Cecco Angiolieri
«Becchin'amor»
(Sonetti, 47)
Il testo presenta un dialogo a botta e risposta tra Cecco e la sua amante Becchina, dalla quale l'uomo supplica il perdono per qualche tradimento e riceve per tutta risposta insulti e l'invito ad andarsene. In realtà la donna viene mostrata come molto abile dialetticamente e dotata di astuzia nel tenere "sulla corda" il suo spasimante, come si deduce dalla battuta finale in cui essa gode tra sé del fatto di "tenere" il cuore di Cecco.
► PERCORSO: La poesia comica e giullaresca
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«Becchin’ amor!» «Che vuo’, falso tradito?»
«Che·mmi perdoni». «[Tu] non ne se’ degno». «Merzé, per Deo!» «Tu vien’ molto gecchito». «E verrò sempre». «Che saràmi pegno?» «La buona fé». «Tu·nne se’ mal fornito». «No inver’ di te». «Non calmar, ch’i’ ne vegno». «In che fallai?» «Tu·ssa’ ch’i’ l’abbo udito». «Dimmel’, amor». «Va’, che·tti veng’ un segno!» «Vuo’ pur ch’i’ muoia?» «Anzi mi par mill’anni». «Tu non di’ bene». «Tu m’insegnerai». «Ed i’ morrò». «Omè, che·ttu m’inganni!» «Die te’l perdoni». «E·cché, non te ne vai?» «Or potess’io!» «Tegnoti per li panni?» «Tu tieni ’l cuore». «E terrò co’ tuo’ guai». |
«Becchina, amore!» «Cosa vuoi, bugiardo traditore?»
«Che mi perdoni». «Tu non te lo meriti». «Pietà, in nome di Dio!» «Tu vieni qui molto umile». «E verrò sempre così». «Che pegno mi darai [per dimostrarmelo]?» «La buona fede». «Tu ne hai molto poca». «Non verso di te». «Non cercare di calmarmi, poiché ne ho appena fatta esperienza». «In cosa ho sbagliato?» «Tu sai che l'ho sentito dire». «Dimmelo, amore». «Va', che ti venga un colpo!» «Vuoi davvero che io muoia?» «Anzi, non vedo l'ora». «Tu non parli bene». «Adesso mi insegnerai tu». «Ed io morirò». «Ahimè, tu mi inganni! [purtroppo non è vero]» «Dio ti perdoni per questo». «E allora, non te ne vai?» «Potessi farlo!» «Ti trattengo per la veste?» «Tu trattieni il mio cuore». «[Tra sé] E lo terrò procurandoti danno». |
Interpretazione complessiva
- Il sonetto ha schema della rima ABAB, ABAB, CDC, DCD e presenta una struttura singolare, poiché ogni verso contiene le due battute alternative dei personaggi (Cecco e la risposta di Becchina) perfettamente ripartite tra i due emistichi dell'endecasillabo. Numerosi i termini del lessico popolare, come tradito (v. 1, "traditore"), calmar (v. 6, "cercare di calmare"), abbo (v. 7, "io ho"), un segno (v. 8, nel senso di "un colpo", un malanno come segno divino), mi par mill'anni (v. 9, "l'attesa mi sembra interminabile", "non vedo l'ora"). Merzé e gecchito (v. 3, "pietà" e "umile") sono invece provenzalismi e derivano dalla lirica occitanica.
- Il testo riprende la forma del "contrasto" tipico della letteratura amorosa e della poesia comica, anche se qui la situazione è grottesca e rovesciata: Cecco non cerca di sedurre Becchina ma di ottenere il suo perdono per qualche torto commesso (prob. un tradimento, anche se la cosa non è detta esplicitamente), mentre alla fine lei glielo concede ma si compiace anche di tenere in pugno l'innamorato e di procurargli dei guai ("E terrò co’ tuo’ guai"). L'autore mescola termini della tradizione colta e aulica con espressioni popolari e gergali, specie nelle risposte di Becchina che ribatte colpo su colpo alle richieste e professioni di innocenza di Cecco, alludendo in modo poco chiaro a ciò che sa sul suo conto e rispondendo anche in modo ironico alle proteste dell'uomo ("Tu m’insegnerai", "Tegnoti per li panni?"). La commistione di tono alto e popolare ricorda il contrasto di Cielo d'Alcamo (► TESTO: Rosa fresca aulentissima), in cui una popolana ribatte con ironia alle profferte amorose di un uomo.