Ludovico Ariosto
Orlando e Angelica a Tarragona
(Orlando furioso, XXIX, 57-74)
Dopo aver compiuto imprese sanguinose nell'attraversare i Pirenei, Orlando in preda alla pazzia scende verso il lido spagnolo di Tarragona, dove per un caso straordinario incontra Angelica e Medoro ormai sposati e decisi a imbarcarsi per l'Oriente: la fanciulla non riconosce il paladino che la follia ha abbrutito e reso assai diverso da quel che era prima, né lui riconosce la donna che ha tanto amato, tuttavia è invaghito dal suo bel viso e cerca di avventarsi contro di lei, mentre invano Medoro lo respinge con le armi. Alla fine Angelica si rende invisibile grazie al proprio anello fatato e l'ultima immagine di lei nel poema la mostra mentre cade rovinosamente dalla sua giumenta, finendo "a gambe all'aria" sulla sabbia del lido. Orlando, furibondo per la sparizione dell'oggetto dei suoi bestiali desideri, si impadronisce della cavalla cui riserverà un terribile trattamento.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso
57
E queste ed altre assai cose stupende fece nel traversar de la montagna. Dopo molto cercare, al fin discende verso meriggie alla terra di Spagna; e lungo la marina il camin prende, ch'intorno a Taracona il lito bagna: e come vuol la furia che lo mena, pensa farsi uno albergo in quella arena, 58 dove dal sole alquanto si ricuopra; e nel sabbion si caccia arrido e trito. Stando così, gli venne a caso sopra Angelica la bella e il suo marito, ch'eran (sì come io vi narrai di sopra) scesi dai monti in su l'ispano lito. A men d'un braccio ella gli giunse appresso, perché non s'era accorta ancora d'esso. 59 Che fosse Orlando, nulla le soviene: troppo è diverso da quel ch'esser suole. Da indi in qua che quel furor lo tiene, è sempre andato nudo all'ombra e al sole: se fosse nato all'aprica Siene, o dove Ammone il Garamante cole, o presso ai monti onde il gran Nilo spiccia, non dovrebbe la carne aver più arsiccia. 60 Quasi ascosi avea gli occhi ne la testa, la faccia macra, e come un osso asciutta, la chioma rabuffata, orrida e mesta, la barba folta, spaventosa e brutta. Non più a vederlo Angelica fu presta, che fosse a ritornar, tremando tutta: tutta tremando, e empiendo il ciel di grida, si volse per aiuto alla sua guida. 61 Come di lei s'accorse Orlando stolto, per ritenerla si levò di botto: così gli piacque il delicato volto, così ne venne immantinente giotto. D'averla amata e riverita molto ogni ricordo era in lui guasto e rotto. Gli corre dietro, e tien quella maniera che terria il cane a seguitar la fera. 62 Il giovine che 'l pazzo seguir vede la donna sua, gli urta il cavallo adosso, e tutto a un tempo lo percuote e fiede, come lo trova che gli volta il dosso. Spiccar dal busto il capo se gli crede: ma la pelle trovò dura come osso, anzi via più ch'acciar; ch'Orlando nato impenetrabile era ed affatato. 63 Come Orlando sentì battersi dietro, girossi, e nel girare il pugno strinse, e con la forza che passa ogni metro, ferì il destrier che 'l Saracino spinse. Feril sul capo, e come fosse vetro, lo spezzò sì, che quel cavallo estinse: e rivoltosse in un medesmo istante dietro a colei che gli fuggiva inante. 64 Caccia Angelica in fretta la giumenta, e con sferza e con spron tocca e ritocca; che le parrebbe a quel bisogno lenta, se ben volasse più che stral da cocca. De l'annel c'ha nel dito si ramenta, che può salvarla, e se lo getta in bocca: e l'annel, che non perde il suo costume, la fa sparir come ad un soffio il lume. 65 O fosse la paura, o che pigliasse tanto disconcio nel mutar l'annello, o pur, che la giumenta traboccasse, che non posso affermar questo né quello; nel medesmo momento che si trasse l'annello in bocca e celò il viso bello, levò le gambe ed uscì de l'arcione, e si trovò riversa in sul sabbione. 66 Più corto che quel salto era dua dita, aviluppata rimanea col matto, che con l'urto le avria tolta la vita; ma gran ventura l'aiutò a quel tratto. Cerchi pur, ch'altro furto le dia aita d'un'altra bestia, come prima ha fatto; che più non è per riaver mai questa ch'inanzi al paladin l'arena pesta. 67 Non dubitate già ch'ella non s'abbia a provedere; e seguitiamo Orlando, in cui non cessa l'impeto e la rabbia perché si vada Angelica celando. Segue la bestia per la nuda sabbia, e se le vien più sempre approssimando: già già la tocca, ed ecco l'ha nel crine, indi nel freno, e la ritiene al fine. 68 Con quella festa il paladin la piglia, ch'un altro avrebbe fatto una donzella: le rassetta le redine e la briglia, e spicca un salto ed entra ne la sella; e correndo la caccia molte miglia, senza riposo, in questa parte e in quella: mai non le leva né sella né freno, né le lascia gustare erba né fieno. 69 Volendosi cacciare oltre una fossa, sozzopra se ne va con la cavalla. Non nocque a lui, né sentì la percossa; ma nel fondo la misera si spalla. Non vede Orlando come trar la possa; e finalmente se l'arreca in spalla, e su ritorna, e va con tutto il carco, quanto in tre volte non trarrebbe un arco. 70 Sentendo poi che gli gravava troppo, la pose in terra, e volea trarla a mano. Ella il seguia con passo lento e zoppo; dicea Orlando: «Camina!» e dicea invano. Se l'avesse seguito di galoppo, assai non era al desiderio insano. Al fin dal capo le levò il capestro, e dietro la legò sopra il piè destro; 71 e così la strascina, e la conforta che lo potrà seguir con maggior agio. Qual leva il pelo, e quale il cuoio porta, dei sassi ch'eran nel camin malvagio. La mal condotta bestia restò morta finalmente di strazio e di disagio. Orlando non le pensa e non la guarda, e via correndo il suo camin non tarda. 72 Di trarla, anco che morta, non rimase, continoando il corso ad occidente; e tuttavia saccheggia ville e case, se bisogno di cibo aver si sente; e frutte e carne e pan, pur ch'egli invase, rapisce; ed usa forza ad ogni gente: qual lascia morto e qual storpiato lassa; poco si ferma, e sempre inanzi passa. 73 Avrebbe così fatto, o poco manco, alla sua donna, se non s'ascondea; perché non discernea il nero dal bianco, e di giovar, nocendo si credea. Deh maledetto sia l'annello ed anco il cavallier che dato le l'avea! che se non era, avrebbe Orlando fatto di sé vendetta e di mill'altri a un tratto. 74 Né questa sola, ma fosser pur state in man d'Orlando quante oggi ne sono; ch'ad ogni modo tutte sono ingrate, né si trova tra loro oncia di buono. Ma prima che le corde rallentate al canto disugual rendano il suono, fia meglio differirlo a un'altra volta, acciò men sia noioso a chi l'ascolta. |
[Orlando] fece queste e molte altre cose straordinarie mentre attraversava i Pirenei. Dopo un lungo viaggio, alla fine scende a sud verso la Spagna e si incammina lungo la costa, sul lido di Tarragona bagnato dal mare: e obbedendo alla furia che lo domina, pensa di farsi un rifugio in quella sabbia, dove possa ripararsi un po' dal sole; e si caccia nella sabbia calda e polverosa. Mentre stava lì, sopraggiunse per caso la bella Angelica insieme al marito [Medoro], che erano scesi dai monti sul lido ispanico come vi ho narrato prima. Lei gli arrivò a meno di un braccio di distanza, perché non se ne era ancora accorta. Non pensa minimamente che quello fosse Orlando: è troppo diverso da quello che è di solito. Da quando è preda della follia ha sempre camminato nudo all'ombra e al sole: se fosse nato nell'assolata Siene o là dove i Garamanti adorano il dio Sole [nell'Africa Nera], o vicino ai monti da dove nasce il gran Nilo, non avrebbe la pelle più abbronzata. Orlando aveva quasi gli occhi incavati nel cranio, la faccia smagrita e asciutta come un osso, i capelli scarmigliati, orrendi e squallidi, la barba folta, brutta e spaventosa. Angelica, non appena lo vide, fu lesta a ritrarsene tremando: tremando e riempiendo il cielo di grida, invocò l'aiuto di Medoro. Non appena il folle Orlando si accorse di lei, si alzò subito per trattenerla: a tal punto gli piacque il suo bel viso, che ne divenne subito desideroso. In lui era svanito ogni ricordo di averla molto amata e riverita. Le corre dietro, allo stesso modo in cui il cane insegue la preda. Il giovane [Medoro] che vede la sua donna inseguita dal pazzo, gli va addosso col cavallo e al contempo lo colpisce, appena vede che l'altro gli volta le spalle. Crede di spiccargli la testa dal busto, ma trovò la sua pelle dura come un osso, anzi più dura dell'acciaio; infatti Orlando era nato invulnerabile e fatato. Appena Orlando si sentì colpito alle spalle, si voltò e nel girarsi strinse il pugno, poi con una forza indescrivibile ferì il cavallo del saraceno. Lo ferì sul capo e lo spezzò come se fosse di vetro, cosicché uccise quella bestia: e si rigirò all'istante verso colei che fuggiva di fronte a lui. Angelica sprona in fretta la giumenta e la percuote con la sferza e gli sproni; se anche la bestia volasse come una freccia scoccata dall'arco, le sembrerebbe lenta al bisogno. Si ricorda dell'anello magico che ha al dito e che può salvarla e lo infila in bocca: e l'anello, che non perde i suoi poteri, la fa svanire come il lume a un soffio d'aria. Forse per la paura, o forse perché assunse una posizione non idonea nel togliersi l'anello dal dito, oppure perché la giumenta vacillava (non posso affermare né una cosa né l'altra), nello stesso momento che mise l'anello in bocca e nascose il suo bel viso, alzò le gambe e venne disarcionata, e si ritrovò distesa sulla sabbia. Se quel salto fosse stato più corto di due dita, Angelica sarebbe caduta in braccio al pazzo, che urtandola l'avrebbe uccisa; ma fu aiutata da una gran fortuna in quel frangente. Cerchi pure di aiutarsi rubando un'altra bestia, come aveva fatto prima; infatti non potrà mai più riavere questa, che calpesta la sabbia davanti al paladino. Non dubitate che Angelica saprà arrangiarsi; e seguiamo Orlando, nel quale l'impeto e la rabbia non cessano solo perché Angelica è scomparsa. Insegue la bestia sulla nuda sabbia e le si avvicina sempre più: ormai la tocca ed ecco che la afferra per la criniera, quindi nel freno e alla fine la trattiene. Il paladino afferra la giumenta con la stessa gioia con cui un altro avrebbe afferrata una fanciulla: le sistema le redini e le briglie, spicca un salto e le balza in sella; e poi la sprona facendola correre per miglia e miglia, senza riposo, da una parte e dall'altra: non le toglie mai la sella né il freno, e non le fa mangiare mai erba né fieno. Volendo saltare al di là di un fossato, finisce sottosopra con la cavalla. Lui non si fece nulla e non sentì neppure la botta, ma la povera bestia si slogò una spalla nella caduta. Orlando non vede come tirarla fuori dal fossato; alla fine se la prende in spalla e torna su, e se ne va con tutto il carico, percorrendo lo spazio che sarebbe coperto da tre tiri con l'arco. Sentendo poi che il peso era eccessivo, la mise a terra e voleva trascinarla a mano. La bestia lo seguiva con passo lento e zoppicante; Orlando diceva: «Cammina!» e lo diceva invano. Se anche lo avesse seguito al galoppo, non avrebbe soddisfatto i desideri del pazzo. Alla fine Orlando le tolse le briglie e la legò alla zampa destra; e la trascina così e le dice, per confortarla, che lo potrà seguire più facilmente. Dei sassi che erano su quella strada impervia, alcuni tolgono il pelo alla bestia, altri la scorticano viva. La cavalla così mal condotta alla fine morì per lo strazio e il disagio. Orlando non ci pensa e non la guarda, e mentre corre non arresta il suo cammino. Orlando non smise di trascinarla continuando il cammino verso occidente, anche se la cavalla era morta; e intanto saccheggia fattorie e case, se sente di aver bisogno di cibo; e rubò frutta, carne, pane, ovunque egli poté entrare; e usò violenza contro chiunque: alcuni li uccide, altri li storpia; si ferma poco e procede sempre avanti. Avrebbe fatto la stessa cosa alla sua donna, o poco di meno, se quella non si fosse resa invisibile; infatti egli non distingueva una cosa dall'altra e credeva di giovare, quando recava danno. Ah, sia maledetto l'anello magico e anche il cavaliere [Ruggiero] che l'aveva dato ad Angelica! Infatti se non l'avesse avuto, Orlando avrebbe vendicato se stesso e mille altri allo stesso tempo. E non solo Angelica, ma fossero state in mano ad Orlando tutte le donne oggi esistenti; infatti tutte sono ingrate in ogni modo, né in loro si trova la minima cosa positiva. Ma prima che le corde ormai allentate rendano il suono del canto scordato, sarà meglio rimandarlo a un'altra occasione, affinché sia meno noioso per chi lo ascolta. |
Interpretazione complessiva
- L'episodio, che vede l'ultima apparizione diretta di Angelica nel poema, riprende quanto già narrato nel canto XIX, quando l'autore aveva descritto l'amore di Angelica e Medoro e il loro progetto di tornare in Catai dopo essersi sposati, per cui erano scesi in Spagna sulla costa dove avevano incontrato un "pazzo" non meglio precisato (► TESTO: L'amore di Angelica e Medoro): apprendiamo ora che il pazzo in questione era Orlando, la cui follia a causa del tradimento della donna è stato descritto nei canti precedenti (► TESTO: La follia di Orlando). Il paladino discende sulla costa dai Pirenei, dove ha compiuto imprese mirabolanti in preda al suo delirio, e del tutto casualmente si imbatte nei due sposi che, ovviamente, non possono riconoscerlo dato il suo aspetto abbrutito e stravolto.
- Angelica riesce a sottrarsi alla furia di Orlando grazie all'anello magico, poiché mettendolo in bocca diventa subito invisibile: l'aveva recuperato grazie a Ruggiero che l'aveva salvata dall'orca a Ebuda e servendosi di esso aveva sventato l'incanto del secondo castello di Atlante, liberando nella circostanza lo stesso Orlando e altri paladini. L'ultima immagine della fanciulla nel poema è a dir poco grottesca, poiché Angelica cade dalla giumenta e finisce letteralmente "a gambe all'aria" sulla sabbia, anche se nessuno può vederla in quanto invisibile (tranne ovviamente i lettori, ai quali appare in modo del tutto diverso dalla donna bellissima e altera che si è sempre mostrata sin qui, quasi in una sorta di beffarda parodia). La pagina ha forse una sfumatura lievemente misogina, come conferma il duro giudizio sulla volubilità femminile che Ariosto pronuncia alla fine del canto (ott. 73-74), in cui non solo si rammarica che l'anello abbia sottratto Angelica all'ira di Orlando, ma vorrebbe addirittura che tutte le donne subissero la stessa sorte. Di Angelica l'autore dirà più avanti (XXX, 16) che è tornata nel Catai insieme a Medoro, riservando ironicamente ad altri il compito di narrarne le ulteriori imprese.
- Il vero protagonista del passo è Orlando, che la follia ha ormai trasformato in un bruto irriconoscibile e spinto solo da istinti bestiali, come dimostra il fatto che insegue Angelica senza nemmeno capire chi è: l'episodio ha un risvolto paradossale e grottesco, poiché dopo l'ennesima fuga della fanciulla il paladino si impadronisce della sua giumenta e le balza in groppa spronandola a morte, quasi in uno stravolto atto amoroso che assume connotati bestiali (la metafora sessuale del cavalcare è fin troppo scoperta ed è usata anche in altri brani del poema). La follia di Orlando proseguirà anche dopo che la povera bestia si è azzoppata, poiché per un po' la porta in spalla e poi la trascina sul terreno fino ad ucciderla, lasciando intendere che avrebbe fatto lo stesso ad Angelica se l'avesse catturata. Più avanti (XXX, 5 ss.) lascia la bestia morta sulle rive di un fiume e chiede a un villano di scambiarla col suo cavallo; al rifiuto divertito dell'uomo, lo uccide e prende la cavalcatura, cambiandola poi spesso nel prosieguo del suo cammino.