Niccolò Machiavelli
Belfagor arcidiavolo
Il passo riporta buona parte della novella avente come protagonista il diavolo Belfagor, inviato sulla Terra da Plutone per verificare se sia vero, come affermano molti dannati, che le mogli sono la principale causa dell'infelicità degli uomini. Il demone, assunte sembianze umane e fattosi chiamare Roderigo di Castiglia, sposa la bellissima monna Onesta di cui si innamora perdutamente ma che è talmente capricciosa e superba da rendere la vita impossibile a lui e agli altri diavoli che lo accompagnano in qualità di servi, al punto che questi preferiscono tornare all'inferno. Alla fine questa sarà la scelta dello stesso Belfagor, conclusione che dà un taglio decisamente misogino all'unica novella pervenutaci dell'autore.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli
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Presa adunque Belfagor la condizione e i danari, ne venne nel mondo: e ordinato di sua masnade cavagli e compagni [1], entrò onoratissimamente in Firenze: la quale città innanzi a tutte l'altre elesse per suo domicilio, come quella che gli pareva più atta a sopportare chi con arte usuraie essercitassi i suoi danari. [...] E fattosi chiamare Roderigo di Castiglia, prese una casa a fitto nel Borgo d'Ognisanti; e perché non si potessino rinvenire le sue condizioni [2], disse essersi da piccolo partito di Spagna e itone in Soria, e avere in Aleppe guadagnato tutte le sue facultà: donde s'era poi partito per venire in Italia a prender donna in luoghi più umani e alla vita civile e allo animo suo più conformi. Era Roderigo bellissimo uomo e monstrava una età di trent’anni; e avendo in pochi giorni dimostro di quante richeze abundassi, e dando essempli di sé di essere umano e liberale, molti nobili cittadini che avevano assai figliole e pochi danari se gli offerivano [3]: intra le quali tutte Roderigo scielse una bellissima fanciulla chiamata Onesta, figliuola di Amerigo Donati il quale ne aveva tre altre, insieme con tre figliuoli maschi tutti uomini, e quelle erano quasi che da marito: e benché fussi d'una nobilissima famiglia, e di lui fussi in Firenze tenuto buono conto, non dimanco era rispetto alla brigata ch'avea e alla nobilità poverissimo. Fece Roderigo magnifiche e splendidissime noze: né lasciò indietro [4] alcuna di quelle cose che in simili feste si desiderano. E essendo, per la legge che gli era stata data nello uscire d'inferno, sottoposto a tutte le passioni umane, subito cominciò a pigliare piacere degli onori e delle pompe del mondo e avere caro di essere laudato intra gli uomini, il che gli arrecava spesa non piccola. Oltra di questo non fu dimorato molto con la sua monna Onesta, che se ne innamorò fuori di misura: né poteva vivere qualunque volta la vedeva stare trista e avere alcuno dispiacere. Aveva mona Onesta portato in casa di Roderigo, insieme con la nobilità e con la belleza, tanta superbia che non ne ebbe mai tanta Lucifero; e Roderigo, che aveva provata l'una e l'altra, giudicava quella della moglie superiore; ma diventò di lunga maggiore, come prima quella si accorse dello amore che il marito le portava; e parendole poterlo da ogne parte signoreggiare, sanza alcuna pietà o rispetto lo comandava, né dubitava, quando da lui alcuna cosa gli era negata, con parole villane e iniuriose morderlo [5]: il che era a Roderigo cagione di inestimabile noia. Purnondimeno il suocero, i frategli, il parentado, l'obligo del matrimonio e, sopratutto, il grande amore le portava gli faceva avere pazienza. Io voglio lasciare ire le grande spese, che, per contentarla, faceva in vestirla di nuove usanze e contentarla di nuove fogge, che continuamente la nostra città per sua naturale consuetudine varia; che fu necessitato, volendo stare in pace con lei, aiutare al suocero maritare l'altre sue figliuole: dove spese grossa somma di danari. Dopo questo, volendo avere bene con quella, gli convenne mandare uno de' frategli in Levante con panni, un altro in Ponente con drappi, all'altro aprire uno battiloro [6] in Firenze: nelle quali cose dispensò la maggiore parte delle sue fortune. Oltre a di questo, ne' tempi de' carnasciali e de' San Giovanni [7], quando tutta la città per antica consuetudine festeggia e che molti cittadini nobili e richi con splendidissimi conviti si onorono, per non essere mona Onesta all'altre donne inferiore, voleva che il suo Roderigo con simili feste tutti gli altri superassi. Le quali cose tutte erano da lui per le sopradette cagioni sopportate; né gli sarebbono, ancora che gravissime, parute gravi a farle [8], se da questo ne fussi nata la quiete della casa sua e s'egli avessi potuto pacificamente aspettare i tempi della sua rovina. Ma gl'interveniva l'opposito, perché con le insopportabili spese, la insolente natura di lei infinite incommodità gli arrecava; e non erano in casa sua né servi né serventi che, nonché molto tempo, ma brevissimi giorni la potessino sopportare; donde ne nascevano a Roderigo disagi gravissimi per non potere tenere servo fidato che avessi amore alle cose sua; e, nonché altri, quegli diavoli, i quali in persona di famigli [9] aveva condotti seco, più tosto elessono di tornarsene in inferno a stare nel fuoco, che vivere nel mondo sotto lo imperio di quella. Standosi adunque Roderigo in questa tumultuosa e inquieta vita, e avendo per le disordinate spese già consumato quanto mobile [10] si aveva riserbato, cominciò a vivere sopra la speranza de' ritratti [11], che di Ponente e di Levante aspettava; e avendo ancora buono credito, per non mancare di suo grado, prese a cambio [12]. E girandogli già molti marchi adosso, fu presto notato da quegli, che in simile esercizio in Mercato si travagliano. [13] E essendo di già il caso suo tenero, vennero in un subito di Levante e di Ponente nuove come l'uno de' frategli di mona Onesta s'aveva giucato tutto il mobile di Roderigo, e che l'altro, tornando sopra una nave carica di sue mercatantie sanza essersi altrimenti assicurato, era insieme con quelle annegato. Né fu prima publicata questa cosa che i creditori di Roderigo si ristrinsono insieme; e giudicando che fussi spacciato, né possendo ancora scoprirsi per non essere venuto il tempo de' pagamenti loro, conclusono che fussi bene osservarlo così destramente, acciò che dal detto al fatto di nascoso non se ne fuggissi. [14] Roderigo, da l'altra parte, non veggiendo al caso suo rimedio e sapiendo a quanto la leggie infernale lo costringeva, pensò di fuggirsi in ogni modo. E montato una mattina a cavallo, abitando propinquo alla Porta al Prato, per quella se ne uscì. Né prima fu veduta la partita sua, che il romore si levò fra i creditori, i quali ricorsi ai magistrati, non solamente con i cursori, ma popularmente si missono a seguirlo. [15] Non era Roderigo, quando se gli lievò drieto il romore, dilungato da la città uno miglio; in modo che, vedendosi a male partito, deliberò, per fuggire più segreto, uscire di strada e atraverso per gli campi cercare sua fortuna. Ma sendo, a fare questo, impedito da le assai fosse, che atraversano il paese, né potendo per questo ire a cavallo, si misse a fuggire a piè e, lasciata la cavalcatura in su la strada, atraversando di campo in campo, coperto da le vigne e da' canneti, di che quel paese abonda, arrivò sopra Peretola a casa Gianmatteo del Brica, lavoratore di Giovanni del Bene, e a sorte [16] trovò Gianmatteo che arrecava a casa da rodere a i buoi [17] e se gli raccomandò promettendogli che se lo salvava dalle mani de' suoi nimici, i quali, per farlo morire in prigione, lo seguitavano, che lo farebbe ricco e gliene darebbe innanzi alla sua partita tale saggio che gli crederrebbe; e quando questo non facessi, era contento che esso proprio lo ponessi in mano a i suoi aversarii. Era Gianmatteo, ancora che contadino [18], uomo animoso, e giudicando non potere perdere a pigliare partito di salvarlo, liene promisse; e cacciatolo in uno monte di letame, quale aveva davanti a la sua casa, lo ricoperse con cannucce e altre mondiglie [19] che per ardere aveva ragunate. Non era Roderigo apena fornito di nascondersi, che i suoi perseguitatori sopraggiunsono e, per spaventi che facessino a Gianmatteo, non trassono mai da lui che lo avessi visto; talché passati più innanzi, avendolo invano quel dì e quell'altro cerco, strachi se ne tornorno a Firenze. Gianmatteo adunque, cessato il romore e trattolo del loco dove era, lo richiese della fede data. Al quale Roderigo disse: "Fratello mio, io ho con teco un grande obligo e lo voglio in ogni modo sodisfare; e perché tu creda che io possa farlo, ti dirò chi io sono". E quivi gli narrò di suo essere e delle leggi avute allo uscire d'inferno e della moglie tolta [20]; e di più gli disse il modo, con il quale lo voleva arichire: che insumma sarebbe questo, che, come ei sentiva che alcuna donna fussi spiritata, credessi lui essere quello che le fussi adosso [21]; né mai se n'uscirebbe, s'egli non venissi a trarnelo [22]; donde arebbe occasione di farsi a suo modo pagare da i parenti di quella. E, rimasi in questa conclusione, sparì via. Né passorno molti giorni, che si sparse per tutto Firenze, come una figliuola di messer Ambruogio Amidei, la quale aveva maritata a Bonaiuto Tebalducci, era indemoniata; né mancorno i parenti di farvi tutti quegli remedii, che in simili accidenti si fanno, ponendole in capo la testa di san Zanobi e il mantello di san Giovanni Gualberto. Le quali cose tutte da Roderigo erano uccellate. [23] E, per chiarire ciascuno come il male della fanciulla era uno spirito e non altra fantastica imaginazione, parlava in latino e disputava delle cose di philosophia e scopriva i peccati di molti; intra i quali scoperse quelli d'uno frate che si aveva tenuta una femmina vestita ad uso di fraticino più di quattro anni nella sua cella: le quali cose facevano maravigliare ciascuno. Viveva pertanto messer Ambruogio mal contento; e avendo invano provati tutti i remedii, aveva perduta ogni speranza di guarirla, quando Gianmatteo venne a trovarlo e gli promisse la salute de la sua figliuola, quando gli voglia donare cinquecento fiorini per comperare uno podere a Peretola. Accettò messer Ambruogio il partito: donde Gianmatteo, fatte dire prima certe messe e fatte sua cerimonie per abbellire la cosa, si accostò a gli orechi della fanciulla e disse: "Roderigo, io sono venuto a trovarti perché tu mi osservi la promessa". Al quale Roderigo rispose: "Io sono contento. Ma questo non basta a farti ricco. E però, partito che io sarò di qui, enterrò nella figliuola di Carlo, re di Napoli, né mai n'uscirò sanza te. Fara'ti allora fare una mancia a tuo modo. Né poi mi darai più briga". [24] E detto questo s'uscì da dosso a colei con piacere e ammirazione di tutta Firenze. Non passò dipoi molto tempo, che per tutta Italia si sparse l'accidente venuto a la figliuola del re Carlo. Né vi si trovando rimedio, avuta il re notizia di Gianmatteo, mandò a Firenze per lui. [25] Il quale, arrivato a Napoli, dopo qualche finta cerimonia la guarì. Ma Roderigo, prima che partissi, disse: "Tu vedi, Gianmatteo, io ti ho osservato le promesse di averti arrichito. E però, sendo disobligo, io non ti sono più tenuto di cosa alcuna. Pertanto sarai contento non mi capitare più innanzi, perché, dove io ti ho fatto bene, ti farei per lo avvenire male". Tornato adunque a Firenze Gianmatteo richissimo, perché aveva avuto da il re meglio che cinquantamila ducati, pensava di godersi quelle richeze pacificamente, non credendo però che Roderigo pensassi di offenderlo. Ma questo suo pensiero fu subito turbato da una nuova che venne, come una figliuola di Lodovico settimo, re di Francia, era spiritata. La quale nuova alterò tutta la mente di Gianmatteo, pensando a l'auttorità di quel re e a le parole che gli aveva Roderigo dette. Non trovando adunque quel re a la sua figliuola rimedio, e intendendo la virtù di Gianmatteo, mandò prima a richiederlo semplicemente per uno suo cursore. [26] Ma, allegando quello certe indisposizioni, fu forzato quel re a richiederne la Signoria. La quale forzò Gianmatteo a ubbidire. [27] Andato pertanto costui tutto sconsolato a Parigi, mostrò prima a il re come egli era certa cosa che per lo adrietro aveva guarita qualche indemoniata, ma che non era per questo ch'egli sapessi o potessi guarire tutti, perché se ne trovavano di sì perfida natura che non temevano né minacce né incanti né alcuna religione; ma con tutto questo era per fare suo debito e, non gli riuscendo, ne domandava scusa e perdono. Al quale il re turbato disse che se non la guariva, che lo appenderebbe. [28] Sentì per questo Gianmatteo dolore grande; pure, fatto buono cuore, fece venire la indemoniata; e, acostatosi all'orechio di quella, umilmente si raccomandò a Roderigo, ricordandogli il benificio fattogli e di quanta ingratitudine sarebbe essemplo, se lo abbandonassi in tanta necessità. Al quale Roderigo disse: "Do! villan traditore, sì che tu hai ardire di venirmi innanzi? Credi tu poterti vantare d'essere arichito per le mia mani? Io voglio mostrare a te e a ciascuno come io so dare e tòrre [29] ogni cosa a mia posta; e innanzi che tu ti parta di qui, io ti farò impiccare in ogni modo". Donde che Gianmatteo, non veggiendo per allora rimedio, pensò di tentare la sua fortuna per un'altra via. E fatto andare via la spiritata, disse al re: "Sire, come io vi ho detto, e' sono di molti spiriti che sono sì maligni che con loro non si ha alcuno buono partito, e questo è uno di quegli. Pertanto io voglio fare una ultima sperienza [30]; la quale se gioverà, la vostra Maestà e io areno la intenzione nostra; quando non giovi, io sarò nelle tua forze e arai di me quella compassione che merita la innocenzia mia. Farai pertanto fare in su la piaza di Nostra Dama un palco grande e capace di tutti i tuoi baroni e di tutto il crero [31] di questa città; farai parare il palco di drappi di seta e d'oro; fabbricherai nel mezo di quello uno altare; e voglio che domenica mattina prossima tu con il clero, insieme con tutti i tuoi principi e baroni, con la reale pompa, con splendidi e richi abigliamenti, conveniate sopra quello, dove celebrata prima una solenne messa, farai venire la indemoniata. Voglio, oltr'a di questo, che da l'uno canto de la piaza sieno insieme venti persone almeno che abbino trombe, corni, tamburi, cornamuse, cembanelle, cemboli e d'ogn'altra qualità romori, i quali quando io alzerò uno cappello, dieno in quegli strumenti, e, sonando, ne venghino verso il palco: le quali cose, insieme con certi altri segreti rimedii, credo che faranno partire questo spirito". Fu sùbito da il re ordinato tutto; e, venuta la domenica mattina e ripieno il palco di personaggi e la piaza di populo, celebrata la messa, venne la spiritata condutta in sul palco per le mani di dua vescovi e molti signori. Quando Roderigo vide tanto popolo insieme e tanto apparato, rimase quasi che stupido, e fra sé disse: "Che cosa ha pensato di fare questo poltrone di questo villano? Crede egli sbigottirmi con questa pompa? non sa egli che io sono uso a vedere le pompe del cielo e le furie dello inferno? Io lo gastigherò in ogni modo". E, accostandosegli Gianmatteo e pregandolo che dovessi uscire, gli disse: "O, tu hai fatto il bel pensiero! Che credi tu fare con questi tuoi apparati? Credi tu fuggire per questo la potenza mia e l'ira del re? Villano ribaldo, io ti farò impiccare in ogni modo". E così ripregandolo quello, e quell'altro dicendogli villania, non parve a Gianmatteo di perdere più tempo. E fatto il cenno con il cappello, tutti quegli, che erano a romoreggiare diputati, dettono in quegli suoni, e con romori che andavono al cielo ne vennono verso il palco. Al quale romore alzò Roderigo gli orechi e, non sappiendo che cosa fussi e stando forte maravigliato, tutto stupido domandò Gianmatteo che cosa quella fussi. Al quale Gianmatteo tutto turbato disse: "Oimè, Roderigo mio! quella è mogliata [32] che ti viene a ritrovare". Fu cosa maravigliosa a pensare quanta alterazione di mente recassi a Roderigo sentire ricordare il nome della moglie. La quale fu tanta che, non pensando s'egli era possibile o ragionevole se la fussi dessa, senza replicare altro, tutto spaventato, se ne fuggì lasciando la fanciulla libera, e volse più tosto tornarsene in inferno a rendere ragione delle sua azioni, che di nuovo con tanti fastidii, dispetti e periculi sottoporsi al giogo matrimoniale. E così Belfagor, tornato in inferno, fece fede de' mali [33] che conduceva in una casa la moglie. E Gianmatteo, che ne seppe più che il diavolo, se ne ritornò tutto lieto a casa. |
[1] Presi cavalli e accompagnatori dai diavoli della sua schiera. [2] E affinché non si risalisse alle sue vere origini. [3] Molti nobili cittadini gli offrivano in spose le loro figlie. [4] Né trascurò. [5] Né esitava a trattarlo con parole villane e ingiuriose, quando lui le negava qualcosa. [6] Una bottega di oreficeria. [7] Durante le feste di Carnevale e di S. Giovanni (patrono della città). [8] Non gli sarebbero sembrate difficili da sopportare. [9] Nelle vesti di servitori. [10] Denaro contante. [11] Dei guadagni. [12] Prese denaro in prestito, a usura. [13] Fu presto notato dagli usurai che lavorano al Mercato. [14] Affinché non fuggisse all'improvviso. [15] Si misero a inseguirlo non solo con gli ufficiali giudiziari, ma con tutto il popolo. [16] Per caso. [17] Portava a casa i buoi dal pascolo. [18] Benché fosse un contadino. [19] Immondizie. [20] E del fatto che aveva preso moglie. [21] Quando avesse udito che una donna era indemoniata, doveva credere che fosse opera sua. [22] E lui non ne sarebbe uscito senza il suo intervento. [23] Tutti questi rimedi erano derisi da Roderigo. [24] Poi non mi darai più fastidio. [25] Mandò i suoi messaggeri a chiamarlo a Firenze. [26] Mandò dapprima un suo messaggero a chiamarlo. [27] Il re fu costretto a rivolgersi alla Signoria e questa costrinse Gianmatteo a obbedire. [28] Lo avrebbe impiccato. [29] Come io sono in grado di dare e togliere ogni cosa a mio piacimento. [30] Un ultimo tentativo. [31] Il clero. [32] Quella è tua moglie (forma meridionale). [33] Testimoniò i mali. |
Interpretazione complessiva
- Protagonista assoluto della novella è il diavolo Belfagor, che viene inviato sulla Terra da Plutone per verificare le dicerie dei dannati sull'infelicità del matrimonio e assume le sembianze umane di Roderigo, un ricchissimo gentiluomo proveniente dalla Castiglia: si stabilisce a Firenze e sposa la bellissima Onesta Donati, che gli rende la vita impossibile con il suo carattere balzano e le continue richieste di denaro per lei e la numerosa famiglia, finché Roderigo-Belfagor è costretto a fuggire in quanto assediato dai creditori. In seguito verrà aiutato da Gianmatteo, un astuto contadino di Peretola che si arricchisce fingendo di essere un esorcista e liberando delle fanciulle "possedute" dal demonio, che in realtà è lo stesso Belfagor d'accordo con lui (tra le illustri vittime anche le figlie di Carlo d'Angiò, re di Napoli, e Luigi VII, re di Francia, che minaccia Gianmatteo di morte se non riuscirà a salvare la principessa). Moltissimi gli elementi ironici e dissacranti del racconto, a cominciare dal paradosso del diavolo che si fa uomo e sperimenta i dolori del matrimonio, così come la descrizione di Firenze quale città preda di mercanti e usurai e delle donne come fonte di guai per gli uomini (sul punto si veda oltre); grottesco è anche il rapporto che si instaura tra Gianmatteo e Roderigo, poiché il contadino salva il diavolo dai creditori nascondendolo sotto un mucchio di letame e altre immondizie, poi diventa suo "socio" in affari fingendosi esorcista, infine riesce a beffare Belfagor facendogli credere che la moglie Onesta lo ha ritrovato, dimostrando di saperne "più che il diavolo". Machiavelli si rifà alla tradizione della letteratura comica del Due-Trecento, anche per gli elementi misogini, nonché alla novellistica del Decameron di Boccaccio cui rimanda anzitutto l'ambientazione toscana e anche la celebrazione dell'astuzia contadinesca, specie nel finale con l'accorta trovata di Gianmatteo che si salva dalla minaccia del re di Francia e si libera della scomoda presenza di Belfagor.
- La novella contiene spiccati elementi di misoginia, specie nella descrizione di Onesta come donna capricciosa e scorbutica che rende la vita matrimoniale un vero "inferno" con continue e pressanti richieste di denaro, mostrando una superbia persino superiore a quella di Lucifero: la moglie di Roderigo-Belfagor "signoreggia" il marito approfittando della sua bellezza e dell'amore che lui le porta, essendo il diavolo soggetto alle passioni umane, inoltre si mostra particolarmente attenta alle mode continuamente cangianti di Firenze, esigendo abiti sempre nuovi e costosi, nonché l'allestimento di feste e ricevimenti sontuosi (vi è anche una satira pungente contro i costumi della città di Machiavelli, con riferimento alla Firenze del Cinquecento nonostante l'ambientazione della novella sia da collocare nel XIV secolo). L'autore si rifà alla tradizione della poesia comica del Due-Trecento, in cui l'elemento misogino era largamente presente e si esprimeva nella descrizione di donne astute che raggiravano i mariti (► TESTI: Oi dolce mio marito Aldobrandino; Becchin'amor), ma anche a una certa satira anti-femminile presente nella letteratura del tardo Trecento, specie nel Corbaccio di Boccaccio (► TESTO: La bellezza artificiale delle donne). Elementi di misoginia emergono anche in altre opere di Machiavelli, anzitutto nella commedia Mandragola in cui il personaggio di Sostrata rappresenta un comportamento cinico e immorale (► TESTO: Fra Timoteo e Lucrezia), inoltre anche nel cap. XXV del Principe in cui la fortuna è paragonata a una donna e si dice che essa va dominata e picchiata, per far sì che agisca secondo il nostro volere (► TESTO: Il principe e la fortuna). In questo Machiavelli è molto lontano dall'atteggiamento degli altri autori del Rinascimento, che mostrano al contrario una certa rivalutazione della figura femminile in ossequio all'emancipazione che molte nobildonne conobbero nelle corti del primo Cinquecento, in cui furono attive addirittura delle poetesse come Gaspara Stampa e Vittoria Colonna (► SCHEDA: La figura femminile nel Cinquecento).
- Firenze viene descritta nel testo come "città del vizio", schiava delle mode e delle feste e, per questo, preda di usurai e cambiavalute che si arricchiscono grazie alle sventure altrui: fin dall'inizio Roderigo si presenta come ricco gentiluomo in cerca di moglie e trova subito molti fiorentini nobili e squattrinati che gli offrono in sposa le figlie, tra cui il padre di Onesta che appartiene alla nobile famiglia decaduta dei Donati (la stessa cui appartennero Forese e Corso, il capo-fazione dei Guelfi Neri al tempo di Dante); Roderigo deve sopperire alle spese non solo per il mantenimento della moglie viziata, ma anche per fornire una ricca dote alle sue sorelle e avviare attività commerciali ai fratelli, tutte cose che lo spingono a indebitarsi con gli usurai e che lo portano sull'orlo della rovina economica. L'elemento del denaro è la molla che spinge lo stesso Gianmatteo ad aiutare il diavolo a salvarsi dai creditori, poiché il contadino, fingendosi un esorcista e liberando le fanciulle "indemoniate" da Belfagor, si arricchisce a dismisura e verrà punito della sua avidità dal suo "socio" che cercherà invano di farlo impiccare dal re di Francia. La critica a una società frivola in cui l'unico valore sembra essere il denaro è propria di molti autori del Cinquecento, incluso Ariosto che nella Satira III afferma esplicitamente che se fosse ricco non farebbe il cortigiano per gli Este, mentre è costretto a occuparsi del dissestato patrimonio paterno e sogna in realtà di ritirarsi in una modesta casetta per godere la tranquillità familiare (► TESTO: La felicità delle piccole cose).
- La novella contiene anche elementi di satira anti-religiosa e anti-ecclesiastica, non solo per la rappresentazione sarcastica dei diavoli e dell'inferno, tutt'altro che spaventosa, ma soprattutto per la critica della superstizione popolare e dei riti compiuti per cacciare il diavolo dal corpo della figlia di Ambruogio Amidei, con l'uso di bizzarre reliquie puntualmente deriso da Belfagor, mentre il diavolo che "possiede" la ragazza la fa parlare in latino e disputare di filosofia, svelando anche i peccati di molti (tra cui un frate che per quattro anni ha tenuto una fanciulla travestita da "fraticino" nella sua cella). La critica contro la corruzione della Chiesa ha una lunga tradizione letteraria che risale almeno fino a Dante, anche se il modello di Machiavelli sembrano essere alcune novelle del Decameron (specie I.4, la novella del monaco e dell'abate), inoltre elementi di satira anti-religiosa sono presenti in altre opere dell'autore, soprattutto nella Mandragola attraverso la figura odiosa e attaccata al denaro di fra Timoteo (► TESTO: Fra Timoteo e Lucrezia).