Lorenzo de' Medici
«Nencia da Barberino»
In questo poemetto di argomento "rusticano" il rozzo pastore Vallèra, innamorato della bella Nencia (diminutivo forse di Lorenza), pronuncia un bizzarro elogio della fanciulla paragonandola a vari elementi della vita agricola, col risultato di parodiare la poesia lirica di stile elevato e in un certo senso lo stesso Stilnovo, secondo il gusto dissacrante e ironico di Luigi Pulci che in questo periodo esercita la sua influenza su Lorenzo de' Medici (Pulci risponderà col poemetto "Beca da Dicomano", di argomento assai simile). Il testo è interessante anche per un certo sperimentalismo linguistico, dal momento che Lorenzo imita il volgare del Mugello dove la vicenda si svolge e si allinea anche in questo al suo modello Pulci, il cui "Morgante" sarà pieno di invenzioni lessicali e popolarismi.
► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Lorenzo de' Medici
► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Lorenzo de' Medici
1
Ardo d'amore e conviemme cantare per una dama che me strugge el cuore, ch'ogni otta ch'i' la sento ricordare el cuor me brilla e par che gl'esca fuore. Ella non truova de bellezze pare, cogli occhi gitta fiaccole d'amore; i' sono stato in città e 'n castella e mai ne vidi ignuna tanto bella. 2 I' sono stato a Empoli al mercato, a Prato, a Monticelli, a San Casciano, a Colle, a Poggibonzi, e San Donato, a Grieve e quinamonte a Decomano; Fegghine e Castelfranco ho ricercato, San Piero, e 'l Borgo e Mangone e Gagliano: più bel mercato ch'entro 'l mondo sia è Barberin dov'è la Nencia mia. 3 Non vidi mai fanciulla tanto onesta, né tanto saviamente rilevata; non vidi mai la più leggiadra testa, né sì lucente, né sì ben quadrata; con quelle ciglia che pare una festa, quand'ella l'alza ched ella me guata; entro quel mezzo è 'l naso tanto bello, che par proprio bucato col succhiello. 4 Le labbra rosse paion de corallo, e havvi drento duo filar' de denti che son più bianchi che que' del cavallo: da ogni lato ve n'ha più de venti. Le gote bianche paion de cristallo, senz'altro liscio, né scorticamenti, rosse entro 'l mezzo, quant'è una rosa, che non se vide mai sì bella cosa. 5 Ell'ha quegli occhi tanto rubacuori, che la trafiggere' con egli un muro; chiunch'ella guata convien che 'nnamori, ma ella ha 'l cuore com'un ciottol duro, e sempre ha drieto un migliaio d'amadori, che da quegli occhi tutti presi furo; la se rivolge e guata questo e quello: i', per guatalla, me struggo el cervello. 6 La m'ha sì concio e 'n modo governato, ch'i' più non posso maneggiar marrone; e hamme drento sì ravviluppato, ch'i' non ho forza de 'nghiottir boccone; i' son com'un graticcio deventato, e solamente per le passïone ch'i' ho per lei nel cuore (eppur sopportole!), la m'ha legato con cento ritortole. 7 Ella potrebbe andare al paragone tra un migghiaio de belle cittadine, che l'apparisce ben tra le persone co' suo begghi atti e dolce paroline; l'ha ghi occhi suoi più neri ch'un carbone di sotto a quelle trecce biondelline, e ricciute le vette de' capegli che vi pare attaccati mill'anegli. 8 Ell'è dirittamente ballerina, che la se lancia com'una capretta, girasi come ruota de mulina, e dassi della man nella scarpetta; quand'ella compie el ballo, ella se 'nchina, po' se rivolge e duo colpi iscambietta, e fa le più leggiadre riverenze che gnuna cittadina da Firenze. 9 La Nencia mia non ha gnun mancamento, l'è bianca e rossa e de bella misura, e ha un buco ento 'l mezzo del mento che rabbellisce tutta sua figura; ell'è ripiena d'ogni sentimento, credo che 'n pruova la fesse natura, tanto leggiadra e tanto appariscente, che la diveglie el cuore a molta gente. 10 Ben se ne potrà chiamare avventurato, chi fie marito de sì bella moglie; ben se potrà tenere in buon dì nato, chi arà quel fioraliso sanza foglie; ben se potrà tener santo e bïato, e fien guarite tutte le sue doglie, aver quel viso e vederselo in braccio, morbido e bianco, che pare un sugnaccio. 11 Se tu sapessi, Nencia, el grande amore ch'i' porto a' tuo begli occhi tralucenti, e la pena ch'i' sento, e 'l gran dolore che par che mi si svèglin tutt'i denti, se tu 'l pensasse, te creperre' el cuore, e lasceresti gli altri tuo serventi, e ameresti solo el tuo Vallera, che se' colei che 'l mie cuor disidèra. 12 Nenciozza, tu me fai pur consumare, e par che tu ne pigli gran piacere; se sanza duol me potessi cavare, me sparere' per darti a divedere ch'i' t'ho 'nto 'l cuore, e fare'tel toccare; tel porre' in mano e fare'tel vedere; se tu 'l tagghiassi con una coltella e' griderrebbe: - Nencia, Nencia mia bella! - 13 Quando te veggo tra una brigata, convien che sempre intorno mi t'aggiri; e quand'i' veggo ch'un altro te guata, par proprio che del petto el cuor me tiri; tu me se' sì 'nto 'l cuore intraversata, ch'i' rovescio ognindì mille sospiri, pien' de singhiozzi, tutti lucciolando, e tutti quanti ritti a te gli mando. 14 Non ho potuto stanotte dormire, mill'anni me parea che fusse giorno, per poter via con le bestie venire, con elle insieme col tuo viso addorno; e pur del letto me convenne uscire, puosimi sotto 'l portico del forno, e livi stetti più d'un'ora e mezzo, finché la luna se ripuose, al rezzo. 15 Quand'i' te vidi uscir della capanna, col cane innanzi e colle pecorelle, e' me ricrebbe el cuor più d'una spanna, e le lagrime vennon pelle pelle; eppoi me caccia' giù con una canna, dirieto a' mie giovenchi e le vitelle, e avvïa'gli innanzi vie quinentro per aspettarti, e tu tornasti dentro. 16 I' me posi a diacer lungo la gora, abbioscio su quell'erba voltoloni, e livi stetti più d'una mezz'ora, tanto che valicorno e tuo castroni. Che fa' tu entro, ché non esci fuora? Vientene su per questi valiconi, ch'i' cacci le mie bestie nelle tua, e parrem uno, e pur saremo dua. 17 Nenciozza mia, i' vo' sabato andare sin a Firenze, a vender duo somelle de schegge, ch'i' me puosi ier a tagghiare mentre ch'i' ero a pascer le vitelle; procura ben quel ch'i' posso recare, se tu vuo' ch'i' te comperi cavelle: o liscio o biacca into 'n un cartoccino, o de squilletti o d'àgora un quattrino. 18 Se tu volessi per portare a collo un collarin di que' bottoncin' rossi, con un dondol nel mezzo, recherollo: ma dimmi se gli vuoi piccini o grossi; s'i' me dovessi tragli del midollo del fusol della gamba o degli altr'ossi, o s'i' dovessi vender la gonnella, i' te l'arrecherò, Nencia mie bella. 19 Ché non me chiedi qualche zaccherella? So che n'aopri de cento ragioni: o uno 'ntaglio per la tuo gonnella, o uncinegli, o magghiette, o bottoni, o vuoi pel camiciotto una scarsella, o cintol', per legarti gli scuffoni, o vuoi, per amagghiar la gammurrina, de seta una cordella cilestrina. 20 Gigghiozzo mio, tu te farai con Dio, perché le bestie mie son presso a casa; i' non vorrei che pel baloccar mio ne fusse ignuna in pastura rimasa; veggo che l'hanno valicato el rio, e odomi chiamar da mona Masa; rimanti lieta, i' me ne vo cantando, e sempre Nencia ento 'l mie cuor chiamando. _ |
Brucio d'amore e devo cantare per una donna che mi strugge il cuore, poiché ogni volta che sento parlare di lei il cuore mi palpita e sembra uscire fuori dal petto. Nessuna donna è pari a lei in bellezza, lei getta fiaccole d'amore dagli occhi; io sono stato in città e castelli e non ne ho mai vista un'altra bella quanto lei. Io sono stato al mercato di Empoli, a Prato, a Monticelli, a S. Casciano, a Colle Val d'Elsa, a Poggibonsi, a S. Donato, a Greve e quassù in montagna a Dicomano; ho cercato a Figline e Castelfranco, S. Pietro, Borgo S. Lorenzo, Mangona e Galliano: ma il più bel mercato che ci sia al mondo è Barberino, dove si trova la mia Nencia. Non ho mai visto una fanciulla altrettanto dignitosa, né scolpita [fatta] altrettanto bene; non ho mai visto una testa più bella, o più lucente o così ben proporzionata; con quelle ciglia, quando le solleva per guardarmi, sembra una festa; al centro del viso il naso è così bello che sembra fatto col succhiello. Le sue labbra rosse sembrano di corallo, e dentro ci sono due file di denti che sono più bianchi di quelli di un cavallo: da ogni lato ne ha più di venti. Le sue guance bianche sembrano di cristallo, senza bisogno di altro belletto, rosse nel mezzo quanto lo è una rosa, infatti non si è mai vista una creatura altrettanto bella. Lei ha quegli occhi così capaci di rubare il cuore che con essi potrebbe trafiggere un muro; chiunque ella guardi deve innamorarsi, ma lei ha il cuore duro come un ciottolo e dietro di sé ha sempre mille spasimanti, tutti presi da quegli occhi; lei si guarda intorno e fissa questo e quello: io, per guardarla, esco di senno. Mi ha conciato e ridotto in tale stato che non posso più maneggiare la zappa; e mi ha così scombussolato dentro che non posso più mangiare niente; sono diventato magro come un graticcio, e solo per la passione che ho nel cuore per lei mi ha legato con cento corde (eppure le sopporto!). Lei potrebbe reggere il paragone con un migliaio di belle cittadine, dato che con i suoi gesti e le sue dolci parole si fa apprezzare tra le persone; ha i suoi occhi più neri del carbone sotto quelle bionde trecce, e le punte dei capelli ricce, tanto che sembra che vi siano attaccati mille anelli. È una ballerina provetta e si lancia come una capretta, gira come la ruota di un mulino e tocca la scarpetta con la mano; quando balla si inchina, poi si gira e sgambetta due volte, e fa le riverenze più dolci di qualunque cittadina di Firenze. La mia Nencia non ha alcun difetto, è bianca e rossa e ben proporzionata, e ha una fossetta in mezzo al mento che dona bellezza a tutta la sua figura; è piena di ogni sentimento e credo che la natura l'abbia creata per dimostrare la sua abilità, così leggiadra e appariscente che strappa il cuore a tanti uomini. Si potrà chiamare fortunato colui che sposerà una donna così bella; si potrà definire nato in un buon giorno, chi avrà quel fiordaliso senza foglie; si potrà dire santo e beato e saranno guariti tutti i suoi dolori colui che avrà quel viso e se lo vedrà tra le braccia, morbido e bianco che pare grasso di maiale. Se tu sapessi, Nencia, il grande amore che provo per i tuoi begli occhi scintillanti, e la pena che sento e il gran dolore che sembra che mi cavino tutti i denti, se tu lo pensassi, ti si spezzerebbe il cuore e lasceresti gli altri tuoi spasimanti, e ameresti solo il tuo Vallèra, poiché tu sei quella che il mio cuore desidera. Piccola Nencia, tu mi fai consumare e sembra che ciò ti dia gran piacere; se io potessi sventrarmi senza dolore, mi aprirei in due per farti vedere che io ti porto nel mio cuore, e te lo farei toccare; te lo metterei in mano e te lo farei guardare; se tu lo tagliassi con un coltello, esso [il cuore] griderebbe: "Nencia, mia bella Nencia!". Quando ti vedo in mezzo a un gruppo di amici, devo sempre aggirarmi intorno; e quando vedo che un altro ti guarda, sembra proprio che tu mi strappi il cuore dal petto; tu sei inchiodata dentro il mio cuore al punto che io emetto ogni giorno mille sospiri, pieni di singhiozzi, piangendo, e li mando tutti direttamente a te. Stanotte non ho potuto dormire, mi sembrava di dover aspettare mille anni che fosse giorno per poter uscire con le bestie e vedere, insieme con esse, il tuo bel viso; e alla fine son dovuto uscire dal letto e mi sono messo sotto il portico del forno, e son rimasto lì più di un'ora e mezza, al freddo, finché la luna è tramontata. Quando ti ho visto uscire dalla capanna, col cane davanti e con le pecorelle, il cuore mi si è gonfiato più di una spanna, e le lacrime mi vennero sotto la pelle; poi sono uscito con un bastone dietro ai miei giovenchi e alle vitelle, e li ho fatti entrare qui dentro per aspettarti, e tu sei tornata dentro. Mi sono messo a giacere lungo il fosso, abbandonato sull'erba e voltolandomi, e son stato lì più di mezz'ora, finché sono arrivati le tue bestie. Cosa fai lì dentro, perché non esci? Vieni su per questi sentirei, affinché io mescoli le mie bestie con le tue, e sembreremo una cosa sola pur essendo in due. Mia piccola Nencia, sabato voglio andare fino a Firenze, a vendere due fascine di legna che ieri mi sono messo a tagliare mentre portavo le vitelle al pascolo; dimmi cosa ti posso portare, se vuoi che ti comperi qualcosa: o del belletto [liscio o biacca] dentro un cartoncino, o degli spilli o un quattrino di aghi. Se tu volessi portare al collo una collanina di perline rosse, con un ciondolo al centro, te lo porterò, ma dimmi se le vuoi piccole o grosse; se anche dovessi tirarli fuori dal midollo dello stinco della mia gamba o dalle altre mie ossa, o se dovessi vendere la mia veste, te le porterò, mia bella Nencia. Perché non mi chiedi qualche gioiellino? So che ne porti di cento tipi: oppure un pizzo per la tua gonna, o fibbie, o bottoni, o vuoi una borsetta per la camicia, o dei nastri per legarti le cuffie, o vuoi una corda azzurra di seta per allacciarti la gonna. Mio piccolo giglio, tu te ne andrai con Dio, perché le mie bestie sono vicino a casa; io non vorrei che, a causa delle mie chiacchiere, qualcuna fosse rimasta al pascolo; vedo che hanno guadato il ruscello, e mi sento chiamare da Monna Masa; resta qui allegra, io me ne vado cantando, e chiamo sempre Nencia nel mio cuore. |
Interpretazione complessiva
- Metro: ottave di versi endecasillabi, con schema della rima ABABABCC (proprio della poesia epica). Nel v. 5 dell'ott. 5 "migliaio" è bisillabo per trittongo, come anche "migghiaio" (7.2). Il testo, che imita la poesia popolare del Due-Trecento, non presenta molte sottigliezze retoriche, a eccezione dell'anafora "ben [se] ne potrà" (ott. 10) e dell'anafora "o" (ott. 19). Molti i termini popolari e gergali, riconducibili al volgare fiorentino e forse alla varietà del Mugello: ad es. le forme in cui il nesso -gl- evolve in -gh-, come "Fegghine" (2.5), "migghiaio" (7.2), "begghi" (7.4), "ghi" (7.5), "tagghiassi" (12.7); "drento" metatesi per "dentro" (4.2; 6.3); "livi" per "ivi" (14.7; 16.3). Voci gergali sono ad es. "somelle" ("fascine", 17.2), "dondol" ("ciondolo", 18.3), "fusol" ("stinco", 18.6) "zaccherella" ("gioiellino", 19.1), "amagghiar la gammurrina" ("legare la gonna", 19.7).
- L'autore riprende in apparenza i moduli della poesia amorosa di tradizione cortese e stilnovista, ad es. quando dice che Nencia fa innamorare di sé attraverso gli occhi ("cogli occhi gitta fiaccole d'amore", 1.6), oppure quando la definisce "onesta" (3.1), ma ovviamente il suo intento è fare la parodia della lirica elevata e infatti la descrizione della bellezza della donna è ricalcata su immagini contadinesche e pastorali: il naso sembra "bucato col succhiello" (3.8), i denti bianchi sono paragonati a quelli di un cavallo (4.3), gli occhi neri a un "carbone" (7.5); l'agilità e la grazia dei movimenti sono descritti durante il ballo in una festa paesana, in cui Nencia volteggia "com'una capretta" (8.2) e ruota su se stessa come la ruota di un mulino (8.3). La durezza della fanciulla, che non degna Vallèra di uno sguardo, è definita attraverso la metafora del cuore duro come un ciottolo (5.4), mentre il pastore per la pena amorosa dimagrisce come un graticcio (6.5) ed è legato a Nencia da "cento ritortole" (6.8), le grosse funi usate in ambito agricolo. Il lamento di Vallèra è quello di un semplice pastore innamorato di una compaesana e che si esprime in termini rudimentali e adatti al suo contesto sociale, con riferimenti al pascolo delle bestie e ai viaggi per mercati ad acquistare oggetti legati alla vita contadina, quindi non è escluso un intento parodistico anche nei confronti della poesia di argomento "pastorale" che nel Quattro-Cinquecento ebbe Iacopo Sannazaro quale esponente principale con l'Arcadia (► TESTO: Selvaggio e Ergasto).
- Il poemetto contiene numerosi riferimenti alla poesia comico-realistica del XIII-XIV sec., come nell'ott. 2 in cui Vallèra elenca i luoghi in cui ha inutilmente cercato una fanciulla bella quanto Nencia (sono tutti paesi del Mugello non lontani da Firenze) e che riprende la "cerca" di Cielo d'Alcamo nel celebre Contrasto, in cui peraltro i luoghi citati erano perlopiù esotici (► TESTO: Rosa fresca aulentissima); il motivo della lode della bellezza di una popolana del resto non era raro nella poesia comica toscana del Trecento e se ne ha forse un'eco anche nel Decameron di G. Boccaccio, specie nel bizzarro elogio della Nuta nella novella di Frate Cipolla (► TESTO: Frate Cipolla). Il passo in cui Vallèra spera di mescolare le proprie bestie a quelle di Nencia ("ch'i' cacci le mie bestie nelle tua, / e parrem uno, e pur saremo dua", 16.7-8) è un'evidente allusione sessuale, come forse anche i versi in cui il pastore vorrebbe mettere il proprio cuore in mano alla donna e faglielo vedere e toccare ("e fare'tel toccare; / tel porre' in mano e fare'tel vedere", 12.5-6).
- Luigi Pulci ha evidentemente ispirato la composizione del poemetto e lo apprezzò molto, tanto che volle rispondere ironicamente con la Beca da Dicomano (scritta forse qualche anno dopo) in cui riprendeva lo stesso motivo della Nencia e ne faceva, se possibile la parodia: un pastore di nome Nuto elogia la bellezza della sua Beca, la quale presenta tuttavia più di un difetto fisico (zoppica, ha il mento peloso...) e mostra le stesse qualità della donna cantata da Lorenzo, da cui Pulci riprende quasi letteralmente più di un passo (► TESTO: Beca da Dicomano).