Torquato Tasso
Scontro fra Tancredi e Clorinda
(Gerusalemme Liberata, III, 16-31)
I Crociati sono ormai giunti sotto le mura di Gerusalemme e il loro arrivo mette in allarme i difensori, che corrono sugli spalti e si preparano ad affrontarli: tra questi è il re Aladino, che si rivolge a Erminia pregandola di indicargli i capi cristiani (episodio che si rifà a quello, notissimo, di Elena e Priamo nell'«Iliade»). Fra i guerrieri in campo ci sono anche Tancredi e Clorinda che stanno per battersi, quando un colpo fa volare via l'elmo dalla testa della fanciulla che viene riconosciuta dal Crociato, innamorato di lei: l'uomo smette di combattere e tenta inutilmente di rivelare i suoi sentimenti alla nemica, che poi viene lievemente ferita da un compagno di Tancredi. Erminia assiste impotente allo scontro, non potendo dire a nessuno che lei ama Tancredi e che teme moltissimo per la sua vita.
► PERCORSO: La Controriforma
► AUTORE: Torquato Tasso
► OPERA: Gerusalemme liberata
► PERCORSO: La Controriforma
► AUTORE: Torquato Tasso
► OPERA: Gerusalemme liberata
16
Tosto la preda al predator ritoglie; cede lo stuol de' Franchi a poco a poco, tanto ch'in cima a un colle ei si raccoglie, ove aiutate son l'arme dal loco. Allor, sí come turbine si scioglie e cade da le nubi aereo fuoco, il buon Tancredi, a cui Goffredo accenna, sua squadra mosse, ed arrestò l'antenna. 17 Porta sí salda la gran lancia, e in guisa vien feroce e leggiadro il giovenetto, che veggendolo d'alto il re s'avisa che sia guerriero infra gli scelti eletto. Onde dice a colei ch'è seco assisa, e che già sente palpitarsi il petto: «Ben conoscer déi tu per sí lungo uso ogni cristian, benché ne l'arme chiuso. 18 Chi è dunque costui, che cosí bene s'adatta in giostra, e fero in vista è tanto?» A quella, in vece di risposta, viene su le labra un sospir, su gli occhi il pianto. Pur gli spirti e le lagrime ritiene, ma non cosí che lor non mostri alquanto: ché gli occhi pregni un bel purpureo giro tinse, e roco spuntò mezzo il sospiro. 19 Poi gli dice infingevole, e nasconde sotto il manto de l'odio altro desio: «Oimè! bene il conosco, ed ho ben donde fra mille riconoscerlo deggia io, ché spesso il vidi i campi e le profonde fosse del sangue empir del popol mio. Ahi quanto è crudo nel ferire! a piaga ch'ei faccia, erba non giova od arte maga. 20 Egli è il prence Tancredi: oh prigioniero mio fosse un giorno! e no 'l vorrei già morto; vivo il vorrei, perch'in me desse al fero desio dolce vendetta alcun conforto.» Cosí parlava, e de' suoi detti il vero da chi l'udiva in altro senso è torto; e fuor n'uscí con le sue voci estreme misto un sospir che 'ndarno ella già preme. 21 Clorinda intanto ad incontrar l'assalto va di Tancredi, e pon la lancia in resta. Ferírsi a le visiere, e i tronchi in alto volaro e parte nuda ella ne resta; ché, rotti i lacci a l'elmo suo, d'un salto (mirabil colpo!) ei le balzò di testa; e le chiome dorate al vento sparse, giovane donna in mezzo 'l campo apparse. 22 Lampeggiàr gli occhi, e folgoràr gli sguardi, dolci ne l'ira; or che sarian nel riso? Tancredi, a che pur pensi? a che pur guardi? non riconosci tu l'altero viso? Quest'è pur quel bel volto onde tutt'ardi; tuo core il dica, ov'è il suo essempio inciso. Questa è colei che rinfrescar la fronte vedesti già nel solitario fonte. 23 Ei ch'al cimiero ed al dipinto scudo non badò prima, or lei veggendo impètra; ella quanto può meglio il capo ignudo si ricopre, e l'assale; ed ei s'arretra. Va contra gli altri, e rota il ferro crudo; ma però da lei pace non impetra, che minacciosa il segue, e: «Volgi» grida; e di due morti in un punto lo sfida. 24 Percosso, il cavalier non ripercote, né sí dal ferro a riguardarsi attende, come a guardar i begli occhi e le gote ond'Amor l'arco inevitabil tende. Fra sé dicea: «Van le percosse vote talor, che la sua destra armata stende; ma colpo mai del bello ignudo volto non cade in fallo, e sempre il cor m'è colto.» 25 Risolve al fin, benché pietà non spere, di non morir tacendo occulto amante. Vuol ch'ella sappia ch'un prigion suo fère già inerme, e supplichevole e tremante; onde le dice: «O tu, che mostri avere per nemico me sol fra turbe tante, usciam di questa mischia, ed in disparte i' potrò teco, e tu meco provarte. 26 Cosí me' si vedrà s'al tuo s'agguaglia il mio valore.» Ella accettò l'invito: e come esser senz'elmo a lei non caglia, gía baldanzosa, ed ei seguia smarrito. Recata s'era in atto di battaglia già la guerriera, e già l'avea ferito, quand'egli: «Or ferma,» disse «e siano fatti anzi la pugna de la pugna i patti.» 27 Fermossi, e lui di pauroso audace rendé in quel punto il disperato amore. «I patti sian,» dicea «poi che tu pace meco non vuoi, che tu mi tragga il core. Il mio cor, non piú mio, s'a te dispiace ch'egli piú viva, volontario more: è tuo gran tempo, e tempo è ben che trarlo omai tu debbia, e non debb'io vietarlo. 28 Ecco io chino le braccia, e t'appresento senza difesa il petto: or ché no 'l fiedi? vuoi ch'agevoli l'opra? i' son contento trarmi l'usbergo or or, se nudo il chiedi.» Distinguea forse in piú duro lamento i suoi dolori il misero Tancredi, ma calca l'impedisce intempestiva de' pagani e de' suoi che soprarriva. 29 Cedean cacciati da lo stuol cristiano i Palestini, o sia temenza od arte. Un de' persecutori, uomo inumano, videle sventolar le chiome sparte, e da tergo in passando alzò la mano per ferir lei ne la sua ignuda parte; ma Tancredi gridò, che se n'accorse, e con la spada a quel gran colpo occorse. 30 Pur non gí tutto in vano, e ne' confini del bianco collo il bel capo ferille. Fu levissima piaga, e i biondi crini rosseggiaron cosí d'alquante stille, come rosseggia l'or che di rubini per man d'illustre artefice sfaville. Ma il prence infuriato allor si strinse adosso a quel villano, e 'l ferro spinse. 31 Quel si dilegua, e questi acceso d'ira il segue, e van come per l'aria strale. Ella riman sospesa, ed ambo mira lontani molto, né seguir le cale, ma co' suoi fuggitivi si ritira: talor mostra la fronte e i Franchi assale; or si volge or rivolge, or fugge or fuga, né si può dir la sua caccia né fuga. |
[Clorinda] ben presto sottrae ai predatori il bottino; le truppe dei Crociati cedono poco a poco, finché si raccolgono in cima a un colle dove le armi sono aiutate dalla posizione. Allora, come si scioglie la tempesta e cade il fulmine dalle nuvole, il buon Tancredi, al quale Goffredo fa un cenno, fece avanzare la sua squadra e mise la lancia in resta. Il giovane regge così saldamente la lancia e avanza così feroce e agile che il re [Aladino], vedendolo dall'alto delle mura, pensa che sia un guerriero scelto tra i migliori. Allora dice a colei [Erminia] che gli siede accanto e che già sente battere il cuore: «Tu devi certo conoscere ogni cristiano, anche se chiuso dall'armatura, dal momento che sei stata a lungo in mezzo a loro. Chi è costui, che si prepara con tale maestria a entrare in combattimento ed è così feroce alla vista?» A Erminia, invece della risposta, viene sulle labbra un sospiro e agli occhi il pianto. Pure soffoca i sospiri e le lacrime, ma non al punto di non mostrarne un poco: infatti un bel cerchio rossastro tinge gli occhi gonfi e il sospiro uscì un po' rauco. Poi gli dice fingendo, e nascondendo i suoi veri desideri sotto l'apparenza dell'odio: «Ahimè! lo conosco bene e ci sono ottime ragioni perché io lo riconosca tra mille, infatti lo vidi spesso riempire i campi e le fosse profonde del sangue del mio popolo. Ah, come è crudele nel ferire! Nessuna erba o arte magica cura le piaghe che lui infligge. Egli è il principe Tancredi: oh, se un giorno fosse mio prigioniero! e non lo vorrei già morto; lo vorrei vivo, perché una dolce vendetta desse un qualche conforto al mio feroce desiderio». Parlava così e la verità delle sue parole è fraintesa da chi le ascolta; e con le sue ultime parole uscì fuori misto un sospiro che invano ella tenta di soffocare. Intanto Clorinda va a fronteggiare l'assalto di Tancredi, e mette la lancia in resta. Si colpirono l'un l'altra nelle visiere degli elmi e i frammenti delle lance spezzate volarono in alto e Clorinda resta spogliata in parte; infatti, rottisi i lacci del suo elmo, esso le fu sbalzato via dalla testa (che colpo formidabile!); e la donna sparse al vento i capelli biondi, mostrandosi quale giovane donna nel campo di battaglia. I suoi occhi lampeggiarono e gettarono sguardi come fulmini, dolci nell'ira; cosa mai sarebbero se sorridessero? Tancredi, a cosa pensi? cosa guardi? non riconosci il fiero viso? Questo è quel bel volto del quale tu sei innamorato; lo dica il tuo cuore, dove la sua effigie è scolpita. Questa è colei che tu vedesti mentre si rinfrescava la fronte nella sorgente solitaria. Egli, che prima non badò al suo cimiero e allo scudo dipinto, ora vedendola resta di sasso; lei si ricopre alla meglio il capo scoperto e lo assalta; ed lui arretra. Va contro gli altri nemici, e fa roteare la crudele spada; e tuttavia non ottiene la pace da lei, che lo segue minacciosa e gli grida «Girati!», sfidandolo a un duello che può causargli due morti al tempo stesso [fisica e amorosa]. Il cavaliere, pur colpito, non risponde e non bada a schivare i colpi di spada, mentre è attento a guardare i begli occhi e le guance da cui Amore tende in modo inevitabile il suo arco. Fra sé diceva: «I colpi che la sua mano destra infligge a volte vanno a vuoto; ma nessun colpo del suo bel viso scoperto cade mai in fallo e centra sempre il mio cuore». Alla fine decide di non morire come amante ignorato, anche se non spera alcuna pietà. Vuole che lei sappia che ferisce un suo prigioniero già inerme, supplichevole e tremante; allora le dice: «O tu, che mostri di avere solo me come nemico tra tanti soldati, usciamo dalla mischia e in disparte potremo sfidarci a duello. Così si vedrà meglio se il mio valore è pari al tuo». Lei accettò l'invito: e come se l'essere priva di elmo non le importasse, andava baldanzosa e seguiva lui che era smarrito. La guerriera aveva già iniziato a battersi e l'aveva già colpito, quando lui disse: «Adesso fermati e prima del duello fissiamo le regole del duello stesso». Lei si fermò e lui fu reso in quel momento audace dall'amore disperato, mentre prima era pauroso. Diceva: «Visto che tu non vuoi far pace con me, i patti siano che tu mi strappi il cuore. Il mio cuore, che non è più mio, se tu non vuoi che viva ancora, muore volontariamente: è tuo da molto tempo ed è tempo che tu debba prenderlo, né io posso impedirtelo. Ecco che abbasso le braccia e ti presento inerme il petto: perché non lo colpisci? vuoi che ti agevoli l'opera? io sono pronto a togliermi la corazza subito, se tu vuoi il mio petto nudo». Forse il misero Tancredi avrebbe spiegato meglio e con un lamento più duro la sua pena d'amore, ma glielo impedì l'improvviso arrivo della calca dei pagani e dei suoi. Gli abitanti della Palestina si ritiravano cacciati dalla schiera cristiana, o per paura o per uno stratagemma. Uno degli inseguitori, uomo crudele, vide i capelli di Clorinda sparsi al vento e passandole alle spalle alzò la mano per ferirla in un punto scoperto; ma Tancredi, che se ne accorse, gridò e si oppose con la spada a quel gran colpo. Pure esso non andò del tutto a vuoto e le ferì il bel capo al limite del bianco collo [sulla nuca]. Fu una ferita lievissima e i capelli biondi furono arrossati di poche gocce di sangue, come rosseggia l'oro che scintilla di rubini per mano di un abile orefice. Ma Tancredi, infuriato, allora si scagliò addosso a quel soldato scortese e spinse avanti la spada. Quello scappa e Tancredi, acceso di rabbia, lo insegue e i due vanno come una freccia nell'aria. Clorinda rimane sospesa e osserva i due già molto lontani, né è interessata a seguirli, ma si ritira con i suoi in fuga: a volte mostra la fronte e assalta i Crociati; ora si volta da una parte, ora dall'altra, ora fugge, ora mette in fuga, e non si può dire né che dia la caccia, né che stia scappando. |
Interpretazione complessiva
- Il passo presenta il primo scontro in combattimento fra Tancredi e l'amata Clorinda, che anticipa per molti versi il duello notturno nel quale la donna troverà la morte proprio per mano del cristiano, e questi si trova al vertice di un bizzarro triangolo amoroso, poiché è (inconsapevolmente) oggetto dell'amore impossibile di Erminia, la principessa pagana da lui tenuta come ostaggio dopo la presa di Antiochia: la fanciulla è sugli spalti di Gerusalemme insieme a re Aladino e a lei tocca l'ingrato compito di mostrare al sovrano i principali cavalieri crociati, a imitazione del brano dell'Iliade in cui Elena indicava a Priamo i guerrieri achei (libro III). Dovendo fare il nome di Tancredi, che sta per battersi con Clorinda, soffoca a stento le lacrime e risponde con un discorso ambiguo, manifestando odio anziché amore per il cristiano che ha sterminato il suo popolo e affermando che le piaghe da lui inflitte sono incurabili, alludendo ovviamente a quelle amorose e non a quelle di guerra; esprime il desiderio di averlo suo prigioniero per vendicarsi, ma in realtà è evidente che Erminia vorrebbe stare vicino al suo amato, al quale non ha mai rivelato i propri sentimenti. Il dramma di Erminia è duplice, in quanto ama senza speranza Tancredi e non può rivelare a nessuno la pena segreta di cui soffre, dal momento che questo amore per un nemico è contrario alle leggi del decoro e della religione, essendo lei islamica. Nel prosieguo del brano (ott. 58 ss.) Erminia indicherà ad Aladino i nomi degli altri Crociati, a cominciare dal "pio" Goffredo.
- Lo scontro fra Tancredi e Clorinda anticipa quello mortale del canto XII, anche se avviene alla luce del sole e non di notte, poiché all'inizio la guerriera non è riconosciuta dal suo avversario finché un colpo fortuito del Crociato le fa volar via l'elmo dalla testa e la rivela come la donna che lui aveva visto tempo prima dissetarsi a una fonte, restandone perdutamente innamorato (il fatto è narrato in I.46-48, nella rassegna dell'esercito cristiano di cui Tancredi fa parte). L'apparizione di Clorinda e dei suoi capelli biondi sparsi al vento paralizza il cavaliere cristiano, che cessa di combattere e tenta senza successo di allontanarsi da lei, venendone tuttavia inseguito e non potendo esimersi dal combattere. Le propone allora di affrontarlo in "singolar tenzone" fuori dalla mischia e, una volta appartati, lui cerca di rivelarle il suo amore, invitandola a strappargli il cuore che ormai le appartiene e offrendosi addirittura di esporre il petto nudo, dicendosi disposto a togliersi la corazza; è incerto se Clorinda capisca chiaramente cosa Tancredi voglia dire, anche perché i due vengono interrotti dall'arrivo di altri soldati e un cristiano colpisce alle spalle la guerriera, facendo infuriare Tancredi che, assurdamente, insegue il suo compagno per punirlo del gesto proditorio. L'atteggiamento di Tancredi è contrario a ogni etica militare e l'uomo si mostra come vinto da amore e incapace di combattere, indicando chiaramente la "follia d'amore" che gli impedirà in più occasioni di compiere il proprio dovere, al punto di inseguire un soldato cristiano che ha "osato" colpire Clorinda ferendola leggermente (il passo è evidente imitazione di Fur., XIX.14, in cui Zerbino insegue un suo soldato che ha colpito a tradimento Medoro; ► TESTO: Cloridano e Medoro). Il comportamento di Tancredi è opposto a quello che mostrerà in occasione del duello notturno con Clorinda, quando ignorerà di affrontare la donna amata e combatterà con incredibile ferocia, fino a ucciderla (► TESTO: Il duello di Tancredi e Clorinda).
- Numerosi i riferimenti letterari del brano, a cominciare dalle "chiome dorate al vento sparse" di Clorinda (21.7) che ricordano ovviamente Petrarca, Canz., XC.1 (► TESTO: Erano i capei d'oro a l'aura sparsi), mentre il v. 22.2 è ripresa di Ovidio, Met. I.498, in cui Apollo che insegue Dafne si chiede quanto sarebbe bella la ninfa se i suoi capelli fossero pettinati (quid, si comantur?). Il v. 22.6 ("tuo core il dica, ov'è il suo essempio inciso") rimanda alla tradizione della poesia delle Origini in cui l'immagine della donna amata era dipinta nel cuore del poeta, per cui cfr. ad esempio Giacomo da Lentini (► TESTO: Meravigliosamente). La similitudine di 30.2-6 che paragona i capelli biondi di Clorinda arrossati di sangue all'oro tempestato di rubini è molto ricercata e rientra nel gusto manieristico, anticipando in minima parte certe immagini poi usate dalla lirica barocca.