Traiano Boccalini
Machiavelli in Parnaso
(Ragguagli di Parnaso, I, 89)
In questo celebre "ragguaglio" della prima centuria, l'autore racconta di come Machiavelli, già bandito dal regno di Parnaso sotto minaccia di morte, sia stato scoperto nella biblioteca di un abitante e arrestato, venendo poi condotto davanti al tribunale di Apollo dove gli viene contestato il fatto di avere scritto opere scandalose come il "Principe". Machiavelli si difende affermando che lui, in realtà, ha solo descritto una prassi politica messa in atto da molti sovrani e ciò può essere utile ai lettori per comprendere i meccanismi del potere, parole che potrebbero farlo assolvere se poi non si scoprisse che le pecore, grazie alle sue opere, hanno messo i denti e minacciano i pastori, per cui lo scrittore viene condannato a morte. Il passo accredita quella interpretazione "obliqua" di Machiavelli che svela ai lettori le malefatte dei potenti, lontana dal suo pensiero ma destinata a grande fortuna almeno sino a Foscolo.
► PERCORSO: La Controriforma
► PERCORSO: La Controriforma
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I, 89 Niccolò Macchiavelli, capitalmente [1] sbandito da Parnaso, essendo stato ritrovato ascoso nella bibliotheca di un suo amico, contro lui vien eseguita la sentenza data prima del fuoco. Tuttoché [2] Niccolò Macchiavelli molti anni sono fosse sbandito da Parnaso e suo territorio con pena gravissima tanto a lui quanto a quelli che havessero ardito nella lor bibliotheca dar ricetto ad huomo tanto pernicioso, la settimana passata nondimeno in casa di un suo amico, che secretamente lo teneva ascoso nella sua libraria, fu fatto prigione. Dai giudici criminali subito fu fatta la ricognitione della persona, e questa mattina contro lui doveva eseguirsi la pena del fuoco [3], quando egli fece intendere a Sua Maestà che prima gli fosse conceduto che avanti il tribunale che l’havea condannato potesse dire alcune cose in sua difesa. Apollo, usando verso lui la solita sua benignità, gli fece sapere che mandasse i suoi avvocati, che cortesemente sarebbero stati ascoltati. Replicò il Macchiavelli che voleva egli difender la causa sua, e che i fiorentini nel dir le ragioni loro non havevano bisogno di avvocati. Di modo che li fu conceduto quanto domandava. Il Macchiavelli dunque fu introdotto nella quarantia criminale [4], dove in sua difesa ragionò in questo modo: "Ecco, o Sire de’ letterati, quel Niccolò Macchiavelli, che è stato condennato per seduttore e corruttore del genere humano e per seminatore di scandalosi precetti politici. Io in tanto non intendo difendere gli scritti miei, che pubblicamente gli accuso e condanno per empi, per pieni di crudeli et esecrandi documenti da governare gli stati. Di modo che, se quella che ho pubblicata alla stampa è dottrina inventata di mio capo e sono precetti nuovi, dimando che pur hora contro di me irremessibilmente si eseguisca la sentenza che a’ giudici è piaciuto darmi contro: ma se gli scritti miei altro non contengono che quei precetti politici e quelle regole di stato che ho cavate dalle attioni di alcuni principi — che se Vostra Maestà mi dara licenza nominarò in questo luogo, — de’ quali è pena la vita dir male, qual giustitia, qual ragione vuole ch’essi che hanno inventata l’arrabbiata e disperata politica scritta da me, sieno tenuti sacrosanti, io che solo l’ho pubblicata, un ribaldo, un atheista? [5] Ché certo non so vedere per qual cagione stia bene adorar l’originale di una cosa come santa et abbruciare la copia di essa come esecrabile, e come io tanto debba esser perseguitato, quando la lettione delle historie, non solo permessa ma tanto commendata [6] da ognuno, notoriamente ha virtù di convertire in tanti Macchiavelli quelli che vi attendono con l’occhiale politico. Mercé che non così semplici sono le genti, come molti si danno a credere; sì che quei medesimi che con la grandezza degl’ingegni loro hanno saputo investigare i più reconditi secreti della natura, non habbiano anco giudicio di scoprire i veri fini che i principi hanno nelle attioni loro, ancorché artificij grandissimi usino nell’asconderli. E se i principi per facilmente, dove meglio lor pare, poter aggirare i loro sudditi, vogliono arrivare al fine di haverli balordi e grossolani, fa bisogno che si risolvino di venire all’atto, tanto bruttamente praticato da’ turchi e dal moscovita [7], di prohibir le buone lettere, che sono quelle che fanno divenir Arghi gl’intelletti ciechi; ché altrimente non conseguiranno mai il fine de’ pensieri loro. Mercé che l’hipocrisia, oggidì tanto famigliare nel mondo, solo ha la vertù delle stelle d’inclinare, non di sforzare gl’ingegni humani a creder quello che più piace a chi l’usa." Grandemente si commossero i giudici a queste parole, e parea che trattassero di rivocar la sentenza, quando l’avvocato fiscale fece saper loro che il Macchiavelli per gli abbominevoli et esecrandi precetti che si leggevano negli scritti suoi, così meritamente era stato condennato, come di nuovo severamente doveva essere punito per esser di notte stato trovato in una mandra di pecore, alle quali s’ingegnava di accommodare in bocca i denti posticci di cane, con evidente pericolo che si disertasse [8] la razza de’ pecorai, persone tanto necessarie in questo mondo, i quali indecente e fastidiosa cosa era che da quello scelerato fossero posti in pericolo di convenirli mettersi il petto a botta [9] e la manopola di ferro, quando havessero voluto munger le pecore loro o tosarle: che a qual prezzo sarebbono salite le lane et il cacio, se per l’avvenire fosse convenuto a’ pastori più guardarsi dalle stesse pecore che da’ lupi, e se non più col fischio e con la verga, ma con un reggimento di cani si dovevano tener in ubbidienza, e la notte per guardarle fosse stato bisogno non più far loro gli steccati di corda, ma i muri, i baluardi e le fosse con le contrascarpe fatte alla moderna? [10] Troppo importanti parvero ai giudici accuse tanto atroci, onde votarono tutti che fosse eseguita la sentenza data contro huomo tanto scandaloso: e per legge fondamentale pubblicarono che, per l’avvenire, ribello del genere humano fosse tenuto chi mai più havesse ardito insegnare al mondo cose tanto scandalose, confessando tutti che non la lana, non il cacio, non l’agnello che si cava dalla pecora, agli huomini pretioso rendeva quell’animale, ma la molta semplicità e l’infinita mansuetudine di lui, il quale non era possibile che in numero grande da un solo pastore venisse governato, quando affatto non fosse stato disarmato di corna, di denti e d’ingegno: e che era un voler porre il mondo tutto in combustione il tentare di far malitiosi i semplici e far veder lume a quelle talpe le quali con grandissima circonspettione la madre natura havea create cieche. |
[1] Sotto minaccia di pena capitale. [2] Benché. [3] Doveva essere mandato sul rogo. [4] Magistratura penale di quaranta membri (a Firenze e a Venezia). [5] Un uomo immorale. [6] Lodata. [7] Allusione al sultano turco e all'imperatore russo. [8] Si mandasse in rovina. [9] Lo scudo, la corazza. [10] Le scarpate di rinforzo. |
Interpretazione complessiva
- Il "ragguaglio" affronta in termini ironici l'antimachiavellismo del tardo Cinquecento (ovvero la condanna delle tesi di Machiavelli in quanto immorali e insegnamento ai tiranni) attraverso la finzione dello scrittore "capitalmente sbandito" da Parnaso e poi scoperto nella biblioteca di un suo amico, con allusione alla messa all'Indice delle sue opere e della loro proibizione da parte della Chiesa: a Machiavelli viene concesso di difendersi davanti al tribunale di Apollo e l'ex-segretario, con eloquio da avvocato tipico dei fiorentini (altra stoccata ironica) riconosce l'empietà delle sue tesi, ma si giustifica col dire che lui ha solo descritto quanto messo in atto quotidianamente dai sovrani e che sarebbe ipocrita "adorar l’originale di una cosa come santa et abbruciare la copia di essa come esecrabile", ottenendo il favore dei giudici che sono sul punto di assolverlo. La difesa di Machiavelli riconosce, fuor di metafora, alla sua opera un valore di insegnamento nei confronti dei lettori, che possono giudicare le cose con un "occhiale politico" e comprendere i segreti dell'azione dei potenti, anche se ciò è pericoloso in quanto rende gli uomini riottosi all'autorità e sediziosi, proprio come le pecore di Parnaso che, ammaestrate da Machiavelli, mettono in bocca denti da cane e diventano pericolose per i loro pastori. In altri termini Boccalini afferma che la condanna delle opere di Machiavelli deriva dal timore dei potenti di non poter tenere i popoli nell'obbedienza, dal momento che la migliore caratteristica delle "pecore" sta nella loro "mansuetudine", per cui gli scritti che aprono gli occhi alle persone e fanno "veder lume" alle talpe sono insidiosi e vanno proibiti, come fanno i despoti in Turchia e in Russia (ma, lascia intendere l'autore, anche in Italia dove la censura ecclesiastica era ferocemente attiva). Alla fine Machiavelli viene mandato al rogo e tale conclusione allude con amarezza a quei "martiri" del libero pensiero che furono realmente vittime del clima oscurantista della Controriforma, come Giordano Bruno arso vivo nel 1600 per i suoi scritti scandalosi.
- Il passo propone quella interpretazione "obliqua" del pensiero di Machiavelli come lo scrittore che, col pretesto di insegnare ai sovrani le tecniche di governo, in realtà ne svela le atrocità e mette in guardia i popoli, totalmente errata ma destinata a grande fortuna per tutto il XVII-XVIII sec. (se ne ha un'eco anche nei Sepolcri di Ugo Foscolo, dove Machiavelli è presentato come colui "che temprando lo scettro a' regnatori / gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue", vv. 156-159). Boccalini propone in un altro "ragguaglio" una lettura simile anche dell'opera di Tacito, indicandolo come costruttore di occhiali che permettono di vedere i pensieri segreti dei potenti (► TESTO: Gli occhiali di Tacito).