Letteratura italiana
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Francesco Petrarca


«I' vo piangendo i miei passati tempi»
(Canzoniere, 365)

È l'ultimo sonetto del "Canzoniere" e la penultima poesia prima della canzone finale dedicata alla Vergine, in cui l'autore fa una sorta di bilancio della sua vita ed esprime il rammarico di averne sprecato una larga parte nel ricercare beni vani, pur avendo le "ali" per alzarsi in volo e dare di sé prove ben più lusinghiere (il riferimento è ovviamente all'amore per Laura ormai morta di peste, ma anche a tutte le lusinghe del mondo terreno che l'hanno allontanato dalla ricerca della virtù). Petrarca invoca Dio chiedendo la sua grazia e il suo soccorso nell'imminenza della morte che sente ormai prossima, ricollegandosi in parte al motivo del rimpianto già espresso nel sonetto proemiale e anticipando il tema religioso che sarà al centro del successivo componimento.

► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere





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I’ vo piangendo i miei passati tempi
i quai posi in amar cosa mortale,
senza levarmi a volo, abbiend’io l’ale,
per dar forse di me non bassi exempi.

Tu che vedi i miei mali indegni et empi,
Re del cielo invisibile immortale,
soccorri a l’alma disvïata et frale,
e ’l suo defecto di tua gratia adempi:

sí che, s’io vissi in guerra et in tempesta,
mora in pace et in porto; et se la stanza
fu vana, almen sia la partita honesta.

A quel poco di viver che m’avanza
et al morir, degni esser Tua man presta:
Tu sai ben che ’n altrui non ò speranza.
Io sto rimpiangendo la mia vita passata, che ho speso nell'amare qualcosa di terreno e senza alzarmi in volo, pur avendo io le ali, per dare forse esempi elevati delle mie virtù.


Tu, Re del cielo invisibile e immortale, che vedi i miei peccati indegni e malvagi, da' il tuo soccorso alla mia anima deviata e fragile, e colma le sue mancanze con la tua grazia:

cosicché, se io ho vissuto in guerra e in tempesta, possa morire in pace e in porto; e se la mia permanenza in terra è stata vana, almeno la partenza sia dignitosa.

La tua mano si degni di essere sollecita a quel poco di vita che mi resta: tu sai bene che non ho speranza in nessun altro
.


Interpretazione complessiva

  • Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDC, DCD. La lingua presenta vari latinismi, tra cui "exempi" (v. 4), "et" (v. 5 e ss.), "defecto" (v. 8), "honesta" (v. 11). Ai vv. 9-10 i termini "guerra/tempesta" e "pace/porto" sono disposti a formare un parallelismo, proprio come le coppie "stanza/vana" e "partita/honesta" ai vv. 10-11.
  • Il testo ripropone il consueto contrasto interiore tra le lusinghe del mondo terreno, tra cui soprattutto l'amore vano per Laura (qui non espressamente nominata) che inchiodano Petrarca a terra e gli impediscono di sollevarsi in volo anche se lui possiede le "ali", le capacità morali e intellettuali per dare di sé buone prove e perfezionare la propria vita come quella di un uomo sapiente. Il sonetto esprime la consapevolezza e il rimpianto di avere sprecato buona parte della vita passata a inseguire "cosa mortale", per cui l'autore invoca il soccorso divino per ottenere il perdono e prepararsi a morire in grazia di Dio, attraverso soprattutto la metafora della vita come una "guerra" e un viaggio nel mare in "tempesta", rispetto a cui la morte viene vista come "pace" e un "porto" sicuro; tuttavia neppure ora che Petrarca è vecchio e Laura è morta di peste il conflitto interiore è interamente risolto, anche se il testo anticipa l'ispirazione religiosa che sarà al centro dell'ultima canzone della raccolta (► TESTO: Vergine bella, che di sol vestita).
  • Il sonetto ripropone in chiave simile il motivo già presente in quello proemiale (► TESTO: Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono) dove l'amore per Laura era presentato quale "primo giovenile errore" e tutto quel che piace al mondo era definito "breve sogno", con un bilancio retrospettivo della propria vicenda umana che era sicuramente in gran parte negativo. Il tema della propria morte sentita come imminente e la necessità di essere soccorso dalla grazia divina era presente anche nella canzone 126, in cui Petrarca si augurava che Laura piangesse sulla sua tomba e ottenesse per lui il perdono del cielo (► TESTO: Chiare, fresche et dolci acque).


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