Niccolò Machiavelli
L'esortazione finale ai Medici
(Il principe, XXVI)
È il capitolo conclusivo del trattato, in cui l'autore si rivolge direttamente alla famiglia Medici cui l'opera è dedicata ed esorta i signori di Firenze a prendere la testa di un non meglio precisato movimento di riscossa nazionale per scacciare i domini stranieri dal suolo italiano, riunificando così politicamente la Penisola sotto il loro potere: con tono acceso e a tratti "profetico" Machiavelli esprime tutto il suo disprezzo per il "barbaro dominio" degli Stati stranieri che occupano il nord Italia e invoca l'intervento dei Medici paragonati a epici condottieri del passato che dovranno restituire la libertà agli italiani, essendo questo (secondo l'autore) il momento più favorevole per un'azione di questo tipo. Nonostante il carattere velleitario e decisamente utopistico dell'auspicio espresso dallo scrittore, la pagina anticipa tante analoghe trattazioni di autori del periodo successivo e rappresenta una presa di posizione risentita e appassionata contro la crisi politica che affliggeva l'Italia del primo Cinquecento, di cui Machiavelli ha una coscienza assolutamente lucida.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli
► OPERA: Il principe
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli
► OPERA: Il principe
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CAPITOLO XXVI
Exhortatio ad capessendam Italiam in libertatemque a barbaris vindicandam. [1] Considerato, adunque, tutte le cose di sopra discorse, e pensando meco medesimo se, al presente, in Italia correvano tempi da onorare uno nuovo principe, e se ci era materia che dessi occasione a uno prudente e virtuoso [2] di introdurvi forma che facessi onore a lui e bene alla università degli uomini di quella; mi pare concorrino tante cose in benefizio di uno principe nuovo, che io non so qual mai tempo fussi più atto a questo. E se, come io dissi, era necessario, volendo vedere la virtù di Moisè, che il populo d’Isdrael fussi stiavo [3] in Egitto; e a conoscere la grandezza dello animo di Ciro, ch’e’ Persi fussino oppressati da’ Medi e la eccellenzia di Teseo, che gli Ateniesi fussino dispersi [4], così, al presente, volendo conoscere la virtù di uno spirito italiano, era necessario che la Italia si riducessi nel termine che ella è di presente, e che la fussi più stiava che gli Ebrei, più serva ch’e’ Persi, più dispersa che gli Ateniesi; sanza capo, sanza ordine; battuta, spogliata, lacera, corsa [5]; ed avessi sopportato d’ogni sorte ruina. E benché fino a qui si sia mostro qualche spiraculo in qualcuno, da potere iudicare che fussi ordinato da Dio per sua redenzione, tamen si è visto da poi, come, nel più alto corso delle azioni sue, è stato dalla fortuna reprobato. [6] In modo che, rimasa come sanza vita, aspetta qual possa essere quello che sani le sue ferite, e ponga fine a’ sacchi di Lombardia, alle taglie del Reame e di Toscana [7], e la guarisca di quelle sue piaghe già per lungo tempo infistolite. [8] Vedesi come la prega Dio, che le mandi qualcuno che la redima da queste crudeltà ed insolenzie barbare, vedesi ancora tutta pronta e disposta a seguire una bandiera, pur che ci sia uno che la pigli. Né ci si vede, al presente, in quale lei possa più sperare che nella illustre casa vostra [9], quale con la sua fortuna e virtù, favorita da Dio e dalla Chiesa, della quale è ora principe [10], possa farsi capo di questa redenzione. Il che non fia molto difficile, se vi recherete innanzi le azioni e vita de’ sopranominati. [11] E benché quegli uomini sieno rari e maravigliosi, nondimanco furono uomini, ed ebbe ciascuno di loro minore occasione che la presente; perché la impresa loro non fu più iusta di questa, né più facile, né fu a loro Dio più amico che a voi. Qui è iustizia grande: iustum enim est bellum quibus necessarium, et pia arma ubi nulla nisi in armis spes est. [12] Qui è disposizione grandissima; né può essere, dove è grande disposizione grande difficultà pur che quella pigli degli ordini di coloro che io ho proposti per mira. [13] Oltre di questo, qui si veggano estraordinarii sanza esemplo condotti da Dio: el mare si è aperto; una nube vi ha scorto el cammino; la pietra ha versato acqua; qui è piovuto la manna; ogni cosa è concorsa nella vostra grandezza. El rimanente dovete fare voi. Dio non vuole fare ogni cosa, per non ci tôrre el libero arbitrio e parte di quella gloria che tocca a noi. [...] Non si debba, adunque, lasciare passare questa occasione, acciò che [14] la Italia, dopo tanto tempo, vegga uno suo redentore. Né posso esprimere con quale amore e’ fussi ricevuto in tutte quelle provincie che hanno patito per queste illuvioni esterne [15]; con che sete di vendetta, con che ostinata fede, con che pietà, con che lacrime. Quali porte se gli serrerebbano? quali populi gli negherebbano la obedienzia? quale invidia se gli opporrebbe? quale Italiano gli negherebbe l’ossequio? A ognuno puzza questo barbaro dominio. Pigli, adunque, la illustre casa vostra questo assunto con quello animo e con quella speranza che si pigliano le imprese iuste; acciò che, sotto la sua insegna, e questa patria ne sia nobilitata, e, sotto li sua auspizi, si verifichi quel detto del Petrarca [16]: Virtù contro a furore prenderà l’arme, e fia el combatter corto; ché l’antico valore nell’italici cor non è ancor morto. |
[1] Esortazione a prendere l'Italia e a liberarla dai barbari. [2] A un principe saggio e valoroso. [3] Schiavo. [4] Sono gli esempi già proposti nel cap. VI. [5] Percorsa e saccheggiata da eserciti stranieri. [6] Non ha avuto in seguito fortuna. [7] Ai saccheggi di Lombardia e alle pressioni fiscali del Regno di Napoli e della Toscana. [8] Incancrenite. [9] La casata dei Medici. [10] Si riferisce a papa Leone X, ovvero Giovanni de' Medici. [11] I personaggi nominati prima (Mosè, Ciro, Teseo). [12] "Ogni guerra infatti è giusta se necessaria, e sacre le armi quando non vi è speranza all'infuori di essa" (Tito Livio, Ab urbe condita, IX, 1). [13] Purché si seguano gli esempi dei personaggi prima citati. [14] Affinché. [15] Che hanno subìto queste invasioni di popoli stranieri. [16] Machiavelli cita i vv. 93-96 della canzone 128, Italia mia. |
Interpretazione complessiva
- Composto probabilmente nel 1516 come la lettera dedicatoria a Lorenzo de' Medici, il capitolo conclusivo del trattato è una appassionata e retorica esortazione ai signori di Firenze perché si mettano alla testa di un moto di riscossa nazionale e guidino una sorta di ribellione armata contro gli eserciti stranieri che percorrono l'Italia e ne causano, secondo la visione dell'autore, la decadenza politica e militare, azione per cui egli vede un momento straordinariamente propizio. Il testo ha un tono vibrante e privo del carattere analitico dei passi precedenti, con un largo uso di immagini bibliche e religiose (a cominciare dal paragone tra la situazione italiana e quella dei popoli ebraico, persiano e ateniese che trovarono in Mosè, Ciro e Teseo i loro condottieri e salvatori) e assumendo a tratti un tono profetico, che individua appunto nella "casa" medicea la famiglia in grado di guidare gli italiani contro gli stranieri visti come "barbari" e responsabili delle "piaghe" che affliggono il Paese, bisognoso di cure come un malato in fase avanzata. L'egemonia degli Stati stranieri in Italia agli inizi del Cinquecento viene definita un "barbaro dominio" che "puzza" a tutti gli abitanti della Penisola, con un implicito paragone tra l'Italia "schiava" del XVI sec. e quella del periodo romano che imponeva la sua supremazia su tutto il mondo, tema derivato in parte da Dante (► TESTO: L'invettiva all'Italia) e in parte dalla canzone 128 di Petrarca ai signori italiani, da cui Machiavelli trae alcuni versi posti come conclusione del capitolo e dell'opera (► TESTO: Italia mia, benché 'l parlar sia indarno).
- A differenza dei passi precedenti del trattato, il capitolo finale presenta uno stile retorico e particolarmente enfatico che si rifà in parte al genere della exhortatio e ricorre spesso alla ripetizione, come nella descrizione dell'Italia in decadenza ("più stiava che gli Ebrei, più serva ch’e’ Persi, più dispersa che gli Ateniesi"), oppure fa uso di immagini bibliche per profetizzare l'imminenza dell'azione auspicata ("el mare si è aperto; una nube vi ha scorto el cammino; la pietra ha versato acqua; qui è piovuto la manna"), mentre nella parte finale del brano compaiono domande retoriche per spronare i Medici ad intervenire e ad essere sicuri dell'appoggio degli italiani ("Quali porte se gli serrerebbano? quali populi gli negherebbano la obedienzia? quale invidia se gli opporrebbe? quale Italiano gli negherebbe l’ossequio?"). L'Italia viene poi paragonata a un corpo malato e pieno di "piaghe" ormai da lungo tempo "infistolite" (incancrenite), per cui ha bisogno di un condottiero che risani le sue ferite e la rianimi essendo "rimasa... sanza vita", con un'immagine di grande efficacia visiva e conforme all'uso antico di personificare città e nazioni nelle trattazioni letterarie.
- La visione espressa dall'autore in questa pagina appare poco realistica, poiché Machiavelli deplora la frammentazione politica dell'Italia in Stati regionali individuando in essa la ragione della sua debolezza (ciò ha aperto la strada agli eserciti stranieri per la conquista della Penisola) e si illude che i signori di Firenze abbiano la forza politica e militare per scacciare Svizzeri e Spagnoli dal suolo nazionale, come del resto afferma nella parte centrale del capitolo (qui non riportata) in cui esorta i Medici a dotarsi di armi proprie e confida nella loro capacità di guidare queste milizie cittadine nel migliore dei modi contro le truppe straniere. L'autore anticipa argomentazioni che esporrà anche nei dialoghi Dell'arte della guerra, in cui pure sottovaluta la potenza delle artiglierie e mostra una conoscenza limitata e libresca della materia militare (► TESTO: L'appello finale di Fabrizio Colonna), mentre è indubbio che il capitolo finale del Principe risenta di un intento celebrativo verso la famiglia medicea da cui Machiavelli sperava di essere richiamato alla politica attiva, per riguadagnare la posizione di rilievo che aveva ricoperto quand'era al servizio della Repubblica.