Letteratura italiana
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Dante Alighieri


«Tanto gentile e tanto onesta pare»
(Vita nuova, cap. XXVI)

In questo capitolo è incluso il sonetto più celebre di Dante, nonché il testo tra i più famosi di tutta la poesia lirica delle origini, in cui l'autore semplicemente esprime la lode della bellezza e della virtù di Beatrice e le reazioni di ammirazione che provoca in chi la vede camminare per strada, riprendendo vari motivi propri dello Stilnovo e proseguendo le "nove rime" inaugurate con la canzone "Donne ch'avete intelletto d'amore" (cap. XIX). Il capitolo presenta poi un altro sonetto che loda Beatrice col dire che, grazie a lei e alla sua umiltà, molte altre donne vengono onorate e ammirate, cui segue una spiegazione in prosa secondo il modello provenzale delle "razos".

► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Vita nuova






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Questa gentilissima donna, di cui ragionato è ne le precedenti parole, venne in tanta grazia [1] de le genti, che quando passava per via, le persone correano per vedere lei; onde mirabile letizia me ne giungea. E quando ella fosse presso d’alcuno, tanta onestade giungea nel cuore di quello, che non ardia [2] di levare li occhi né di rispondere a lo suo saluto; e di questo molti, sì come esperti [3], mi potrebbero testimoniare a chi non lo credesse. Ella coronata e vestita d’umilitade s’andava, nulla gloria mostrando [4] di ciò ch’ella vedea e udia. Diceano molti, poi che passata era: «Questa non è femmina, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo». E altri diceano: «Questa è una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che sì mirabilemente sae [5] adoperare!». Io dico ch’ella si mostrava sì gentile e sì piena di tutti li piaceri, che quelli che la miravano comprendeano in loro una dolcezza onesta e soave, tanto che ridicere [6] non lo sapeano; né alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio nol convenisse sospirare. [7] Queste e più mirabili cose da lei procedeano virtuosamente: onde io pensando a ciò, volendo ripigliare lo stilo de la sua loda, propuosi di dicere parole, ne le quali io dessi ad intendere de le sue mirabili ed eccellenti operazioni [8]; acciò che [9] non pur coloro che la poteano sensibilemente vedere, ma li altri sappiano di lei quello che le parole ne possono fare intendere. Allora dissi questo sonetto, lo quale comincia: Tanto gentile.

[1] Divenne così ammirata.


[2] Non osava.
[3] Avendolo sperimentato.
[4] Non vantandosi per nulla.

[5]
Sa.
[6] Ridire, riferire
.
[7] Che all'inizio non fosse costretto a sospirare.
[8] Delle sue azioni ammirevoli e straordinarie.
[9] Affinché.





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Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi non la prova:

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.


La mia donna, quando saluta qualcuno [per strada], sembra così nobile e dignitosa che ogni lingua, tremando, ammutolisce e gli occhi non hanno il coraggio di guardarla.


Lei
prosegue, sentendosi lodare, benevolmente rivestita di umiltà; e sembra che sia una creatura venuta dal cielo alla terra, per mostrare un miracolo [qualcosa di straordinario].

Si mostra così piacevole a chi la ammira, che infonde attraverso gli occhi al cuore una dolcezza che chi non la prova non la può comprendere:

e sembra che dal suo volto si muova un soave spirito pieno d'amore, che suggerisce all'anima: «Sospira»
.





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Questo sonetto è sì piano [10] ad intendere, per quello che narrato è dinanzi, che non abbisogna d’alcuna divisione; e però lassando lui, dico che questa mia donna venne in tanta grazia [11], che non solamente ella era onorata e laudata, ma per lei erano onorate e laudate molte. [12] Ond’ io veggendo ciò e volendolo manifestare a chi ciò non vedea, propuosi anche di dire parole, ne le quali ciò fosse significato; e dissi allora questo sonetto, lo quale narra di lei come la sua vertude adoperava ne l’ altre [13], sí come appare ne la sua divisione.

[10] Così facile, agevole.
[11] Divenne così ammirata.
[12] Grazie a lei molte altre donne erano lodate.
[13] Come Beatrice usava la sua virtù nei confronti di altre donne.




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Vede perfettamente onne salute
chi la mia donna tra le donne vede;
quelle che vanno con lei son tenute
di bella grazia a Dio render merzede.

E sua bieltate è di tanta vertute,
che nulla invidia a l’ altre ne procede,
anzi le face andar seco vestute
di gentilezza, d’amore e di fede.

La vista sua fa onne cosa umile;
e non fa sola sé parer piacente,
ma ciascuna per lei riceve onore.

Ed è ne gli atti suoi tanto gentile,
che nessun la si può recare a mente,
che non sospiri in dolcezza d’amore.

Chi vede la mia donna tra altre donne, vede pienamente ogni perfezione; quelle altre, che vanno insieme a lei, devono rendere grazie a Dio per questo privilegio.


E la sua bellezza è di tale virtù, che nelle altre donne non suscita alcuna invidia, anzi le spinge ad andare con lei rivestite di nobiltà, d'amore e di fede.

La visione di Beatrice rende chiunque umile; e non fa solo apparire bella se stessa, ma ciascun'altra donna viene onorata a causa sua.


E Beatrice nei suoi atti è tanto nobile, che nessuno può pensare a lei senza sospirare per la dolcezza d'amore
.





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Questo sonetto ha tre parti; ne la prima dico tra che gente [14] questa donna più mirabile parea; ne la seconda dico sì come era graziosa la sua compagnia; ne la terza dico di quelle cose che vertuosamente operava in altrui. La seconda parte comincia quivi: quelle che vanno; la terza quivi: E sua bieltate. Questa ultima parte si divide in tre: ne la prima dico quello che operava ne le donne, ciò è per loro medesime [15]; ne la seconda dico quello che operava in loro per altrui; ne la terza dico come non solamente ne le donne, ma in tutte le persone, e non solamente la sua presenza, ma, ricordandosi di lei [16], mirabilemente operava. La seconda comincia quivi: La vista sua; la terza quivi: Ed è ne gli atti.

[14] Tra quali persone.


[15] Per loro stesse, senza relazioni con altri.
[16] Non soltanto quando lei era presente, ma anche ricordandosi di lei.


Interpretazione complessiva

  • Metro: il primo sonetto ha schema della rima ABBA, ABBA, CDE, EDC, il secondo ABAB, ABAB, CDE, CDE. La lingua presenta alcune forme siciliane ("vestuta", XXVI, v. 6; "vestute", XXVII, v. 7), latinismi ("laudare", XXVI, v. 5; "onne", da omnis, XXVII, v. 1; "seco", v. 7). Da notare la presenza di alcuni vocaboli propri del linguaggio stilnovista, come "gentile" (nobile d'animo), "onesta" (dignitosa nel comportamento esteriore), "piacente" (bella e di piacevole aspetto).
  • I due sonetti costituiscono l'esempio più semplice e formalmente perfetto di poesia in lode di Beatrice, che viene elogiata non solo per la sua bellezza ma anche per la sua straordinaria umiltà e per gli effetti che produce in chi la osserva per strada, nonché nelle donne che la accompagnano: la prima lirica (forse la più famosa composta da Dante nel periodo stilnovista) riprende molti motivi già presenti in Cavalcanti e descrive l'apparizione della donna quando passa per strada, il cui saluto fa ammutolire tutti e li spinge a guardare in basso, mentre chi la vede afferma che è un miracolo venuto "da cielo in terra" (secondo la più classica formula della "donna-angelo"); la dolcezza che ispira a chi la osserva e che fa sospirare l'anima non può essere descritta a pieno, se non da chi ne ha fatto diretta esperienza (► TESTO: Chi è questa che vèn). Il secondo sonetto sposta l'attenzione sui benefici effetti che la compagnia di Beatrice produce nelle donne che la accompagnano, che non solo non provano invidia ma, anzi, diventano umili come lei e devono ringraziare Dio per il privilegio di starle insieme; le altre donne sono onorate ed elogiate per tramite di Beatrice e la conclusione della lirica riprende il motivo del "sospiro", che nessuno può evitare di emettere al solo pensarla. Dante precisa che tale reazione di ammirazione si verifica in sua presenza e anche al solo ricordo, come se già presagisse la futura morte e scomparsa della "gentilissima" (che avverrà in effetti di lì a poco, nel cap. XXIX).
  • La prosa che precede il primo sonetto (e che ne illustra le ragioni e il contenuto) è già sufficiente a spiegarne il significato e perciò l'autore non fa seguire una razo, cosa che invece fa con la seconda lirica: si tratta della classica prosa esplicativa alla maniera dei trovatori provenzali, che Dante chiama "divisione" e che infatti suddivide la lirica in varie parti corrispondenti ai nuclei tematici della poesia, ciascuna individuata col verso o le parole iniziali. L'alternanza di parti narrative, liriche e razos costituisce la struttura tipica del "prosimetro" e verrà abbandonata dalla poesia del XIV sec., salvo essere in parte recuperata da Lorenzo de' Medici nel Comento ad alcuni suoi sonetti (► AUTORE: Lorenzo de' Medici).


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