Francesco Guicciardini
Il proemio della Storia d'Italia
(Storia d'Italia, I, 1-2)
La pagina iniziale dell'opera presenta la materia del trattato e traccia un quadro pressoché idilliaco dell'Italia alla fine del Quattrocento, alla vigilia del "fatidico" 1494 in cui Carlo VIII scese in armi per conquistarla e diede inizio a un periodo di grave crisi politica e militare della Penisola, destinato a durare per molti decenni e analizzato ampiamente anche da Machiavelli nella sua opera. Guicciardini non ha dubbi nell'attribuire all'azione politica e diplomatica di Lorenzo il Magnifico gran parte del merito di quella fase favorevole, così come fu la sua morte prematura a gettare le basi per i successivi sconvolgimenti dovuti, soprattutto, alla cupidigia e alla stoltezza degli altri capi di governo.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Francesco Guicciardini
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Francesco Guicciardini
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Io ho deliberato di scrivere le cose accadute alla memoria nostra in Italia, dappoi che l'armi de' franzesi, chiamate da' nostri prìncipi medesimi, cominciorono con grandissimo movimento a perturbarla [1]: materia, per la varietà e grandezza loro, molto memorabile e piena di atrocissimi accidenti; avendo patito tanti anni Italia tutte quelle calamità con le quali sogliono i miseri mortali, ora per l'ira giusta d'Iddio ora dalla empietà e sceleratezze degli altri uomini, essere vessati. Dalla cognizione de' quali casi, tanto vari e tanto gravi, potrà ciascuno, e per sé proprio e per bene publico, prendere molti salutiferi documenti [2] onde per innumerabili esempli evidentemente apparirà a quanta instabilità, né altrimenti che uno mare concitato da' venti, siano sottoposte le cose umane; quanto siano perniciosi, quasi sempre a se stessi ma sempre a' popoli, i consigli male misurati di coloro che dominano, quando, avendo solamente innanzi agli occhi o errori vani o le cupidità presenti, non si ricordando delle spesse variazioni della fortuna, e convertendo in detrimento [3] altrui la potestà conceduta loro per la salute comune, si fanno, poca prudenza o per troppa ambizione, autori di nuove turbazioni.
Ma le calamità d'Italia (acciocché io faccia noto quale fusse allora lo stato suo, e insieme le cagioni dalle quali ebbeno l'origine tanti mali) cominciorono con tanto maggiore dispiacere e spavento negli animi degli uomini quanto le cose universali erano allora più liete e più felici. Perché manifesto è che, dappoi che lo imperio romano, indebolito principalmente per la mutazione degli antichi costumi, cominciò, già sono più di mille anni, di quella grandezza a declinare [4] alla quale con maravigliosa virtù e fortuna era salito, non aveva giammai sentito Italia tanta prosperità, né provato stato tanto desiderabile quanto era quello nel quale sicuramente si riposava l'anno della salute cristiana mille quattrocento novanta, e gli anni che a quello e prima e poi furono congiunti. Perché, ridotta tutta in somma pace e tranquillità, coltivata non meno ne' luoghi più montuosi e più sterili che nelle pianure e regioni sue più fertili, né sottoposta a altro imperio che de' suoi medesimi, non solo era abbondantissima d'abitatori, di mercatanzie e di ricchezze; ma illustrata sommamente dalla magnificenza di molti prìncipi, dallo splendore di molte nobilissime e bellissime città, dalla sedia e maestà della religione [5], fioriva d'uomini prestantissimi nella amministrazione delle cose publiche, e di ingegni molto nobili in tutte le dottrine e in qualunque arte preclara [6] e industriosa; né priva secondo l'uso di quella età di gloria militare e ornatissima di tante doti, meritamente appresso a tutte le nazioni nome e fama chiarissima riteneva. Nella quale felicità, acquistata con varie occasioni, la conservavano molte cagioni: ma trall'altre, di consentimento comune [7], si attribuiva laude non piccola alla industria e virtù di Lorenzo de' Medici, cittadino tanto eminente sopra 'l grado privato nella città di Firenze che per consiglio suo si reggevano le cose di quella republica, potente più per l'opportunità del sito, per gli ingegni degli uomini e per la prontezza de' danari, che per grandezza di dominio. E avendosi egli nuovamente congiunto con parentado, e ridotto a prestare fede non mediocre a' consigli suoi Innocenzo ottavo pontefice romano [8], era per tutta Italia grande il suo nome, grande nelle deliberazioni delle cose comuni l'autorità. E conoscendo che alla republica fiorentina e a sé proprio sarebbe molto pericoloso se alcuno de' maggiori potentati ampliasse più la sua potenza, procurava con ogni studio che le cose d'Italia in modo bilanciate si mantenessino che più in una che in un'altra parte non pendessino: il che, senza la conservazione della pace e senza vegghiare con somma diligenza ogni accidente benché minimo, succedere non poteva. [...] Tale era lo stato delle cose, tali erano i fondamenti della tranquillità d'Italia, disposti e contrapesati in modo che non solo di alterazione presente non si temeva ma né si poteva facilmente congetturare da quali consigli o per quali casi o con quali armi s'avesse a muovere tanta quiete. Quando, nel mese di aprile dell'anno mille quattrocento novantadue, sopravenne la morte di Lorenzo de' Medici; morte acerba a lui per l'età, perché morí non finiti ancora quarantaquattro anni; acerba alla patria, la quale, per la riputazione e prudenza sua e per lo ingegno attissimo a tutte le cose onorate e eccellenti, fioriva maravigliosamente di ricchezze e di tutti quegli beni e ornamenti da' quali suole essere nelle cose umane la lunga pace accompagnata. Ma e fu morte incomodissima [9] al resto d'Italia, cosí per l'altre operazioni le quali da lui, per la sicurtà comune, continuamente si facevano, come perché era mezzo a moderare e quasi uno freno ne' dispareri e ne' sospetti i quali, per diverse cagioni, tra Ferdinando e Lodovico Sforza [10], príncipi di ambizione e di potenza quasi pari, spesse volte nascevano. |
[1] Allude alla discesa in Italia delle truppe francesi di Carlo VIII, nel 1494. [2] Molti utili insegnamenti. [3] A danno. [4] A decadere da quella grandezza. [5] Roma, la sede del Papato. [6] Più illustre. [7] Per comune consenso. [8] Papa Innocenzo VIII (1432-1492), fu amico e interlocutore di Lorenzo, che diede la figlia Maddalena in sposa a un figlio naturale del pontefice. [9] Dannosissima. [10] Ferdinando d'Aragona, re di Napoli, e Ludovico il Moro, duca di Milano. |
Interpretazione complessiva
- Il proemio dell'opera contiene essenzialmente l'enunciazione della materia del trattato e l'autore, con uno stile che inclina poco alla retorica, dichiara di voler spiegare come l'Italia, in seguito all'invasione delle armi francesi nel 1494, sia entrata in una gravissima crisi politica e militare che è ancora in pieno svolgimento all'epoca della composizione (1537-40) e che fu oggetto di analisi anche da parte di Machiavelli, specie nel cap. XXV del Principe sulla fortuna (► TESTO: Il principe e la fortuna). La differenza principale tra i due autori riguarda proprio questo punto, poiché Machiavelli accusava soprattutto la debolezza e l'insipienza dei principi italiani che ebbero responsabilità diretta nel consegnare la Penisola agli eserciti stranieri, mentre Guicciardini rimarca il grande potere della fortuna a causa della quale le vicende umane sono terribilmente instabili, come "uno mare concitato da' venti" (cfr. anche analoghe considerazioni nei Ricordi; ► TESTO: Discrezione e fortuna). In particolare Guicciardini sottolinea come la situazione italiana intorno al 1490 fosse consolidata e stabile, grazie specialmente alla politica di equilibrio portata avanti con successo da Lorenzo il Magnifico, alla cui morte (avvenuta in modo prematuro e inatteso nel 1492) le cose iniziarono a precipitare, dal momento che gli altri sovrani italiani non seppero far capitale della rete di relazioni e alleanze che il signore di Firenze aveva messo in piedi quando era stato al potere. Tale interpretazione era piuttosto comune nella storiografia di inizio XVI sec. ed è il motivo per cui Guicciardini inizia la Storia d'Italia proprio dal 1492, che era anche l'anno in cui Machiavelli aveva terminato la narrazione delle Istorie fiorentine.
- Il quadro dell'Italia alla fine del XV sec. che Guicciardini delinea in questa pagina ha un tono fortemente idilliaco e si rifà almeno in parte alla retorica della Penisola come terra felix e cuore pulsante dell'Impero romano, la cui grandezza viene del resto revocata all'inizio del passo: dopo la "barbarie" del Medioevo, infatti, l'Italia attorno al 1490 ha ritrovato la prosperità del tempo antico, grazie a una pace perpetua assicurata dopo la pace di Lodi del 1454 e mantenuta sino al "fatidico" 1494, in cui sembra esservi un richiamo implicito alla pax Augusta che era uno degli elementi principali della celebrazione dell'Impero di Ottaviano. Secondo Guicciardini, poi, l'Italia era coltivata nelle sue regioni più sterili e più fertili, era politicamente autonoma, densamente popolata, dedita ai commerci, abbellita da splendide città (tra cui Roma, sede della Chiesa cristiana), vantava ingegni illustri nel campo politico, filosofico e persino militare, al punto che "meritamente appresso a tutte le nazioni nome e fama chiarissima riteneva". È appena il caso di osservare che tale descrizione celebrativa non risponde che parzialmente alla realtà storica e ha il fine di far risaltare ancor più la grave crisi apertasi dopo il 1494, implicitamente paragonata da Guicciardini a quella che l'Italia subì nel 476 d.C. dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente.