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Dante Alighieri


La conclusione della Vita nuova
(Vita nuova, cap. XLII)

È il capitolo conclusivo del "libello", in cui Dante riferisce di aver avuto una "mirabile visione" che lo induce a non parlare più di Beatrice, almeno fino a quando non potrà dire di lei quello che mai è stato detto di alcuna altra donna: la prosa si colloca dopo il sonetto "Oltre la spera" che ha già celebrato la donna nello splendore dell'Empireo e sembra preannunciare il futuro progetto della "Commedia", per quanto esso sia solo vagamente accennato.

► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Vita nuova






5

Appresso questo sonetto [1] apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta [2] infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente. [3] Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna. E poi piaccia a colui che è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia secula benedictus. [4]

[1] È il sonetto Oltre la spera, incluso nel cap. XLI. [2] Beatrice.

[3]
E io mi impegno il più possibile di arrivare a questo, come lei sa certamente.
[4] "Colui che è benedetto per tutti i secoli".


Interpretazione complessiva

  • Il capitolo, breve come quello proemiale e rispetto ad esso complementare (► TESTO: Il proemio della Vita nuova), riferisce di una "mirabile visione" avuta da Dante di cui il poeta non spiega il contenuto, ma che sicuramente riguarda Beatrice e lo induce a non parlare più di lei, almeno fino a quando non potrà dire di lei "quello che mai non fue detto d’alcuna"; è quasi superfluo osservare che ciò sembra il preannuncio del Paradiso, anche se è arduo stabilire in che misura il progetto della Commedia avesse già preso forma nella mente di Dante in questo periodo, mentre l'accenno potrebbe riguardare vagamente opere successive (giova ricordare che il primo progetto seguito alla Vita nuova fu il Convivio, dedicato non a Beatrice ma alla filosofia). La prosa segue il sonetto Oltre la spera del cap. XLI che aveva celebrato altamente Beatrice assisa nello splendore dell'Empireo (► VAI AL TESTO) e non c'è dubbio che l'auspicio espresso riguarda una futura opera che proseguirà la poesia morale e impegnata che la fase delle "nove rime" ha inaugurato, superando in certa misura lo Stilnovo e prefigurando lo schema della Commedia, anche se forse il capolavoro sarà frutto di un'ispirazione successiva.
  • Il finale dell'opera contiene riferimenti religiosi come in parte avveniva già nel proemio, poiché qui Dante fa espresso riferimento a Dio indicandolo prima con l'espressione "colui a cui tutte le cose vivono", poi con la citazione scritturale "colui qui est per omnia secula benedictus", non a caso posta subito dopo l'indicazione "benedetta Beatrice" (ciò avvalora l'accostamento Beatrice-Cristo che è stato più volte esplicitato nella seconda parte dell'opera). Non è forse casuale che in Purg., XXX, 19 uno dei vegliardi della processione simbolica invochi l'apparizione di Beatrice con la frase "Benedictus qui venis", che ancora una volta crea una voluta ambiguità tra la donna e Cristo, mentre la comparsa della "gentilissima" avverrà con evidenti attributi cristologici.


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