizione di suoni e sinfonie e armonie varie, dal profumo dei fiori e di simili cose odorate, dal gustare cibi dolci e soavi, e infine dal toccare cose estremamente molli. E che diremo degli altri sensi interni? Non possiamo dichiarare a sufficienza con parole quale diletto rechi seco quel senso che i filosofi chiamano comune nel determinare le differenze delle cose sensibili; o qual piacere ci dia la varia immaginazione delle diverse sostanze e accidenti, o il giudicare, il ricordare, e infine l’intendere, quando prendiamo a immaginare, comporre, giudicare, ricordare ed intendere le cose già apprese mediante qualche senso particolare. Perciò se gli uomini nella vita gustassero quei piaceri e quei diletti, piuttosto che tormentarsi per le molestie e gli affanni, dovrebbero rallegrarsi e consolarsi invece di piangere e di lamentarsi, soprattutto poi avendo la natura fornito con larghezza copiosa numerosi rimedi del freddo, del caldo, della fatica, dei dolori, delle malattie; rimedi che sono come sicuri antidoti di quei malanni, e non aspri, o molesti, o amari, come spesso suole accadere con i farmachi, ma piuttosto molli, grati, dolci, piacevoli. A quel modo infatti che quando mangiamo e beviamo, mirabilmente godiamo nel soddisfare la fame e la sete, così ugualmente ci allietiamo nel riscaldarci, nel rinfrescarci, nel riposarci. Ancorché le percezioni del gusto appaiano in certo qual modo molto più dilettose di tutte le altre percezioni tattili, fatta eccezione per quelle del sesso; e ciò la natura, che è guida sommamente solerte ed abile e senza dubbio unica, non ha fatto a caso, ma – come dicono i filosofi – per ragioni chiare e cause evidenti, onde si traesse un godimento di gran lunga maggiore nel coito [5] che non nel mangiare e nel bere, intendendo essa innanzitutto conservare la specie piuttosto che gl’individui; e la specie si conserva con l’unione del maschio e della femmina, l’individuo invece con l’assorbimento del cibo che, per dir così, recupera ciò che si perde. In tal modo tutte le opinioni e le sentenze sulla fragilità, il freddo, il caldo, la fatica, la fame, la sete, i cattivi odori, i cattivi sapori, visioni, contatti, mancanze, veglie, sogni, cibi, bevande, e simili malanni umani; tutte, insomma, tali argomentazioni appariranno frivole, vane, inconsistenti a quanti considereranno con un po’ di più di diligenza e di accuratezza la natura delle cose. [Traduzione di E. Garin, Milano-Napoli 1952] |
[1] Col fango (allude alla natura materiale dell'uomo). [2] Adamo. [3] Al peccato originale. [4] Inclini a lamentarci. [5] Nell'atto sessuale. |
Interpretazione complessiva
- Tutto il brano ruota intorno al concetto di fisicità del corpo umano e al quesito se questo sia fonte di dolori e sofferenze piuttosto che di piaceri e godimenti, rispetto a cui l'autore non ha dubbi nell'affermare che i secondi superino di gran lunga i primi: lo scrittore respinge la visione medievale del corpo come "prigione dell'anima" e la concezione della sofferenza inflitta (o auto-inflitta) al corpo come espiazione del peccato originale, abbracciando una prospettiva del tutto antitetica rispetto a quella di poeti come Jacopone da Todi o altri mistici del Due-Trecento (► TESTO: O Signor, per cortesia). Tra i piaceri di cui l'uomo può usufruire vi sono naturalmente quelli razionali derivanti dalla sua intelligenza, ma anche quelli corporei che si traggono dai sensi (come la visione di cose belle, l'ascolto di suoni melodiosi, il gustare sapori gradevoli) che non vengono affatto condannati, ma presentati come "rimedi" piacevoli ai "malanni" della vita umana e dei quali la natura è stata molto generosa quando ha creato l'uomo ponendolo nel mondo. Dal punto di vista dell'autore i pensatori dovrebbero cessare di lamentarsi continuamente della fragilità umana e della sua misera condizione, dal momento che i disagi cui gli uomini sono sottoposti per la loro corporeità vengono ampiamente bilanciati dai piaceri che la natura ha offerto loro, a patto di saperne godere senza remore morali o di carattere religioso.
- Tra i piaceri naturali che l'uomo può provare quello più intenso deriva dall'atto sessuale e secondo l'autore ciò è perfettamente naturale, dal momento che il "coito" è l'atto con cui la specie umana si conserva e non stupisce pertanto che la natura abbia reso ciò più gradevole di tutte le altre cose che l'uomo può fare, con una visione molto vicina a quella espressa da Boccaccio in molte novelle del Decameron e che si lascia alle spalle una lunga tradizione di condanna morale della letteratura del Medioevo. La rivalutazione del piacere erotico diverrà uno dei temi centrali dell'Umanesimo e della stessa letteratura rinascimentale, a cominciare dal Furioso di L. Ariosto in cui le vicende amorose dei personaggi avranno una larga parte e con numerosi riferimenti alla sfera del sesso e del piacere fisico.