Francesco Petrarca
«Vergine bella, che di sol vestita»
(Canzoniere, 366)
È la canzone dedicata alla Vergine che chiude la raccolta, con un'intonazione da cantico religioso che da un lato si ricollega alla tradizione della poesia del Duecento (incluso il "Paradiso" di Dante, specie l'inizio del canto XXXIII), dall'altro esprime il consueto dissidio interiore del poeta diviso tra le lusinghe del mondo cui non sa rinunciare fino in fondo e l'aspirazione a una vita dedita alla virtù per cui chiede l'assistenza del cielo, ormai alla fine della sua vita terrena. Il testo presenta una costruzione retorica assai raffinata e tocca uno dei punti poeticamente più alti dell'opera, chiudendo idealmente il discorso aperto dal sonetto proemiale e concernente l'amara consapevolezza della vanità della vita umana.
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere
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Vergine bella, che di sol vestita,
coronata di stelle, al sommo Sole piacesti sí, che ’n te Sua luce ascose, amor mi spinge a dir di te parole: ma non so ’ncominciar senza tu’ aita, et di Colui ch’amando in te si pose. Invoco lei che ben sempre rispose, chi la chiamò con fede: Vergine, s’a mercede miseria extrema de l’humane cose già mai ti volse, al mio prego t’inchina, soccorri a la mia guerra, bench’i’ sia terra, et tu del ciel regina. Vergine saggia, et del bel numero una de le beate vergini prudenti, anzi la prima, et con piú chiara lampa; o saldo scudo de l’afflicte genti contra colpi di Morte et di Fortuna, sotto ’l qual si trïumpha, non pur scampa; o refrigerio al cieco ardor ch’avampa qui fra i mortali sciocchi: Vergine, que’ belli occhi che vider tristi la spietata stampa ne’ dolci membri del tuo caro figlio, volgi al mio dubbio stato, che sconsigliato a te vèn per consiglio. Vergine pura, d’ogni parte intera, del tuo parto gentil figliola et madre, ch’allumi questa vita, et l’altra adorni, per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre, o fenestra del ciel lucente altera, venne a salvarne in su li extremi giorni; et fra tutt’i terreni altri soggiorni sola tu fosti electa, Vergine benedetta, che ’l pianto d’Eva in allegrezza torni. Fammi, ché puoi, de la Sua gratia degno, senza fine o beata, già coronata nel superno regno. Vergine santa d’ogni gratia piena, che per vera et altissima humiltate salisti al ciel onde miei preghi ascolti, tu partoristi il fonte di pietate, et di giustitia il sol, che rasserena il secol pien d’errori oscuri et folti; tre dolci et cari nomi ài in te raccolti, madre, figliuola et sposa: Vergina glorïosa, donna del Re che nostri lacci à sciolti et fatto ’l mondo libero et felice, ne le cui sante piaghe prego ch’appaghe il cor, vera beatrice. Vergine sola al mondo senza exempio, che ’l ciel di tue bellezze innamorasti, cui né prima fu simil né seconda, santi penseri, atti pietosi et casti al vero Dio sacrato et vivo tempio fecero in tua verginità feconda. Per te pò la mia vita esser ioconda, s’a’ tuoi preghi, o Maria, Vergine dolce et pia, ove ’l fallo abondò, la gratia abonda. Con le ginocchia de la mente inchine, prego che sia mia scorta, et la mia torta via drizzi a buon fine. Vergine chiara et stabile in eterno, di questo tempestoso mare stella, d’ogni fedel nocchier fidata guida, pon’ mente in che terribile procella i’ mi ritrovo sol, senza governo, et ò già da vicin l’ultime strida. Ma pur in te l’anima mia si fida, peccatrice, i’ no ’l nego, Vergine; ma ti prego che ’l tuo nemico del mio mal non rida: ricorditi che fece il peccar nostro, prender Dio per scamparne, humana carne al tuo virginal chiostro. Vergine, quante lagrime ò già sparte, quante lusinghe et quanti preghi indarno, pur per mia pena et per mio grave danno! Da poi ch’i’ nacqui in su la riva d’Arno, cercando or questa et or quel’altra parte, non è stata mia vita altro ch’affanno. Mortal bellezza, atti et parole m’ànno tutta ingombrata l’alma. Vergine sacra et alma, non tardar, ch’i’ son forse a l’ultimo anno. I dí miei piú correnti che saetta fra miserie et peccati sonsen’ andati, et sol Morte n’aspetta. Vergine, tale è terra, et posto à in doglia lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne et de mille miei mali un non sapea: et per saperlo, pur quel che n’avenne fôra avenuto, ch’ogni altra sua voglia era a me morte, et a lei fama rea. Or tu donna del ciel, tu nostra dea (se dir lice, e convensi), Vergine d’alti sensi, tu vedi il tutto; e quel che non potea far altri, è nulla a la tua gran vertute, por fine al mio dolore; ch’a te honore, et a me fia salute. Vergine, in cui ò tutta mia speranza che possi et vogli al gran bisogno aitarme, non mi lasciare in su l’extremo passo. Non guardar me, ma Chi degnò crearme; no ’l mio valor, ma l’alta Sua sembianza, ch’è in me, ti mova a curar d’uom sí basso. Medusa et l’error mio m’àn fatto un sasso d’umor vano stillante: Vergine, tu di sante lagrime et pïe adempi ’l meo cor lasso, ch’almen l’ultimo pianto sia devoto, senza terrestro limo, come fu ’l primo non d’insania vòto. Vergine humana, et nemica d’orgoglio, del comune principio amor t’induca: miserere d’un cor contrito humile. Che se poca mortal terra caduca amar con sí mirabil fede soglio, che devrò far di te, cosa gentile? Se dal mio stato assai misero et vile per le tue man’ resurgo, Vergine, i’ sacro et purgo al tuo nome et penseri e ’ngegno et stile, la lingua e ’l cor, le lagrime e i sospiri. Scorgimi al miglior guado, et prendi in grado i cangiati desiri. Il dí s’appressa, et non pòte esser lunge, sí corre il tempo et vola, Vergine unica et sola, e ’l cor or coscïentia or morte punge. Raccomandami al tuo figliuol, verace homo et verace Dio, ch’accolga ’l mïo spirto ultimo in pace. |
O Vergine bella, che rivestita di sole e coronata di stelle sei piaciuta al sommo sole [Dio] al punto che ha nascosto in te la sua luce, l'amore mi spinge a parlare di te: ma non so iniziare senza il tuo aiuto, e di Colui [Cristo] che amando si pose in te [si incarnò]. Invoco colei che ha sempre risposto benevolmente a chi l'ha invocata con fede: Vergine, se mai l'estrema miseria delle cose umane ti ha mosso a pietà, chinati alla mia preghiera e vieni in soccorso alle mie pene, anche se io sono una creatura mortale e tu la regina del cielo.
O Vergine saggia, una del bel numero delle beate vergini savie e anzi la prima, con una lampada più luminosa; o saldo scudo delle persone afflitte contro i colpi della morte e della fortuna, sotto il quale non solo si trova scampo ma si trionfa; o refrigerio al cieco ardore [della passione] che avvampa qui tra gli sciocchi mortali: o Vergine, rivolgi quei begli occhi che, tristi, videro le terribili piaghe nelle dolci membra del tuo caro figlio [Cristo], alla mia incerta condizione poiché, non sapendo che fare, vengo a te per avere consiglio. O Vergine pura, intatta in ogni tua parte, figlia e madre del tuo nobile parto, che illumini questa vita e adorni quella eterna, grazie a te il figlio tuo e del sommo Padre [Cristo], o lucente e altissima finestra del cielo, venne a salvarci negli ultimi giorni; e tu sola fosti scelta tra tutti gli altri soggiorni terreni [tra le altre donne], o Vergine benedetta, che trasformi in gioia il pianto di Eva. Fammi degno della grazia di Dio, visto che puoi, tu che sei beata senza fine, già incoronata nel regno superbo. O Vergine santa piena di ogni grazia, che per vera ed altissima umiltà sei salita al cielo da dove ascolti le mie preghiere, tu hai partorito la fonte di pietà [Cristo] e il sole della giustizia, che rasserena il mondo pieno di errori oscuri e fitti; in te hai riunito tre nomi dolci e cari, quello di madre, di figlia e di sposa: o Vergine gloriosa, sposa del Re che ha sciolto i nostri legami e ha reso il mondo libero e felice, io ti prego di appagare il mio cuore nelle sue sante piaghe, o vera beatrice. O Vergine unica e senza altro esempio al mondo, che hai fatto innamorare il cielo con la tua bellezza, rispetto alla quale nessun'altra donna simile fu superiore né prossima, i tuoi pensieri santi, i tuoi atti pietosi e casti fecero nella tua feconda verginità un sacro e vivo tempio al vero Dio. Grazie a te la mia vita può essere felice, se alle tue preghiere, o Maria, dolce e pia Vergine, la tua grazia è generosa dove il peccato è stato grande. Con le ginocchia della mente chinate, ti prego di farmi da scorta e di indirizzare a un buon fine la mia strada deviata. O Vergine luminosa e ferma in eterno, stella di questo mare in tempesta, guida fidata di ogni navigatore fedele, pensa in quale orribile tempesta mi trovo da solo, senza timoniere, e sono ormai vicino a emettere le ultime grida [alla dannazione]. Ma la mia anima (peccatrice, non lo nego) confida solo in te, Vergine; ma ti prego affinché il tuo nemico [il demonio] non rida della mia dannazione: ricordati che i nostri peccati indussero Dio ad assumere carne umana [a diventare uomo] nel tuo chiostro virginale [venendo concepito in te]. O Vergine, quante lacrime, quante lusinghe e quante preghiere ho già sparso invano, solo per il mio dolore e con mio grave danno! Da quanto sono nato sulle rive dell'Arno [da padre fiorentino], viaggiando ora in questo ora in quel luogo, la mia vita non è stata altro che affanno. Una bellezza umana, gesti e parole [di Laura] mi hanno totalmente occupato l'anima. Vergine sacra e nobile, non tardare a venire, poiché sono forse giunto alla fine della mia vita. I miei giorni se ne sono andati più veloci di una freccia tra miserie e peccati, e solo la Morte mi aspetta. O Vergine, una donna [Laura] è diventata terra [è morta] e ha causato dolore al mio cuore, dopo che che da viva lo ha tenuto in pianto e non sapeva neppure uno dei miei molti mali: e se anche lo avesse saputo, sarebbe successo proprio quel che è avvenuto, poiché ogni altro suo desiderio sarebbe stato per me la morte dell'anima e per lei cattiva reputazione. Ora tu, signora del cielo, tu nostra dea (se si può ed è opportuno dirlo), Vergine di alti sentimenti, tu vedi ogni cosa; e ciò che altri non potevano fare è un nonnulla alla tua grande virtù, poni fine al mio dolore; ciò sarà un onore per te e per me la salvezza. O Vergine, in cui ripongo tutta la mia speranza che tu possa e voglia aiutarmi nel momento del bisogno, non mi abbandonare in punto di morte. Non guardare me, ma Colui [Dio] che si degnò di crearmi; non guardare il mio valore, ma la Sua alta sembianza che è in me ti spinga a soccorrere un uomo tanto misero. Medusa [Laura] e il mio peccato mi hanno tramutato in un sasso da cui sgorga un inutile umore [le lacrime]: Vergine, tu riempi il mio cuore spossato di lacrime sante e pie, così che almeno l'ultimo pianto sia devoto, privo di fango terreno, come invece il primo fu pieno di follia [per l'amore di Laura]. O Vergine umana, nemica dell'orgoglio, l'amore della nostra comune origine ti spinga: abbi pietà di un cuore umile e pentito. Infatti, se continuo ad amare con fedeltà mirabile un pugno di terra mortale e destinata a perire [Laura], cosa dovrò fare verso di te, nobile creatura? Se io risorgo dal mio stato misero e vile grazie alle tue mani, o Vergine, in nome tuo io consacro e depuro il mio pensiero, il mio ingegno e la mia penna, la lingua, il cuore, le lacrime e i sospiri. Conducimi al guado più sicuro e accetta benevolmente i miei mutati desideri. Il giorno [della mia morte] si avvicina e non può essere lontano, a tal punto il tempo corre e vola, Vergine sola e unica, e il mio cuore è punto ora dalla coscienza, ora dalla morte. Raccomandami al tuo figliolo [Cristo], vero uomo e vero Dio, affinché accolga in pace il mio ultimo respiro. |
Interpretazione complessiva
- Metro: canzone formata da dieci stanze di tredici versi ciascuna (endecasillabi e settenari), con schema della rima ABCBACCddCEfE e un congedo il cui schema riprende quello della sirma (CddCEfE). Ogni stanza si apre sempre con il vocativo "Vergine" , in molti casi seguito da un aggettivo ("bella", "saggia", "pura", "santa", "sola", "chiara", "humana"), così come avviene nel terzo verso della sirma di ogni strofa. Il penultimo verso di ogni stanza presenta rima al mezzo col verso successivo, come avviene nel congedo. La lingua presenta i consueti numerosi latinismi, tra cui "extrema" (v. 10), "humane" (v. 10 e altrove), "et" (v. 13 e altrove), "afflicte" (v. 17), "trïumpha" (v. 19), "electa" (v. 34), "gratia" (v. 37), "humiltate" (v. 41), "exempio" (v. 53), ecc.
- Tutto il testo è un'invocazione religiosa alla Vergine cui l'autore si rivolge sapendo di aver peccato e sentendo ormai prossima la morte, per cui Maria viene invocata in nome della sua purezza e secondo il motivo, assai diffuso nell'innologia mariana del Medioevo, di Colei che soccorre i peccatori in virtù della grazia di cui è ripiena, mentre la Vergine è designata spesso come la donna che ha avuto l'altissimo privilegio di consentire l'incarnazione di Cristo, madre e figlia al tempo stesso del suo Creatore (v. 28, "del tuo parto gentil figliola et madre", che riprende Par., XXXII, 1: "Vergine Madre, figlia del tuo figlio"; v. 47, "madre, figliuola et sposa"; vv. 57-58, dove si dice che la "verginità feconda" di Maria è diventata un "sacrato et vivo tempio" per l'incarnazione di Cristo; v. 119, dove l'autore definisce la Vergine "humana" e si appella alla comune origine di entrambi). Maria è definita anche esempio fulgido di umiltà e astro in grado di guidare gli uomini in terra proprio come un astro guida i marinai durante la tempesta, secondo il motivo assai diffuso della Vergine come Stella maris e riprendendo in parte l'immagine usata da Petrarca nel sonetto 272, in cui in realtà le stelle ormai spente che non possono più salvare il poeta dalla burrasca sono gli occhi di Laura (► TESTO: La vita fugge, et non s'arresta una hora).
- Il rimpianto espresso dall'autore è dovuto in larga parte all'amore peccaminoso per Laura, che viene evocata a partire dal v. 81 in termini ambigui di condanna morale e rievocazione nostalgica: Petrarca rammenta come abbia sparso vanamente lacrime e preghiere per una "Mortal bellezza" che lo ha distolto dal bene e dalla virtù, condannandolo a una vita raminga e priva di pace, mentre Laura viene poi ricordata come "terra" (creatura mortale che è ormai morta e sepolta) e, più avanti, come "poca mortal terra caduca" (v. 121), di fatto contrapponendola a Maria in quanto è stata per lui fonte di tentazione e deviazione morale. La donna viene tuttavia elogiata anche in quanto ha opposto un rifiuto alla corte del poeta, cosa che gli ha causato enorme dolore ma anche preservato la salvezza dell'anima di lui non gettando discredito sulla reputazione di lei, per cui si arriva al paradosso che Petrarca rimpiange ciò che non è avvenuto (il corrispondere dei sentimenti di Laura), tuttavia è lieto perché questo non ha causato danno alla sua anima pur avendogli provocato pena e dolore per lo struggimento di questo amore impossibile. L'autore confessa in ogni caso di serbare "mirabil fede" (v. 122) alla memoria di Laura, per cui appare chiaro che il contrasto interiore non è interamente risolto e che Petrarca, pur essendo consapevole dell'errore morale del suo amore per la donna, non riesce a liberarsene del tutto neppure anni dopo la morte di lei e nell'imminenza del proprio trapasso che lo induce a rivolgersi alla Vergine.
- I vv. 111-112 descrivono Laura come una novella "Medusa" che ha trasformato Petrarca in un "sasso" (cioè lo ha reso insensibile e torpido) che tuttavia fa uscire "umor vano stillante" (le lacrime), con un'immagine bizzarra (l'acqua che esce dalla roccia) che sarà in parte ripresa da Ariosto nell'episodio del Furioso in cui verrà descritta la follia di Orlando, paragonato anch'egli a un sasso (in quanto istupidito, scioccato dall'aver appreso del tradimento di Angelica) e in seguito protagonista di un monologo in cui si stupisce che dai suoi occhi escano ancora lacrime, definite in realtà "umore vitale" che fuoriesce dal cuore a causa del fuoco d'amore (► TESTO: La follia di Orlando).
- Tra i moltissimi riferimenti scritturali e innografici presenti nella canzone, val la pena ricordare quello dei vv. 14-16 in cui Maria è definita la prima e più saggia delle cosiddette "vergini savie", le protagoniste della parabola evangelica (Matth., 25) in cui dieci fanciulle attendono l'arrivo dello sposo ciascuna con una lampada, ma mentre cinque di loro hanno una riserva d'olio e possono quindi far luce anche quando lo sposo tarda ad arrivare, le altre (le "folli") non l'hanno portata e lasciano smorzare il lume, non venendo quindi ammesse al banchetto di nozze. Nell'interpretazione allegorica lo sposo è Cristo e il banchetto è la beatitudine eterna, per cui l'accostamento con Maria acquista ancora maggior rilievo specie quando, pochi versi dopo, Petrarca ricorda il martirio di Gesù e lo strazio della Vergine nel vedere la "spietata stampa" (le piaghe) sul corpo del figlio.