Dante Alighieri
L'invettiva di S. Pietro
(Paradiso, XXVII, 1-66)
Dante, dopo aver superato brillantemente l'esame sul possesso delle tre virtù teologali (cui è stato sottoposto da S. Pietro, S. Giacomo e S. Giovanni nei canti precedenti) e aver parlato con l'anima di Adamo, vede la luce di Pietro assumere un colore rossastro, come poi farà tutto il cielo delle stelle fisse, mentre il primo papa prorompe in una durissima invettiva contro la corruzione della Chiesa, attaccando in particolare papa Bonifacio VIII che viene accusato di usurpare il soglio pontificio e di aver insozzato il Vaticano con le sue malefatte. Il passo è uno dei momenti di maggiore polemica contro la simonia e i papi corrotti, da accostare ad altri celebri episodi del poema come il canto XIX dell' "Inferno" in cui era già stata preannunciata la futura dannazione di Bonifacio.
► PERCORSO: La poesia religiosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Divina Commedia
► PERCORSO: La poesia religiosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Divina Commedia
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‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso, sì che m’inebriava il dolce canto. Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso de l’universo; per che mia ebbrezza intrava per l’udire e per lo viso. Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! oh vita intègra d’amore e di pace! oh sanza brama sicura ricchezza! Dinanzi a li occhi miei le quattro face stavano accese, e quella che pria venne incominciò a farsi più vivace, e tal ne la sembianza sua divenne, qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte fossero augelli e cambiassersi penne. La provedenza, che quivi comparte vice e officio, nel beato coro silenzio posto avea da ogne parte, quand’io udi’: «Se io mi trascoloro, non ti maravigliar, ché, dicend’io, vedrai trascolorar tutti costoro. Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio, che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio, fatt’ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza; onde ’l perverso che cadde di qua sù, là giù si placa». Di quel color che per lo sole avverso nube dipigne da sera e da mane, vid’io allora tutto ’l ciel cosperso. E come donna onesta che permane di sé sicura, e per l’altrui fallanza, pur ascoltando, timida si fane, così Beatrice trasmutò sembianza; e tale eclissi credo che ’n ciel fue, quando patì la supprema possanza. Poi procedetter le parole sue con voce tanto da sé trasmutata, che la sembianza non si mutò piùe: «Non fu la sposa di Cristo allevata del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, per essere ad acquisto d’oro usata; ma per acquisto d’esto viver lieto e Sisto e Pio e Calisto e Urbano sparser lo sangue dopo molto fleto. Non fu nostra intenzion ch’a destra mano d’i nostri successor parte sedesse, parte da l’altra del popol cristiano; né che le chiavi che mi fuor concesse, divenisser signaculo in vessillo che contra battezzati combattesse; né ch’io fossi figura di sigillo a privilegi venduti e mendaci, ond’io sovente arrosso e disfavillo. In vesta di pastor lupi rapaci si veggion di qua sù per tutti i paschi: o difesa di Dio, perché pur giaci? Del sangue nostro Caorsini e Guaschi s’apparecchian di bere: o buon principio, a che vil fine convien che tu caschi! Ma l’alta provedenza, che con Scipio difese a Roma la gloria del mondo, soccorrà tosto, sì com’io concipio; e tu, figliuol, che per lo mortal pondo ancor giù tornerai, apri la bocca, e non asconder quel ch’io non ascondo». |
Tutto il Paradiso cominciò a inneggiare 'Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo!', in modo tale che il dolce canto mi inebriava.
Quello che io vedevo mi sembrava il sorriso dell'Universo, per cui l'ebbrezza penetrava in me attraverso l'udito e la vista. Che gioia! che letizia indescrivibile! Che vita completa d'amore e di pace! Che ricchezza sicura, in grado di appagare ogni desiderio! Davanti ai miei occhi le quattro luci [Pietro, Giacomo, Giovanni e Adamo] stavano accese, e quella che era giunta per prima [san Pietro] iniziò a farsi più rossa, diventando nel suo aspetto tale quale diverrebbe Giove, se lui e Marte fossero uccelli e si scambiassero le penne. La Provvidenza, che in Cielo suddivide per ognuno gli incarichi, aveva posto silenzio al coro dei beati in ogni punto, quando io sentii: «Se io cambio colore, non stupirti, dal momento che alle mie parole vedrai fare lo stesso a tutti questi beati. Colui [Bonifacio VIII] che usurpa il mio posto, il mio posto, il mio posto che è vacante pur nella presenza di Cristo, ha trasformato il mio cimitero [il Vaticano] in una fogna dove si raccolgono il sangue e la puzza; per cui il malvagio [Lucifero] che cadde da quassù, laggiù ne gode». Io vidi allora tutto il Cielo cosparso di quel colore [rossastro] che le nubi assumono per il sole opposto, a sera e al mattino. E come una donna onesta che resta sicura di sé e ascoltando le parole peccaminose di altri arrossisce, così Beatrice mutò aspetto; e credo che in cielo ci fu una tale eclissi, il giorno in cui morì Cristo. Poi le parole di san Pietro proseguirono, con una voce così alterata che il suo aspetto non mutò maggiormente: «La sposa di Cristo [la Chiesa] non fu nutrita col sangue mio, di Lino, di Anacleto, per essere usata per arricchirsi, ma Sisto, Pio, Calisto e Urbano sparsero il loro sangue, dopo molto pianto, per guadagnare questa vita beata. La nostra intenzione non era che il popolo cristiano sedesse in parte alla destra, e in parte alla sinistra dei nostri successori; né che le chiavi che mi furono concesse diventassero simbolo su vessilli usati per combattere gente battezzata; né che la mia effigie comparisse sul sigillo di privilegi falsificati e venduti, cosa per cui io spesso arrossisco e fremo di sdegno. Da quassù si vedono per tutti i pascoli dei lupi famelici nelle vesti di pastori: o vendetta divina, perché tardi ad arrivare? Papi originari di Cahors [Giovanni XXII] e di Guascogna [Clemente V] si preparano a bere del nostro sangue [ad arricchirsi con la Chiesa]: o nobile principio, come sei destinato a cadere in basso! Ma la Provvidenza divina, che con Scipione difese a Roma la gloria del mondo, interverrà presto, così come io prevedo; e tu, figliolo, che tornerai sulla Terra col tuo corpo mortale, apri la bocca e non nascondere ciò che io non ti nascondo». |
Interpretazione complessiva
- Il passo è uno dei momenti più alti della polemica di Dante contro la corruzione ecclesiastica, qui affidata non casualmente a S. Pietro che tradizionalmente è considerato il primo papa e il fondatore della Chiesa delle origini: già all'inizio l'autore descrive la gioia ineffabile del Paradiso e sottolinea che la beatitudine è una "sicura ricchezza", contrapponendola a quella materiale che è sottoposta alla "brama" dei desideri umani, quindi rappresenta lo sdegno e l'ira di Pietro con la luce rossastra che la sua anima proietta, come diventerebbe il pianeta Giove se questo e Marte fossero uccelli e si scambiassero le penne. L'immagine, potente e innovativa, segnala tutto il disprezzo del primo papa per i suoi successori corrotti e in seguito tutto il cielo delle stelle fisse assumerà un colore rossastro (o si oscurerà, secondo un'altra interpretazione), proprio come Beatrice che diventa simile a una donna onesta che ascolta parole scandalose.
- Pietro individua come bersaglio della sua polemica soprattutto Bonifacio VIII, il papa al potere al momento dell'immaginaria visione (primavera 1300) e che secondo lui "usurpa" il soglio pontificio che è vacante pur nella presenza di Cristo, accusa che è enfatizzata dalla triplice anafora "il luogo mio": l'accusa a Bonifacio è probabilmente quella di aver spinto alle dimissioni il predecessore Celestino V, come del resto pensavano i suoi oppositori (i Colonna e i francescani spirituali, tra cui anche Jacopone da Todi) che firmarono contro di lui il "manifesto di Lunghezza" con cui rifiutavano di riconoscere la sua elezione, mentre sappiamo che Dante lo considerava responsabile della presa del potere dei Guelfi Neri a Firenze e del suo esilio, come detto esplicitamente in più di un passo del poema. Pietro usa parole durissime contro di lui e lo accusa di aver trasformato il suo "cimitero" (il primo papa era sepolto nelle grotte vaticane) in una fogna piena del sangue dei suoi nemici e del puzzo della sua corruzione, al punto che Lucifero gode di ciò nell'Inferno; più avanti aggiunge che il simbolo delle chiavi è apposto su vessilli che vengono usati per combattere "contra battezzati", con riferimento alla guerra con cui Bonifacio espugnò la rocca di Palestrina dove erano asserragliati i Colonna, mentre l'effigie di Pietro viene usata per sigillare documenti che assegnano "privilegi venduti e mendaci", ovvero la vendita delle indulgenze a scopo di lucro (non si scordi che proprio Bonifacio aveva indetto il primo Giubileo nell'anno 1300, essenzialmente per trarne un vantaggio economico).
- Tutto il discorso di Pietro è incentrato sul confronto polemico tra la Chiesa delle origini, povera e perseguitata dagli imperatori pagani, e quella del Trecento che vive nella corruzione: il primo papa dichiara che la sposa di Cristo è stata nutrita col sangue dei primi papi martirizzati, tra cui lui stesso, Lino, Anacleto, Sisto I, Pio I, Calisto I e Urbano I, mentre ora i papi corrotti si arrogano il potere di decidere la sorte dei cristiani attraverso la vendita delle indulgenze ed è come se li dividessero in due schiere, una alla loro destra (gli eletti) e l'altra alla sinistra (i dannati). Pietro accusa di corruzione anche Giovanni XXII e Clemente V, indicandoli allusivamente come "Caorsini e Guaschi" in quanto originari rispettivamente di Cahors e della Guascogna in Francia, ed entrambi sono stati già aspramente attaccati da Dante: il primo è bersaglio di una durissima invettiva da parte di Dante alla fine del canto XVIII del Paradiso, mentre del secondo è profetizzata la dannazione sia da Niccolò III in Inf., XIX, sia da Beatrice in Par., XXX, col dire che questo papa (colpevole anche di aver iniziato la "cattività avignonese") ingannerà Arrigo VII durante la sua discesa in Italia.
- Pietro conclude la sua invettiva profetizzando una futura e non meglio precisata punizione divina contro la Chiesa corrotta, invocando la Provvidenza che, a suo tempo, difese la gloria di Roma al fianco di Scipione l'Africano contro Annibale, nella seconda guerra punica. L'allusione a Roma non è casuale, poiché nella visione di Dante l'Impero germanico traeva la sua autorità da quello romano ed entrambi rientravano nel disegno provvidenziale di Dio, dovendo assicurare la giustizia terrena proprio come il papa doveva garantire quella divina attraverso la diffusione del messaggio cristiano.