Letteratura italiana
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Teofilo Folengo


Il ritratto di Cingar
(Baldus, IV, 81-129)

Tra i bizzarri compagni di Baldo vi è anche Cingar, un furfante che discende dalla stessa stirpe di Margutte (il "mezzogigante" del "Morgante" con cui ha più di un tratto in comune) e di cui vi è una descrizione realistica, che elenca tutte le sue malefatte e le qualità negative che ha dimostrato nella sua carriera criminale. Il passo è costruito per paradossi e con la tecnica dell'accumulo, specie nella parte finale in cui c'è un "crescendo" che culmina con l'ennesima beffa del brigante, che sfugge per l'ennesima volta dalle mani della giustizia.

► PERCORSO: Il Rinascimento






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Alter erat Baldi compagnus nomine Cingar,
Cingar scampasoga, cimarostus, salsa diabli,
accortusque, ladro, semper truffare paratus,
in facie scarnus, reliquo sed corpore nervax,
praestus in andatu, parlatu, praestus in actu,
semper habens testam nudam, penitusque tosatam.
Praticus ad beffas, truffas, zardasque, soiasque,
deque suo vultu faciens plus mille visazzos,
et simulans varias sguerzo cum lumine morfas,
pochis vera loquens voltis, mala guida viarum,
namque domandantes quae sit via dritta camini,
insegnans tortam, comitum drizzabat in ongias.
Portabat semper scarsellam nescio qualem,
de sgaraboldellis plenam, surdisque tenais,
cum quibus oscura riccas de nocte botegas
intrabat, caricans pretiosa merce sodales.
Altaros spoiat gesiae, tacitusque subintrat
in sagrastiarum magazenos, salvaque robbas.
Sgardinat o quoties cassettam destriter illam,
qua tirat offertam pretus pro alzare capellam,
vel pro massarae potius comprare camoram.
Tres voltas forcam praesus montaverat altam,
dumque super scalam, manigoldo stante parato,
cascaturus erat, calzosque daturus ad orzam,
semper ab armato Baldo, comitante caterva,
scossus erat, mediisque armis per forza cavatus.
Qui mox ad primam tornabat protinus artem,
unde piabatur barisello rursus, et urbem
ingrediens strictus cordis, trans mille vilanos
armatos nigris spontonibus, atque zanettis,
protinus a cuncto populo, cunctaque palesus
gente botegarum conclamabatur ad auras:
«Ecce diavol adest, non lassat vivere quemquam,
spoiavit Sancti Franceschi altaria ladrus,
milleque censuras portat manigoldus adossum,
Sancti Christofori robbavit fratribus ambos
mezenos, plenumque occhis missaltibus urzum.
Non pomos brolis, non verzas lassat in hortis,
non in pollaris gallinas atque capones.
Rupit presbitero chiericam, zagumque reliquit
pistatum pugnis, quibus abstulit inde cavallam».
Talibus insultat populazzus, at ille nientum
attendit vulgi vitriata fronte cridores,
dumque in praesonem trahitur, dum forca paratur,
dum latro altuttum debet damatina picari,
nocte cadenazzos rumpit, scarpatque quadrellos,
presonem sbusat, tornatque robbare botegas.
Baldus eum socios super omnes semper amavit,
namque suam duxit Margutti a semine razzam.
L'altro compare di Baldo aveva nome Cingar, lo scampaforca, scroccone, salsa del diavolo, accorto, ladro, sempre pronto a truffare, scarno nel volto ma nel resto del corpo muscoloso, veloce a camminare, parlare e agire, sempre col capo scoperto e del tutto rasato.


Pratico di beffe, truffe, tiri mancini e burle, col suo volto fa mille boccacce, con gli occhi storti fa diverse smorfie; dice il vero poche volte, è cattiva guida per la strada: infatti a chi gli domanda quale sia il giusto sentiero lui lo insegna sbagliato, lo spedisce dritto tra le grinfie dei suoi compari.
Portava sempre non so che borsa piena di grimaldelli e sorde tenaglie, con cui penetrava nel cuore della notte nelle ricche botteghe, caricando i complici di preziosa merce.

Spoglia gli altari delle chiese e silenzioso si intrufola nei depositi delle sagrestie e nei guardaroba. Quante volte ha scassinato con destrezza la cassetta con cui il prete raccoglie le offerte per alzare la cappella, o piuttosto per comprare una gonna alla serva!

Per tre volte fu catturato e salì l'alta forca e mentre stava sulla scala il boia era già pronto, lui stava per cadere giù e dar calci all'aria: ma ecco che arrivava Baldo e tutta la banda, lo tiravano giù e lo portavano via a forza in mezzo alle armi.

E lui tornava subito all'antico mestiere e di nuovo si faceva acchiappare dal bargello; ed entrando in città legato con le corde, tra mille villani armati di spuntoni neri e di verghe, ecco che tutto il popolo, tutta la gente che lo guardava dalle botteghe gridava al vento: «Ecco il diavolo! Non lascia vivere nessuno, da quel ladro che è ha spogliato gli altari di san Francesco, il manigoldo porta addosso mille condanne, ai frati di san Cristoforo ha rubato tutte e due le mezzene del maiale, e un orcio pieno di oche sotto sale.


Non lascia pomi nei frutteti, non lascia verdure negli orti, né galline e capponi nei pollai. Ha rotto al prete la chierica, ha lasciato il sacrestano pesto di pugni e a entrambi ha portato via una cavalla!»

Con tali parole lo insulta la plebaglia, ma quello
con faccia impassibile non bada affatto alle grida del volgo, mentre viene trascinato in galera, mentre si prepara la forca per lui, mentre si attende che lui, da quel ladro che è, domattina sia impiccato: lui di notte spezza i catenacci, rompe i mattoni del muro, fa un buco nella prigione e torna a depredare le botteghe. Baldo lo ha sempre amato più di tutti i suoi compari, infatti discendeva dalla stirpe di Margutte.

Interpretazione complessiva

  • Cingar (voce dialettale lombarda che significa "zingaro") è descritto come un pessimo soggetto, furfante matricolato che rappresenta il più valido aiuto per la banda di disperati capeggiata da Baldo: è uno scampasoga ("scampaforche", poiché la soga era la corda con cui si veniva impiccati), un'anima dannata ("salsa del diavolo", altra voce popolare), dedito alla truffa, all'imbroglio e al ladrocinio, sempre intento a mentire e ad atteggiare sul volto mille smorfie e boccacce, che rappresentano una grottesca maschera; ha con sé una scarsella (borsa) piena dei ferri del mestiere, grimaldelli e tenaglie che non fanno rumore, con cui svaligia botteghe e chiese e non risparmiando neppure le cassette per le elemosine (che forse, però, il prete destina alla serva sua amante, con allusione blasfema e oscena). Il passo è costruito con la tecnica dell'accumulo e nella seconda parte si assiste a un vero e proprio "crescendo" nello sciorinare le malefatte di Cingar, tre volte catturato e tre volte sottratto all'ultimo istante all'impiccagione, portato alla berlina in mezzo alla folla e che alla fine riesce a evadere dalla prigione come se nulla fosse. La presentazione si conclude col dire che il personaggio è della stirpe di Margutte, il "mezzogigante" del Morgante con cui ha più di una somiglianza, e che per questo è sommamente amato da Baldo; dallo stesso Morgante discende invece un altro compare dei due, il gigante Fracasso che non può montare nessun cavallo per via del suo peso e che schiaccia i destrieri more fritadae, "come frittate" (IV, 62-63).
  • Vistose le analogie tra la presentazione di Cingar e quella di Margutte nel Morgante del Pulci, dal momento che entrambi sono furfanti dediti al ladrocinio e privi di qualunque scrupolo religioso, inoltre l'autore ci informa che i due sono lontani parenti: anche il "mezzogigante" era un ladro esperto nello scassinare i forzieri altrui e aveva "lime sorde" e "grimaldelli" con cui lavorava in silenzio, mentre era intento a "spogliar gli altari" o a svuotare la "cassetta" delle elemosine e la sagrestia; inoltre anche Margutte era stato catturato più volte ed era stato messo alla berlina con le "mitre" dei condannati in testa e le "granate" dietro la schiena, il che però non lo aveva dissuaso dal compiere imprese criminali (► TESTO: Incontro con Margutte). François Rabelais nel Gargantua trarrà ispirazione da entrambi gli autori e costruirà il personaggio di Panurge, amico del gigante Pantagruel, in parte sul modello di Cingar, imitando in particolare l'episodio del Baldus in cui Cingar litiga con alcuni pastori (XII, 154 ss.).


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