Luigi Pulci
«Costor, che fan sì gran disputazione»
(Sonetti)
Il sonetto è ironicamente indirizzato a Marsilio Ficino e alle dotte disquisizioni nell'ambito della "Theologia platonica" sull'immortalità dell'anima, con Pulci che in modo beffardo respinge la sottigliezza di tali ragionamenti e, più prosaicamente, li paragona a sciocche dispute sul nocciolo della pesca. Il testo fu forse alla base del contrasto che oppose l'autore all'illustre umanista protetto da Lorenzo ed ebbe certo una parte nell'incrinarsi dei rapporti tra Pulci e il signore di Firenze.
► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Luigi Pulci
► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Luigi Pulci
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Costor, che fan sì gran disputazione
dell’anima ond’ell’entri o ond’ell’esca, o come il nocciuol si stia nella pesca, hanno studiato in su ’n gran mellone. Aristotile allegano e Platone e voglion ch’ella in pace requiesca fra suoni e canti, e fannoti una tresca che t’empie il capo di confusïone. L’anima è sol, come si vede espresso, in un pan bianco caldo un pinocchiato, o una carbonata in un pan fesso; et chi crede altro ha ’l fodero in bucato: e que’ che per l’un cento hanno promesso ci pagheran di succiole in mercato. Ma dice un che v’è stato nell’altra vita, e più non può tornarvi, che appena con la scala si può andarvi. Costor credon trovarvi e’ beccafichi e gli ortolan pelati e buon vin dulci e letti sprimacciati. E’ vanno dietro a’ frati: noi ce n’andrem, Pandolfo, in valle buia, senza sentir più cantar alleluia! |
Costoro, che discutono con grande fervore sull'anima, da dove essa entri o esca, o su come il nocciolo stia dentro la pesca, hanno studiato su un gran melone [frutto povero di sostanza].
Citano come autorità Platone e Aristotele, e affermano che l'anima riposi in pace tra suoni e canti, e fanno una tale danza [una tale discussione] che ti riempie di confusione la testa. L'anima, come si vede chiaramente, è solo un confetto dentro un pane caldo, o una fetta di carne in mezzo a due fette di pane; E chi la pensa diversamente è davvero pazzo: e quelli che ci hanno promesso cento per uno, ci pagheranno con castagne cotte al mercato. Ma uno che è stato nell'altra vita, e non ci può tornare, dice ci si può andare a stento con una scala. Costoro credono di trovarci i beccafichi e ortolani [uccelli prelibati] già spennati, e buoni vini dolci e letti comodi. Essi seguono i frati: noi, Pandolfo, andremo in una valle buia, senza sentire più cantare "alleluia"! |
Interpretazione complessiva
- Metro: sonetto caudato di endecasillabi e settenari, con schema della rima ABBA, ABBA, CDC, DCD, dEE, eFF, fGG (D e F in forte assonanza). Presenza di termini popolari e gergali, come "pinocchiato" (v. 10, confetto di zucchero), "carbonata" (11, fetta di carne di maiale), "succiole" (14, castagne lesse). Al v. 12 avere " ’l fodero in bucato" è voce proverbiale che significa "fare una cosa da pazzi".
- Il testo è dedicato al nobile fiorentino Pandolfo Rucellai, amico di Pulci, e vuole essere una acre parodia delle disputazioni filosofiche dell'Accademia Platonica di Marsilio Ficino e della sua Theologia platonica sull'immortalità dell'anima, che vengono messe in ridicolo dall'autore: le discussioni dei platonici sembrano vertere su come il "nocciuol" stia dentro la pesca ed essi hanno studiato sul melone, frutto ricco d'acqua ma povero di sostanza (secondo alcuni studiosi il riferimento potrebbe essere al maestro che incideva le lettere dell'alfabeto su delle mele, che l'allievo poteva mangiare se le riconosceva). Le metafore relative al cibo proseguono ai vv. 10-11, quando Pulci paragona l'anima a un confetto di zucchero dentro una pagnotta o a una fetta di carne in un panino, mentre ai vv. 13-14 si parla di castagne cotte (con riferimento blasfemo, in quanto l'espressione "que’ che per l’un cento hanno promesso" allude alla parabola del buon seminatore, Matth., 13.1 ss. e altrove).
- Nell'ultima parte del sonetto Pulci ironizza pesantemente sulla rappresentazione dell'Aldilà nella letteratura religiosa, anzitutto con l'allusione sacrilega a Giacobbe che sognò una scala che univa il cielo alla terra, percorsa da angeli (Genesi, 28.10 ss.), poi con le rappresentazioni popolari del Paradiso come luogo pieno di delizie terrene, tra cui i "beccafichi" e gli "ortolani" (uccelli prelibati), nonché vini e letti soffici. Tale visione dell'Aldilà è decisamente negata da Pulci, che infatti rivolgendosi a Pandolfo Rucellai prevede per sé l'ingresso post mortem in una "valle buia" dove non si sentiranno canti liturgici.