Letteratura italiana
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Matteo Maria Boiardo


La morte di Argalìa
(Orlando innamorato, I, III, 59-67)

Dopo avere sconfitto Astolfo nel duello con le proprie armi fatate, Argalìa ha affrontato Ferraguto che tuttavia, pur venendo disarcionato, rifiuta di arrendersi violando i patti e si dice deciso a conquistare Angelica a qualunque costo: poiché la fanciulla non vuol saperne di sposare il brutto saraceno, fugge insieme al fratello con l'intenzione di tornare in Oriente. Ma Ferraguto non si arrende e, dopo un lungo inseguimento, ritrova Argalìa presso la selva delle Ardenne e lo affronta nuovamente a duello, questa volta riuscendo ad avere la meglio. Argalìa, morente, lo prega di gettare il suo corpo in un fiume con tutta l'armatura, per proteggere il suo onore, e Ferraguto accoglierà la richiesta, trattenendo tuttavia l'elmo (il suo si era spezzato nel primo scontro) con la promessa di gettare anche quello in acqua dopo quattro giorni. Il saraceno però non manterrà la parola e il fatto gli verrà rimproverato dallo spettro di Argalìa in un passo famoso del "Furioso", che si riallaccia a questo episodio dell' "Innamorato".

► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Matteo Maria Boiardo


59
L'un contra l'altro de' baron se mosse,
Con forza grande e molta maistria.
Il menar delle spade e le percosse
Presso che un miglio nel bosco se odìa.

Or l'Argalia nel salto se riscosse,

Con la spada alta quanto più potia,

Fra sé dicendo: "Io nol posso ferire,
Ma tramortito a terra il farò gire."

60
Menando il colpo l'Argalia minaccia,
Che certamente l'averia stordito;
Ma Feraguto adosso a lui se caccia,
E l'un con l'altro presto fu gremito.
Più forte è lo Argalia molto di braccia,
Più destro è Feraguto e più espedito.
Or alla fin, non pur così di botto,
Feragù l'Argalia messe di sotto.


61
Ma come quel che avea possanza molta,
Tenendo Feragù forte abracciato
Così per terra di sopra se volta.

Battelo in fronte col guanto ferrato,
Ma Feragù la daga avea in man tolta,
E sotto al loco dove non è armato,
Per l'anguinaglia li passò al gallone.

Ah, Dio del cel, che gran compassione!

62
Ché se quel giovanetto aveva vita,
Non serìa stata persona più franca,
Né di tal forza, né cotanto ardita:
Altro che nostra Fede a quel non manca.
Or vede lui che sua vita ne è gita;
E con voce angosciosa e molto stanca
Rivolto a Feragù disse: - Un sol dono
Voglio da te, dapoi che morto sono.

63
Ciò te dimando per cavalleria:
Baron cortese, non me lo negare!
Che me con tutta l'armatura mia

Dentro d'un fiume tu debbi gettare,
Perché io son certo che poi si diria,
Quando altro avesse queste arme a provare:

Vil cavallier fu questo e senza ardire,

Che così armato se lasciò morire. -

64
Piangea con tal pietate Feraguto,
Che parea un giaccio posto al caldo sole,
E disse a l'Argalia: - Baron compiuto,
Sappialo Iddio di te quanto mi dole.
Il caso doloroso è intravenuto:
Sia quel che 'l celo e la fortuna vôle.

Io feci questa guerra sol per gloria:
Non tua morte cercai, ma mia vittoria.


65
Ma ben di questo te faccio contento:
A te prometto sopra la mia Fede,

Che andarà il tuo volere a compimento,
E se altro posso far, comanda e chiede.
Ma perch'io sono in mezo al tenimento
De' Cristiani, come ciascun vede,
E sto in periglio, s'io son cognosciuto,

Baron, ti prego, dammi questo aiuto.

66
Per quattro giorni l'elmo tuo mi presta,
Che poi lo gettarò senza mentire. -
Lo Argalia già morendo alcia la testa,
E parve alla dimanda consentire.
Qui stette Ferragù ne la foresta

Sin che quello ebbe sua vita a finire;

E poi che vide che al tutto era morto,
In braccio il prende quel barone acorto.

67
Subito il capo gli ebbe disarmato,
Tuttor piangendo, l'ardito guerrero:
E lui quello elmo in testa se ha allacciato,
Troncando prima via tutto il cimero.
E poi che sopra al caval fu montato,

Col morto in braccio va per un sentiero
Che dritto alla fiumana il conducia;
A quella giunto, getta l'Argalia.


I due guerrieri andarono l'uno contro l'altro, con grande forza e molta abilità. Il movimento delle spade e i colpi si sentivano a quasi un miglio di distanza nel bosco. A un certo punto Argalìa si scosse con un salto, sollevando la spada il più possibile, dicendo fra sé: "Io non posso ferirlo, ma lo farò cadere a terra tramortito."





Argalìa minaccia di sferrare il colpo, che certamente avrebbe stordito Ferraguto; ma l'altro gli si getta addosso e i due iniziano un corpo a corpo. Argalìa è assai più forte con le braccia, mentre Ferraguto è più agile e svelto. Alla fine, non proprio facilmente, Ferraguto riuscì a sopraffare Argalìa.





Ma poiché quello aveva una grande forza fisica, tenendo Ferraguto in un ferreo abbraccio, riuscì a saltargli sopra. Lo colpì in testa col guanto di ferro, ma Ferraguto aveva impugnato la spada e lo trapassò nel punto dove Argalìa non era protetto dall'armatura, giungendo al fianco attraverso l'inguine. Ah, Dio del cielo, che compassione!




Infatti se quel giovane fosse stato vivo, non vi sarebbe stata persona più valorosa, né di altrettanta forza e coraggio: gli mancava solo la nostra fede. Ora vede che sta per morire; e con voce angosciata e molto debole, rivolto a Ferraguto, disse: - Un solo regalo voglio da te, visto che sono morto.






Te lo chiedo per cavalleria: o nobile guerriero, non negarmelo! Gettami con tutta l'armatura in un fiume, perché sono sicuro che se qualcuno trovasse le mie armi poi direbbe: Questo fu un cavaliere vile e senza coraggio, visto che si lasciò morire così armato. -





Ferraguto piangeva così commosso, che sembrava un ghiaccio che si scioglie al sole, e disse ad Argalìa: - O nobile guerriero, Dio sa quanto mi dispiace per te. È stata una circostanza dolorosa: avvenga ciò che il cielo e il destino hanno stabilito. Io affrontai questo duello solo per la gloria: ho cercato la mia vittoria, non la tua morte.





Ma di questo ti accontento: ti prometto in fede mia che il desiderio sarà esaudito e, se posso fare altro, chiedi e comanda. Ma dal momento che sono in mezzo alle terre dei cristiani, come ognuno vede, e sono in pericolo se vengo riconosciuto, barone, ti prego di aiutarmi.





Prestami il tuo elmo per quattro giorni, poi getterò anch'esso senza
mentire. - Argalìa ormai morente alzò la testa, e sembrò dire di sì a quella richiesta. Ferraguto rimase nella foresta [delle Ardenne] finché l'altro morì; poi, quando vide che era spirato, quell'accorto guerriero lo prese in braccio.





L'ardito guerriero gli sfilò subito l'elmo dal capo, piangendo: e si è allacciato in testa quell'elmo, troncando prima di tutto il cimiero [con le insegne della famiglia]. E dopo essere montato a cavallo, col morto in braccio percorre un sentiero che conduce dritto al fiume; giunto lì, getta in acqua il corpo di Argalìa.


Interpretazione complessiva

  • Il duello finale tra Ferraguto e Argalìa si svolge nella foresta delle Ardenne, dove il fratello di Angelica è giunto nel tentativo di raggiungere la fanciulla per tornare nel Catai: il guerriero dorme sotto un lauro, quando giunge il saraceno deciso a riprendere lo scontro interrotto alcuni giorni prima e per prima cosa fa allontanare il cavallo del suo avversario, per precludergli ogni via di fuga, quindi attende che l'altro si risvegli per riprendere il combattimento. Questi scambi di cortesie cavalleresche sono frequenti nei poemi epici del XV-XVI sec. e in un certo senso Ferraguto intende riparare al suo precedente comportamento, quando era stato disarcionato da Argalìa e aveva rifiutato di consegnarsi, violando di fatto i patti sottoscritti in seguito alla sfida lanciata da Angelica (► TESTO: L'apparizione di Angelica). Ferraguto (Ferraù nel Furioso) è in effetti un personaggio poco incline ai comportamenti corretti e non perde occasione per mancar di parola, cosa che fa sia in questo poema che in quello di Ariosto.
  • Argalìa perde il duello soprattutto perché ha lasciato al padiglione la sua lancia fatata, che è finita nelle mani di Astolfo, inoltre il corpo di Ferraguto è a sua volta incantato a eccezione del ventre, quindi anche lui è in un certo modo invulnerabile: il duello si risolve alla fine in un brutale corpo a corpo, finché il saraceno riesce ad assestare il colpo mortale più con destrezza e agilità che non con valore militare. Argalìa gli chiede di gettare il suo cadavere in un fiume con tutte le armi, per non esporlo alla maldicenza di qualche detrattore, e Ferraguto acconsente, anche se ottiene il permesso di tenersi l'elmo per qualche giorno, dal momento che il suo si era spezzato nello scontro precedente: in realtà il saraceno non manterrà la promessa di gettarlo via insieme all'armatura e se lo terrà, dimostrando anche in questa occasione di non essere un campione di cortesia. L'episodio avrà un seguito nell'Orlando furioso, quando Ferraù, intento a cercare l'elmo che gli è caduto in un fiume, verrà aspramente rimproverato dallo spettro di Argalìa che gli rinfaccerà di essere un "mancator di fé" e un "marano", invitandolo a procurarsi col valore l'elmo di Orlando o di Rinaldo (► TESTO: La fuga di Angelica/1).


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