Letteratura italiana
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Ludovico Ariosto


Il duello di Ruggiero e Rodomonte
(Orlando furioso, XLVI, 101-140)

Mentre si sta svolgendo il banchetto nuziale di Ruggiero e Bradamante, finalmente sposi dopo la fine vittoriosa della guerra tra i paladini di Carlo Magno e i mori di re Agramante, irrompe all'improvviso il pagano Rodomonte, armato di tutto punto e deciso a vendicarsi di Ruggiero che lui accusa di aver tradito la propria fede convertendosi al Cristianesimo e offrendo i suoi servigi alle forze dell'imperatore. Tutti i paladini sono pronti ad affrontare il feroce guerriero saraceno, ma Ruggiero prende su di sé l'impegno e sfida Rodomonte in un duello all'ultimo sangue, che si conclude con la morte del re di Sarza e la sua immediata caduta all'inferno. La pagina, che costituisce una evidente ripresa del duello di Enea e Turno che concludeva l'«Eneide» di Virgilio, rappresenta la fine del poema e tributa il giusto onore al personaggio di Ruggiero, divenuto protagonista degli ultimi canti a dispetto di Orlando che aveva ormai recuperato il senno.

► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso


101
L'ultimo dì, ne l'ora che 'l solenne
convito era a gran festa incominciato;
che Carlo a man sinistra Ruggier tenne,
e Bradamante avea dal destro lato;
di verso la campagna in fretta venne
contra le mense un cavalliero armato,
tutto coperto egli e 'l destrier di nero,
di gran persona, e di sembiante altiero.

102
Quest'era il re d'Algier, che per lo scorno
che gli fe' sopra il ponte la donzella,
giurato avea di non porsi arme intorno,
né stringer spada, né montare in sella,
fin che non fosse un anno, un mese e un giorno
stato, come eremita, entro una cella.
Così a quel tempo solean per se stessi
punirsi i cavallier di tali eccessi.

103
Se ben di Carlo in questo mezzo intese
e del re suo signore ogni successo;
per non disdirsi, non più l'arme prese,
che se non pertenesse il fatto ad esso.
Ma poi che tutto l'anno e tutto 'l mese
vede finito, e tutto 'l giorno appresso
con nuove arme e cavallo e spada e lancia
alla corte or ne vien quivi in Francia.

104
Senza smontar, senza chinar la testa,
e senza segno alcun di riverenza,
mostra Carlo sprezzar con la sua gesta,
e de tanti signor l'alta presenza.
Maraviglioso e attonito ognun resta,
che si pigli costui tanta licenza.
Lasciano i cibi e lascian le parole
per ascoltar ciò che 'l guerrier dir vuole.

105
Poi che fu a Carlo ed a Ruggiero a fronte,
con alta voce ed orgoglioso grido:
«Son (disse) il re di Sarza, Rodomonte,
che te, Ruggiero, alla battaglia sfido;
e qui ti vo', prima che 'l sol tramonte,
provar ch'al tuo signor sei stato infido;
e che non merti, che sei traditore,
fra questi cavallieri alcun onore.

106
Ben che tua fellonia si vegga aperta,
perché essendo cristian non pòi negarla;
pur per farla apparere anco più certa,
in questo campo vengoti a provarla:
e se persona hai qui che faccia offerta
di combatter per te, voglio accettarla.
Se non basta una, e quattro e sei n'accetto;
e a tutte manterrò quel ch'io t'ho detto.»

107
Ruggiero a quel parlar ritto levosse,
e con licenza rispose di Carlo,
che mentiva egli, e qualunqu'altro fosse,
che traditor volesse nominarlo;
che sempre col suo re così portosse,
che giustamente alcun non può biasmarlo;
e ch'era apparecchiato sostenere
che verso lui fe' sempre il suo dovere:

108
e ch'a difender la sua causa era atto,
senza torre in aiuto suo veruno;
e che sperava di mostrargli in fatto,
ch'assai n'avrebbe e forse troppo d'uno.
Quivi Rinaldo, quivi Orlando tratto,
quivi il marchese, e 'l figlio bianco e 'l bruno,
Dudon, Marfisa, contra il pagan fiero
s'eran per la difesa di Ruggiero;

109
mostrando ch'essendo egli nuovo sposo,
non dovea conturbar le proprie nozze.
Ruggier rispose lor: «State in riposo;
che per me fôran queste scuse sozze.»
L'arme che tolse al Tartaro famoso,
vennero, e fur tutte le lunghe mozze.
Gli sproni il conte Orlando a Ruggier strinse,
e Carlo al fianco la spada gli cinse.

110
Bradamante e Marfisa la corazza
posta gli aveano, e tutto l'altro arnese.
Tenne Astolfo il destrier di buona razza,
tenne la staffa il figlio del Danese.
Feron d'intorno far subito piazza
Rinaldo, Namo ed Olivier marchese:
cacciaro in fretta ognun de lo steccato
a tal bisogni sempre apparecchiato.

111
Donne e donzelle con pallida faccia
timide a guisa di columbe stanno,
che da' granosi paschi ai nidi caccia
rabbia de' venti che fremendo vanno
con tuoni e lampi, e 'l nero aer minaccia
grandine e pioggia, e a' campi strage e danno:
timide stanno per Ruggier; che male
a quel fiero pagan lor parea uguale.

112
Così a tutta la plebe e alla più parte
dei cavallieri e dei baron parea;
che di memoria ancor lor non si parte
quel ch'in Parigi il pagan fatto avea;
che, solo, a ferro e a fuoco una gran parte
n'avea distrutta, e ancor vi rimanea,
e rimarrà per molti giorni il segno:
né maggior danno altronde ebbe quel regno.

113
Tremava, più ch'a tutti gli altri, il core
a Bradamante; non ch'ella credesse
che 'l Saracin di forza, e del valore
che vien dal cor, più di Ruggier potesse;
né che ragion, che spesso dà l'onore
a chi l'ha seco, Rodomonte avesse:
pur stare ella non può senza sospetto;
che di temere, amando, ha degno effetto.

114
Oh quanto volentier sopra sé tolta
l'impresa avria di quella pugna incerta,
ancor che rimaner di vita sciolta
per quella fosse stata più che certa!
Avria eletto a morir più d'una volta,
se può più d'una morte esser sofferta,
più tosto che patir che 'l suo consorte
si ponesse a pericol de la morte.

115
Ma non sa ritrovar priego che vaglia,
perché Ruggiero a lei l'impresa lassi;
a riguardare adunque la battaglia
con mesto viso e cor trepido stassi:
quinci Ruggier, quindi il pagan si scaglia,
e vengonsi a trovar coi ferri bassi.
Le lance all'incontrar parver di gielo;
i tronchi, augelli a salir verso il cielo.

116
La lancia del pagan, che venne a corre
lo scudo a mezzo, fe' debole effetto:
tanto l'acciar, che pel famoso Ettorre
temprato avea Vulcano, era perfetto.
Ruggier la lancia parimente a porre
gli andò allo scudo, e gliele passò netto;
tutto che fosse appresso un palmo grosso,
dentro e di fuor d'acciaro, e in mezzo d'osso.

117
E se non che la lancia non sostenne
il grave scontro, e mancò al primo assalto,
e rotta in schegge e in tronchi aver le penne
parve per l'aria, tanto volò in alto;
l'osbergo aprìa (si furiosa venne),
se fosse stato adamantino smalto,
e finìa la battaglia; ma si roppe:
posero in terra ambi i destrier le groppe.

118
Con briglia e sproni i cavallieri instando,
risalir feron subito i destrieri;
e donde gittar l'aste, preso il brando,
si tornaro a ferir crudeli e fieri:
di qua di là con maestria girando
gli animosi cavalli atti e leggieri,
con le pungenti spade incominciaro
a tentar dove il ferro era più raro.

119
Non si trovò lo scoglio del serpente,
che fu sì duro, al petto Rodomonte,
né di Nembrotte la spada tagliente,
né 'l solito elmo ebbe quel dì alla fronte;
che l'usate arme, quando fu perdente
contra la donna di Dordona al ponte,
lasciato avea sospese ai sacri marmi,
come di sopra avervi detto parmi.

120
Egli avea un'altra assai buona armatura,
non come era la prima già perfetta:
ma né questa né quella né più dura
a Balisarda si sarebbe retta;
a cui non osta incanto né fattura,
né finezza d'acciar né tempra eletta.
Ruggier di qua di là sì ben lavora,
ch'al pagan l'arme in più d'un loco fora.

121
Quando si vide in tante parti rosse
il pagan l'arme, e non poter schivare
che la più parte di quelle percosse
non gli andasse la carne a ritrovare;
a maggior rabbia, a più furor si mosse,
ch'a mezzo il verno il tempestoso mare:
getta lo scudo, e a tutto suo potere
su l'elmo di Ruggiero a due man fere.

122
Con quella estrema forza che percuote
la machina ch'in Po sta su due navi,
e levata con uomini e con ruote
cader si lascia su le aguzze travi;
fere il pagan Ruggier, quanto più puote,
con ambe man sopra ogni peso gravi:
giova l'elmo incantato; che senza esso,
lui col cavallo avria in un colpo fesso.

123
Ruggiero andò due volte a capo chino,
e per cadere e braccia e gambe aperse.
Raddoppia il fiero colpo il Saracino,
che quel non abbia tempo a riaverse:
poi vien col terzo ancor; ma il brando fino
sì lungo martellar più non sofferse;
che volò in pezzi, ed al crudel pagano
disarmata lasciò di sé la mano.

124
Rodomonte per questo non s'arresta,
ma s'aventa a Ruggier che nulla sente;
in tal modo intronata avea la testa,
in tal modo offuscata avea la mente.
Ma ben dal sonno il Saracin lo desta:
gli cinge il collo col braccio possente;
e con tal nodo e tanta forza afferra,
che de l'arcion lo svelle, e caccia in terra.

125
Non fu in terra sì tosto, che risorse,
via più che d'ira, di vergogna pieno;
però che a Bradamante gli occhi torse,
e turbar vide il bel viso sereno.
Ella al cader di lui rimase in forse,
e fu la vita sua per venir meno.
Ruggiero ad emendar presto quell'onta,
stringe la spada, e col pagan s'affronta.

126
Quel gli urta il destrier contra, ma Ruggiero
lo cansa accortamente, e si ritira,
e nel passare, al fren piglia il destriero
con la man manca, e intorno lo raggira;
e con la destra intanto al cavalliero
ferire il fianco o il ventre o il petto mira;
e di due punte fe' sentirgli angoscia,
l'una nel fianco, e l'altra ne la coscia.

127
Rodomonte, ch'in mano ancor tenea
il pome e l'elsa de la spada rotta,
Ruggier su l'elmo in guisa percotea,
che lo potea stordire all'altra botta.
Ma Ruggier ch'a ragion vincer dovea,
gli prese il braccio, e tirò tanto allotta,
aggiungendo alla destra l'altra mano,
che fuor di sella al fin trasse il pagano.

128
Sua forza o sua destrezza vuol che cada
il pagan sì, ch'a Ruggier resti al paro:
vo dir che cadde in piè; che per la spada
Ruggiero averne il meglio giudicaro.
Ruggier cerca il pagan tenere a bada
lungi da sé, né di accostarsi ha caro:
per lui non fa lasciar venirsi adosso
un corpo così grande e così grosso.

129
E insanguinargli pur tuttavia il fianco
vede e la coscia e l'altre sue ferite.
Spera che venga a poco a poco manco,
sì che al fin gli abbia a dar vinta la lite.
L'elsa e 'l pome avea in mano il pagan anco,
e con tutte le forze insieme unite
da sé scagliolli, e sì Ruggier percosse,
che stordito ne fu più che mai fosse.

130
Ne la guancia de l'elmo, e ne la spalla
fu Ruggier colto, e sì quel colpo sente,
che tutto ne vacilla e ne traballa,
e ritto se sostien difficilmente.
Il pagan vuole entrar, ma il piè gli falla,
che per la coscia offesa era impotente:
e 'l volersi affrettar più del potere,
con un ginocchio in terra il fa cadere.

131
Ruggier non perde il tempo, e di grande urto
lo percuote nel petto e ne la faccia;
e sopra gli martella, e tien sì curto,
che con la mano in terra anco lo caccia.
Ma tanto fa il pagan che gli è risurto;
si stringe con Ruggier sì, che l'abbraccia:
l'uno e l'altro s'aggira, e scuote e preme,
arte aggiungendo alle sue forze estreme.

132
Di forza a Rodomonte una gran parte
la coscia e 'l fianco aperto aveano tolto.
Ruggiero avea destrezza, avea grande arte,
era alla lotta esercitato molto:
sente il vantaggio suo, né se ne parte;
e donde il sangue uscir vede più sciolto,
e dove più ferito il pagan vede,
puon braccia e petto, e l'uno e l'altro piede.

133
Rodomonte pien d'ira e di dispetto
Ruggier nel collo e ne le spalle prende:
or lo tira, or lo spinge, or sopra il petto
sollevato da terra lo sospende,
quinci e quindi lo ruota, e lo tien stretto,
e per farlo cader molto contende.
Ruggier sta in sé raccolto, e mette in opra
senno e valor, per rimaner di sopra.

134
Tanto le prese andò mutando il franco
e buon Ruggier, che Rodomonte cinse:
calcogli il petto sul sinistro fianco,
e con tutta sua forza ivi lo strinse.
La gamba destra a un tempo inanzi al manco
ginocchio e all'altro attraversogli e spinse;
e da la terra in alto sollevollo,
e con la testa in giù steso tornollo.

135
Del capo e de le schene Rodomonte
la terra impresse; e tal fu la percossa,
che da le piaghe sue, come da fonte,
lungi andò il sangue a far la terra rossa.
Ruggier, c'ha la Fortuna per la fronte,
perché levarsi il Saracin non possa,
l'una man col pugnal gli ha sopra gli occhi,
l'altra alla gola, al ventre gli ha i ginocchi.

136
Come talvolta, ove si cava l'oro
là tra' Pannoni o ne le mine ibere,
se improvisa ruina su coloro
che vi condusse empia avarizia, fere,
ne restano sì oppressi, che può il loro
spirto a pena, onde uscire, adito avere:
così fu il Saracin non meno oppresso
dal vincitor, tosto ch'in terra messo.

137
Alla vista de l'elmo gli appresenta
la punta del pugnal ch'avea già tratto;
e che si renda, minacciando, tenta,
e di lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma quel, che di morir manco paventa,
che di mostrar viltade a un minimo atto,
si torce e scuote, e per por lui di sotto
mette ogni suo vigor, né gli fa motto.

138
Come mastin sotto il feroce alano
che fissi i denti ne la gola gli abbia,
molto s'affanna e si dibatte invano
con occhi ardenti e con spumose labbia,
e non può uscire al predator di mano,
che vince di vigor, non già di rabbia:
così falla al pagano ogni pensiero
d'uscir di sotto al vincitor Ruggiero.

139
Pur si torce e dibatte sì, che viene
ad espedirsi col braccio migliore;
e con la destra man che 'l pugnal tiene,
che trasse anch'egli in quel contrasto fuore,
tenta ferir Ruggier sotto le rene:
ma il giovene s'accorse de l'errore
in che potea cader, per differire
di far quel empio Saracin morire.

140
E due e tre volte ne l'orribil fronte,
alzando, più ch'alzar si possa, il braccio,
il ferro del pugnale a Rodomonte
tutto nascose, e si levò d'impaccio.
Alle squalide ripe d'Acheronte,
sciolta dal corpo più freddo che giaccio,
bestemmiando fuggì l'alma sdegnosa,
che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.


L'ultimo giorno, nel momento in cui era iniziato il solenne banchetto nuziale, quando re Carlo Magno aveva Ruggiero alla sua sinistra e Bradamante a destra, ecco che dalla campagna giunse verso la mensa un cavaliere armato, tutto ricoperto di nero come il cavallo, di enorme corporatura e con aspetto arrogante.




Questi era il re d'Algeri [Rodomonte], che per l'umiliazione subita dalla fanciulla [Bradamante] sul ponte
aveva giurato di non cingersi più di armi né di impugnare una spada, e neppure di montare in sella prima di aver trascorso un anno, un mese e un giorno come eremita dentro una cella. Così a quei tempi i cavalieri erano soliti punirsi da soli per certi errori.





Anche se nel frattempo aveva sentito delle vittorie di Carlo e della sconfitta del re [Agramante] suo signore, per non smentirsi non prese più le armi come se il fatto non lo riguardasse. Ma quando fu trascorso un anno, un mese e un giorno venne qui alla corte di Francia con una nuova armatura, con cavallo, spada e lancia.




Senza smontare, senza chinare la testa e senza alcun gesto di rispetto, mostra di disprezzare Carlo e la nobile presenza di tanti signori con i suoi atteggiamenti. Ognuno resta meravigliato e attonito che costui si permetta un simile comportamento. Lasciano i cibi e smettono di parlare per ascoltare cosa vuol dire il guerriero.




Dopo esser giunto di fronte a Carlo e a Ruggiero, disse a gran voce e con grido orgoglioso: «Sono Rodomonte, il re di Sarza, che sfido te, Ruggiero, a duello; e voglio provarti qui, prima del tramonto, che sei stato infedele al tuo signore [Agramante], e che non meriti, essendo traditore, alcun onore fra questi cavalieri.





Anche se la tua viltà è evidente, non potendo tu negarla essendo cristiano, pure per sottolinearla vengo a provarla in questo campo: e se qui c'è qualcuno che si offra di combattere al tuo posto, accetterò la cosa. E se non basta uno solo, ne accetterò quattro o sei; e manterrò con tutti quello che ho detto a te.»





Ruggiero a quelle parole si alzò in piedi e rispose (col permesso di Carlo) che lui mentiva, come chiunque altro che lo chiamasse traditore; disse che si era comportato sempre in modo corretto
col suo re, nessuno poteva biasimarlo; ed era pronto a sostenere di aver sempre fatto il suo dovere nei suoi confronti:




e disse che era pronto a difendere la sua causa [a battersi] senza l'aiuto di nessuno; e che sperava di mostrargli nei fatti che [Rodomonte] ne avrebbe avuto abbastanza di lui solo, e forse anche troppo. A questo punto a difendere Ruggiero contro il feroce pagano si erano alzati Rinaldo e Orlando, il marchese [Oliviero], Grifone ed Aquilante, Dudone, Marfisa,





dicendo che essendo lui sposo novello non doveva turbare la festa nuziale. Ruggiero rispose loro: «State tranquilli, che simili scuse sarebbero infamanti per me.» Furono portate le armi da lui tolte al famoso Tartaro [Mandricardo] e venne bandito ogni indugio. Il conte Orlando strinse gli sproni a Ruggiero e Carlo gli cinse la spada.




Bradamante e Marfisa gli avevano posto la corazza e ogni altra armatura. Astolfo tenne il destriero di razza valida, il figlio di Uggieri il Danese [Dudone] tenne la staffa. Rinaldo, Namo e il marchese Oliviero allestirono subito la piazza intorno [per lo scontro]: cacciarono subito tutti quanto via dallo steccato, sempre pronto per simili occasioni.




Le donne e le fanciulle stanno timorose col volto pallido, simili a colombe che vengono cacciate dai pascoli ricchi di cibo ai loro nidi dalla rabbia dei venti, che vanno fremendo con tuoni e lampi, mentre l'aria scura minaccia grandine e pioggia con gravi danni per i campi: sono timorose per Ruggiero, che sembra inferiore al quel feroce pagano.





Così sembrava a tutta la plebe e alla maggior parte dei cavalieri e dei baroni, poiché ancora ricordavano quel che il pagano aveva fatto durante l'assedio di Parigi, quando da solo ne aveva messo una gran parte a ferro e fuoco e ne rimaneva ancora il segno, e sarebbe rimasto per molti giorni: né quel regno subì mai danni peggiori.





Più che a tutti gli altri tremava il cuore a Bradamante: non che credesse che il saraceno fosse superiore a Ruggiero in forza e valore di cuore, né che Rodomonte avesse la ragione che onora chi la possiede: pure non poteva evitare di aver paura, poiché il timore è un degno effetto dell'amore.





Oh, quanto volentieri avrebbe assunto sopra di sé l'impresa di quel duello incerto, anche se fosse stata più che certa di morire a causa di esso! Avrebbe deciso di morire più di una volta, se fosse possibile patire più di una morte, piuttosto che sopportare che il suo sposo si esponesse al pericolo della morte.





Ma non sa trovare preghiere efficaci a far lasciare quell'impegno a Ruggiero, dunque sta a guardare la battaglia con visto triste e cuore trepidante. Ruggiero e il pagano si scagliano da fronti opposti e vengono a urtarsi con le lance abbassate. Queste nello scontro sembrarono fatte di ghiaccio e i tronchi parvero uccelli a salire in cielo.




La lancia del pagano, che urtò lo scudo di Ruggiero al centro, sortì un debole effetto: a tal punto l'acciaio temprato per il famoso Ettore da Vulcano era perfetto. Ruggiero allo stesso modo colpì lo scudo di Rodomonte con la lancia e lo trapassò di netto, anche se era spesso quasi un palmo, d'acciaio dentro e fuori e al centro di osso.




E se non fosse stato per la lancia che non sostenne il grave scontro e fallì nel primo assalto, e si ruppe in schegge e sembrò che i tronconi avessero le ali in cielo, avrebbe squarciato la corazza di Rodomonte (tanto era veemente il colpo) foss'anche stata di smalto di diamante, e la battaglia sarebbe finita; invece si ruppe e i cavalli si adagiarono entrambi in terra.





I cavalieri li punsero subito con briglie e sproni e li fecero rialzare; e dopo aver gettato le lance impugnarono le spade e tornarono a ferirsi in modo crudele e feroce: facendo ruotare di qua e di là con maestria i cavalli agili e leggeri, cominciarono a saggiare con le spade acuminate dove il ferro dell'armatura fosse più sottile.




Rodomonte non aveva in petto la corazza di drago, che era così dura, né la spada tagliente di Nembrod, né il solito elmo in testa, poiché quando era stato battuto dalla donna di Dordona [Bradamante] al ponte aveva appeso le solite armi ai marmi sacri [del sepolcro di Zerbino e Isabella], come mi sembra di avervi detto in precedenza.





Egli aveva un'altra armatura molto buona, ma non perfetta come quell'altra: tuttavia né l'una né l'altra né una più dura avrebbero retto a Balisarda [la spada di Ruggiero], contro la quale non vale incanto né magia, né acciaio fine o particolarmente temprato. Ruggiero lavora bene da ogni lato e fora l'armatura del pagano in più di un punto.




Quando il pagano vide la sua armatura rossa di sangue in tanti punti, e che non poteva evitare che la maggior parte dei colpi gli ferissero le carni, venne a maggior rabbia e furore che non il mare in tempesta durante l'inverno: gettò lo scudo e colpì l'elmo di Ruggiero tenendo la spada a due mani, con tutta la sua forza.





Il pagano colpisce Ruggiero quanto più può, con quell'estrema violenza con cui colpisce la macchina [battipalo] che sul Po è posta su due navi e, sollevata da uomini e argani, si lascia cadere sulle travi aguzze: per fortuna Ruggiero ha l'elmo incantato, altrimenti l'altro ucciderebbe lui e il cavallo con un sol colpo.




Ruggiero chinò due volte la testa e aprì gambe e braccia per cadere. Il saraceno raddoppia il feroce colpo, perché l'altro non abbia tempo di riaversi, poi lo colpisce una terza volta; ma la spada fina non sopportò oltre un martellare così prolungato e volò in pezzi, lasciando la mano del pagano crudele disarmata.





Non per questo Rodomonte si ferma ma si avventa contro Ruggiero che non sente nulla; aveva la testa rintronata a tal punto che la mente era stordita. Ma il saraceno è lesto a svegliarlo: gli cinge il collo col suo braccio possente e lo afferra con una tale stretta e una tale forza che lo disarciona, gettandolo a terra.




Appena caduto a terra Ruggiero si rialzò, pieno più d'ira che di vergogna; infatti volse lo sguardo a Bradamante, vedendo turbato il suo bel viso sereno. Lei vedendolo cadere rimase in dubbio e stava quasi per morire di paura. Ruggiero per cancellare subito quell'onta impugna la spada e affronta il pagano.





Quello gli urta contro il cavallo, ma Ruggiero lo scansa con accortezza e si ritrae, e mentre il destriero passa afferra il freno con la mano sinistra e lo aggira; e intanto con la destra cerca di ferire il fianco o il ventre del cavaliere e lo ferì con due colpi, uno nel fianco e l'altro nella coscia.





Rodomonte, che teneva ancora in mano il manico e l'elsa della spada spezzata, colpiva Ruggiero sull'elmo con tale forza che poteva stordirlo con un secondo colpo. Ma Ruggiero, destinato a vincere in quanto aveva ragione, gli afferrò il braccio e tirò tanto, aiutandosi anche con l'altra mano, che alla fine lo fece cadere dall'arcione.




La sua forza o la sua destrezza fanno sì che il pagano cada e sia alla pari con Ruggiero: intendo dire che cadde in piedi, poiché tutti pensarono che Ruggiero fosse avvantaggiato dall'avere ancora la spada. Ruggiero cerca di tenere a bada il pagano lontano da sé, né cerca di avvicinarsi: non gli conviene lasciare che gli venga addosso con un corpo di quelle dimensioni.





E tuttavia vede il suo fianco insanguinato, come la coscia e le altre parti del corpo ferite. Spera che poco alla volta venga meno e si dichiari vinto nello scontro. Il pagano aveva ancora in mano il manico e l'elsa della spada, e li scagliò con tutte le sue forze colpendo Ruggiero con tale violenza che quello rimase più che mai stordito.




Ruggiero fu colpito nel guanciale dell'elmo e nella spalla, e sentì quella botta in modo tale che vacillò e traballò tutto, e riuscì a stento a stare in piedi. Il pagano vuole assalirlo, ma il piede è incerto per le ferite riportate alla coscia: siccome vuole affrettarsi oltre le sue forze, cade a terra con un ginocchio.





Ruggiero non perde tempo e lo colpisce con forza al petto e in faccia; lo martella dall'alto e gli è così vicino che lo costringe a tenere le mani a terra. Ma il pagano riesce a rialzarsi; si stringe a tal punto con Ruggiero che lo abbraccia: si aggirano a vicenda e lo scuote e lo preme aggiungendo la destrezza alle ultime sue forze.





La coscia e il fianco ferito avevano privato Rodomonte di molte forze. Ruggiero aveva gran destrezza e arte, era molto abile nella lotta: sente di essere in vantaggio e non se lo lascia sfuggire; e mette le braccia, il petto ed entrambi i piedi là dove vede uscire più copioso il sangue e dove vede il pagano più gravemente ferito.




Rodomonte, pieno d'ira e di stizza, afferra Ruggiero nel collo e nelle spalle: lo tira, lo spinge, lo solleva da terra sopra il petto, lo fa ruotare da una parte all'altra e lo tiene stretto, lottando più che può per farlo cadere. Ruggiero sta raccolto in sé e usa senno e valore per restare sopra di lui.






Il valoroso e abile Ruggiero cambiò le prese a tal punto che alla fine cinse Rodomonte: gli premette il petto sul fianco sinistro e lo strinse qui con tutta la sua forza.
Spinse trasversalmente la sua gamba destra contro le ginocchia dell’avversario per fare leva e rovesciarlo; e lo sollevò da terra in alto, facendolo ricadere riverso al suolo.




Rodomonte colpì il suolo pesantemente con la testa e la schiena; e la percossa fu tale che dalle sue ferite il sangue uscì copiosamente ad arrossare la terra, come da una sorgente. Ruggiero, che ha il favore della fortuna, perché il saraceno non possa alzarsi, gli ha posto una mano con il pugnale sugli occhi, l'altra alla gola e le ginocchia sul ventre.




Come talvolta in quelle terre dove si estrae l'oro, tra i Pannoni [in Ungheria] o nelle miniere in Spagna, se un improvviso crollo seppellisce coloro che furono condotti lì dalla nefasta avarizia, questi restano oppressi al punto che il loro respiro può a malapena uscire: così il saraceno fu altrettanto schiacciato dal vincitore, non appena fu messo a terra.





Gli fa vedere alla visiera dell'elmo la punta del pugnale che aveva estratto e lo induce ad arrendersi, impegnandosi a risparmiarlo. Ma quello, che teme la morte meno che di mostrare un minimo atto di viltà, si contorce e si scuote e usa ogni sua energia per metterlo di sotto, senza dir nulla.





Come un mastino sotto un feroce alano, che gli ha conficcato i denti in gola, si affanna molto e si dibatte invano con gli occhi ardenti e con le fauci schiumanti, e non può sfuggire al predatore che lo supera in vigore e non in ferocia: così il pagano fallisce in ogni tentativo di sfuggire al vincitore Ruggiero.





Pure Rodomonte si contorce e si dibatte al punto che riesce a liberare il braccio destro; e con la destra che brandisce il pugnale che anch'egli ha estratto in quel frangente tenta di ferire Ruggiero sotto il fianco: ma il giovane si accorse dell'errore che poteva commettere, nel rimandare l'uccisione di quell'empio saraceno.




E alzando il più possibile due o tre volte il braccio sulla sua orribile fronte, immerse tutto il ferro del suo pugnale nel corpo di Rodomonte, levandosi d'impaccio. L'anima sdegnosa, che nella vita fu così arrogante e sdegnosa, sciolta dal corpo freddo più del ghiaccio, fuggì bestemmiando verso le squallide rive dell'Acheronte.


Interpretazione complessiva

  • Il vero protagonista dell'episodio è Rodomonte, il feroce re di Sarza già protagonista di vari episodi del poema in cui ha mostrato la sua bestialità e si è segnalato per la sua pressoché totale mancanza di cortesia (► TESTI: L'assedio di Parigi; La morte di Isabella): anche in questo caso non si smentisce e dopo la sconfitta subita ad opera di Bradamante presso il sepolcro di Zerbino e Isabella, dove sfidava tutti i cavalieri che volevano varcare un ponte, e dopo che per vergogna si è spogliato delle sue armi e ha trascorso un anno chiuso in una cella a "espiare" la colpa (XXXV.38 ss.), si presenta alle nozze della donna e di Ruggiero mostrando la consueta scortesia e accusando il giovane di essere un fellone e un traditore per essersi convertito al Cristianesimo e aver militato contro il suo re Agramante. Rodomonte si comporta in modo scortese in quanto non mostra rispetto per l'imperatore e tutta la sua corte riunita, laddove Ruggiero chiede il permesso di Carlo prima di rispondere, inoltre anche durante il duello si comporta vilmente quando approfitta del fatto che l'avversario è a piedi mentre lui è ancora in sella al suo cavallo, confermando ancora una volta che la cortesia non è una prerogativa dei personaggi pagani. Anche l'accusa rivolta a Ruggiero è pretestuosa, in quanto il giovane era rimasto fedele ad Agramante fino alla sua conversione e solo in seguito aveva militato tra le file dell'esercito cristiano, dunque il guerriero pagano non ha la ragione dalla sua parte (e questo determina la vittoria di Ruggiero nel duello, perché assistito dalla fortuna). Da notare ancora che dopo la "disfida" di Rodomonte i paladini di Carlo Magno fanno a gara nell'offrirsi di lottare al suo posto, e tale invito è ovviamente declinato da Ruggiero che giudicherebbe un'infamia farsi sostituire nello scontro con l'uomo che lo ha accusato. Tutti i compagni lo aiutano a rivestirsi delle armi sottratte a Mandricardo dopo averlo ucciso, che sono quelle già appartenute al troiano Ettore e fabbricate addirittura da Vulcano, mentre la spada che Ruggiero impugna è la consueta Balisarda, perché Durindana (la spada di Orlando presa con l'inganno dal re tartaro) era tornata al legittimo proprietario.
  • Il duello, che avviene alla presenza di tutta la corte dei Franchi e sotto gli occhi atterriti di Bradamante, viene descritto dall'autore con una certa competenza in campo tecnico e con una progressione di eventi che accresce man mano la suspence dell'evento finale del poema: dapprima i due contendenti partono lancia in resta con le aste che si spezzano nello scontro senza produrre danni, per cui essi iniziano a duellare a cavallo con le spade; quella di Rodomonte si spezza a sua volta e il pagano riesce comunque a disarcionare Ruggiero, approfittando poi in modo vile del vantaggio di essere ancora a cavallo; Ruggiero riesce a disarcionare l'avversario e a infliggergli parecchie ferite, anche se Rodomonte lo colpisce con il troncone della sua spada; infine i due ingaggiano un tremendo corpo a corpo e Ruggiero riesce ad avere la meglio usando la destrezza e l'agilità per avere ragione dell'enorme mole del saraceno, approfittando anche della sua debolezza per le numerose ferite riportate. La conclusione è drammatica, con Ruggiero che riesce a mettere sotto l'avversario e lo minaccia col pugnale, intimandogli di arrendersi e offrendogli di risparmiarlo, ma di fronte al rifiuto di Rodomonte e al suo ennesimo tentativo di colpirlo è quasi costretto a ucciderlo, affondandogli nella testa il ferro del pugnale e mettendo fine alla vita arrogante e altera del re africano. È significativo che gli ultimi versi del poema siano dedicati al duello che oppone il campione di ferocia dei saraceni a Ruggiero, diventato protagonista dei canti finali in cui ha quasi sostituito Orlando, dal momento che a lui e Bradamante è dedicato il tema encomiastico relativo alla genesi degli Este la cui grandezza è stata profetizzata con tono solenne nelle ottave immediatamente precedenti (con la descrizione del padiglione del letto nuziale di Costantino inviato dalla maga Melissa e istoriato con le future gesta dei discendenti dei due futuri sposi: cfr. XLVI.76-98).
  • In tutto l'episodio è evidente la ripresa del duello di Turno ed Enea che chiudeva il poema virgiliano, specie degli ultimi versi in cui la descrizione dell'anima di Rodomonte che scende all'Acheronte si rifà al passo finale di Aen., XII.950-2 (hoc dicens ferrum adverso sub pectore condit / fervidus; ast illi solvuntur frigore membra / vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras, "mentre Enea dice questo gli affonda nel petto il ferro caldo e a Turno le membra si sciolgono dal freddo, e la vita fugge sdegnosa con un gemito fra le ombre"). L'altra analogia è il fatto che entrambi i vincitori, Enea e Ruggiero, pensano di risparmiare la vita al loro avversario, anche se Enea cambiava idea alla vista della cintura di Pallante e per desiderio di vendetta, mentre Ruggiero è costretto a uccidere Rodomonte per il suo estremo tentativo di reagire. La differenza è la caratterizzazione negativa di Rodomonte come guerriero feroce e arrogante, irrispettoso delle regole cavalleresche e privo di ragione nel duello, laddove Turno conservava anche alla fine una certa nobiltà data dal fatto che lui pensava di essere nel giusto (il re dei Rutuli era pur sempre il promesso sposo di Lavinia e aveva i suoi motivi per volersi opporre a Enea in guerra). Rodomonte riecheggiava la figura di Turno anche nell'assedio di Parigi, quando compiva enormi uccisioni da solo entro le mura della città e ne veniva scacciato a fatica, allontanandosi a nuoto nella Senna come Turno nel Tevere dopo essere uscito dal campo troiano (nel libro IX dell'Eneide).


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