Lorenzo de' Medici
«O chiara stella, che coi raggi tuoi»
(Comento de' miei sonetti, I)
È il primo dei quarantuno sonetti inseriti dall'autore nel suo "Comento" in prosa, realizzato con evidente ispirazione alla "Vita nuova" di Dante di cui Lorenzo aveva un autentico culto letterario: la rima è dedicata alla morte di Simonetta Cattaneo, la bellissima nobildonna genovese amata da lui e dal fratello Giuliano, scomparsa giovanissima a causa di una malattia. La prosa introduttiva spiega l'origine del componimento e illustra l'occasione da cui esso è nato, ovvero l'osservazione di una stella molto luminosa in cielo che a Lorenzo e a un amico sembrò l'immagine della bellezza di Simonetta (la quale, per inciso, viene esplicitamente paragonata alla Beatrice dantesca con l'appellativo "gentilissima").
► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Lorenzo de' Medici
► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Lorenzo de' Medici
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Morì, come di sopra dicemmo, nella città nostra una donna, la quale se mosse a compassione generalmente tutto il popolo fiorentino, non è gran maraviglia, perché di bellezze e gentilezze umane era veramente ornata quanto alcuna che inanzi a·llei fussi suta [1]; e, infra l’altre sue excellenti dote, aveva così dolce e attrattiva maniera, che tutti quelli che con lei avevono qualche domestica notizia [2] credevono da essa sommamente essere amati. Le donne ancora e giovane sue equali non solamente di questa sua excellenzia tra l’altre non avevono invidia alcuna, ma sommamente essaltavono e laudavono la biltà e gentilezza sua [3]: per modo che impossibile pareva a credere che tanti uomini sanza gelosia l’amassino e tante donne sanza invidia la laudassino. E se bene la vita sua, per le sue degnissime condizioni, a tutti la facessi carissima [4], pure la compassione della morte, e per la età molto verde [5] e per la bellezza che, così morta, forse più che mai alcuna viva mostrava, lasciò di lei uno ardentissimo desiderio. E perché da casa al luogo della sepoltura fu portata scoperta, a tutti che concorsono per vederla mosse grande copia [6] di lacrime: de’ quali, in quelli che prima n’avevono alcuna notizia, oltre alla compassione nacque ammirazione che lei nella morte avesse superato quella bellezza che, viva, pareva insuperabile; in quelli che prima non la conoscevano, nasceva uno dolore e quasi rimordimento [7] di non avere conosciuto sì bella cosa prima che ne fussino al tutto privati, e allora conosciutola per averne perpetuo dolore. Veramente in lei si verificava quello che dice il nostro Petrarca: «Morte bella parea nel suo bel volto». [8]
Essendo adunque questa tale così morta, tutti e fiorentini ingegni, come si conveniva in tale publica iattura, diversamente e si dolsono, chi in versi e chi in prosa, della acerbità di questa morte, e si sforzorono laudarla, ciascuno secondo la facultà del suo ingegno; tra li quali io ancora volsi essere [9] e accompagnare le lacrime loro con li infrascritti sonetti, de’ quali il primo comincia: O chiara stella, che coi raggi tuoi. Era notte e andavamo insieme parlando di questa comune iattura uno carissimo amico mio e io; e così parlando, et essendo il tempo molto sereno, voltavamo gli occhi a una chiarissima stella, la quale verso l’occidente si vedeva, di tanto splendore certamente, che non solamente di gran lunga l’altre stelle superava, ma era tanto lucida, che faceva fare qualche ombra a quelli corpi che a tale luce s’opponevono. E, avendone di principio ammirazione, io, vòlto a questo mio amico, dissi: – Non ce ne maravigliamo, perché l’anima di quella gentilissima [10] o è transformata in questa nuova stella o si è coniunta con essa; e, se questo è, non pare mirabile questo splendore. E però, come fu la bellezza sua, viva, di gran conforto agli occhi nostri, confortiamogli al presente con la visione di questa chiarissima stella; e se la vista nostra è debole e frale [11] a tanta luce, preghiamo el nume, cioè la divinità sua, che li fortifichi, levando una parte di tanto splendore [12], per modo che sanza offensione degli occhi la possiamo alquanto contemplare. E per certo, essendo ornata della bellezza di colei, non è presuntuosa volendo vincere di splendore l’altre stelle, ma ancora potrebbe contendere con Phebo [13] e domandarli il suo carro, per essere auttrice lei del giorno. E, se questo è, che sanza presunzione questa stella possi fare questo, grandissima presunzione è suta quella della morte, avendo manomessa [14] tanta excellentissima bellezza e virtù –. Parendomi questi ragionamenti assai buona materia a uno sonetto, mi parti’ [15] da quello amico mio e composi il presente sonetto, nel quale parlo alla sopra detta stella. |
[1] Più di qualunque altra vissuta prima.
[2] Qualche dimestichezza, qualche rapporto. [3] La sua bellezza e nobiltà. [4] Le rendesse cara a tutti. [5] Per la sua giovane età. [6] Causò gran quantità di lacrime in tutti quelli che vennero a vederla. [7] Rimpianto. [8] Petrarca, Triumphus Mortis, I, 172 (Lorenzo cita in modo impreciso). [9] Anch'io volli essere tra loro. [10] Di quella nobilissima donna (l'epiteto è tratto dalla Vita nuova). [11] Fragile, debole. [12] Che rafforzi i nostri occhi, togliendo una parte della luminosità. [13] Febo, appellativo di Apollo (il sole). [14] Avendo oltraggiato. [15] Mi allontanai. |
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O chiara stella, che coi raggi tuoi
togli alle tue vicine stelle il lume, perché splendi assai più che ‘l tuo costume? Perché con Phebo ancor contender vuoi? Forse i belli occhi, quali ha tolti a noi Morte crudel, che omai troppo presume, accolti hai in te: adorna del lor nume, il suo bel carro a Phebo chieder puoi. O questo o nuova stella che tu sia, che di splendor novello adorni il cielo, chiamata essaudi, o nume, i voti nostri: leva dello splendor tuo tanto via, che agli occhi, che han d’eterno pianto zelo, sanza altra offensïon lieta ti mostri. |
O stella luminosa, che con i tuoi raggi offuschi la luce delle altre stelle vicine, perché splendi molto più del solito? Perché vuoi gareggiare in luminosità con Apollo [il sole]?
Forse hai accolto in te i begli occhi [di Simonetta Cattaneo] che la Morte crudele, che ormai osa troppo, ci ha tolto: ornata della loro luce, puoi chiedere ad Apollo il suo bel carro. Sia per questo o sia perché sei una stella nuova che con nuovo splendore abbellisci il cielo, invocata da noi, o dea, esaudisci le nostre preghiere: attenua in parte il tuo splendore, in modo da mostrarti lieta e senza abbagliare ai nostri occhi, che hanno versato tante lacrime. |
Interpretazione complessiva
- Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDE, CDE (con A e E in forte assonanza). Anafora dell'interrogativa "Perché" ai vv. 3-4. Il nome "Phebo" (Apollo, il dio classico che guidava il carro del sole) è ripetuto in parallelismo ai vv. 4 e 8, alla fine delle due quartine; gli stessi versi (4, 8) presentano conclusione analoga, con un verbo all'infinito e la seconda persona singolare di volere/potere ("contender vuoi / chieder puoi"). Al v. 11 "essaudi" vale "esaudisci" ed è imperativo.
- Il passo è dedicato alla morte di Simonetta Cattaneo (1453-1475), la bellissima nobildonna genovese che sposò il fiorentino Marco Vespucci e fu amata da molti uomini, inclusi lo stesso Lorenzo e il fratello Giuliano protagonista assieme a lei delle Stanze di Poliziano, i poemetto dedicato al torneo cui il nobile partecipò in suo onore: la sua morte precoce per la tisi colpì molti a Firenze e Lorenzo dedicò a tale luttuoso evento quattro sonetti, di cui il primo (quello che di fatto apre il Comento) è proprio quello contenuto in questo brano. Simonetta è presentata come una donna nobile e bella, umile e in grado di suscitare i migliori sentimenti in tutti quelli che la incontravano, dunque viene di fatto accostata alla Beatrice della Vita nuova cui rimanda anche l'epiteto dantesco "gentilissima" (del resto il libello di Dante è il modello scelto da Lorenzo per la composizione del Comento ai suoi sonetti, peraltro non portato a termine). Nel sonetto Simonetta è paragonata a una stella che brilla in cielo più delle altre e offusca con la sua luce gli altri astri, arrivando a contendere al sole il carro proprio per la sua splendente luminosità.
- Lorenzo cita, non senza qualche imprecisione, il Triumphus Mortis di Petrarca (I, 172) in cui veniva descritta Laura ormai senza vita e si diceva che "Morte bella parea nel suo bel viso", dunque accostando di fatto Simonetta anche alla donna cantata nel Canzoniere (con la quale il personaggio ha più di un'analogia, essendo ovviamente una figura priva del valore religioso assegnato invece da Dante a Beatrice). Petrarca è per Lorenzo, assieme a Dante, uno dei modelli privilegiati per la sua lirica amorosa.