Ludovico Ariosto
L'orca di Ebuda
(Orlando furioso, XI, 21-43)
Dopo aver aiutato Olimpia a sconfiggere il malvagio re Cimosco e aver liberato il fidanzato di lei Bireno, Orlando ha lasciato i due sposi che crede destinati alla felicità e si rimette in viaggio alla volta dell'isola di Ebuda, dove teme che Angelica venga offerta in pasto alla mostruosa orca che devasta quelle terre. Il paladino ha nel frattempo distrutto l'archibugio di Cimosco, anche se (tuona sdegnato l'autore) tale micidiale invenzione è stata poi rinnovata da un negromante tedesco e ha finito per cancellare ogni ideale cavalleresco. Orlando giunge nei pressi dell'isola e trova in effetti una splendida fanciulla nuda e legata a uno scoglio, ma con sua grande sorpresa apprenderà che si tratta di Olimpia, nel frattempo crudelmente abbandonata dallo sposo Bireno su un'isola deserta. Dopo una lotta accanitissima contro il mostro, Orlando riesce a uccidere l'orca e a liberare Olimpia che gli racconterà la sua triste storia.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso
21
Così correndo l'uno, e seguitando l'altro, per un sentiero ombroso e fosco, che sempre si venìa più dilatando, in un gran prato uscir fuor di quel bosco. Non più di questo; ch'io ritorno a Orlando, che 'l fulgur che portò già il re Cimosco, avea gittato in mar nel maggior fondo, acciò mai più non si trovasse al mondo. 22 Ma poco ci giovò: che 'l nimico empio de l'umana natura, il qual del telo fu l'inventor, ch'ebbe da quel l'esempio, ch'apre le nubi e in terra vien dal cielo; con quasi non minor di quello scempio che ci diè quando Eva ingannò col melo, lo fece ritrovar da un negromante, al tempo de' nostri avi, o poco inante. 23 La machina infernal, di più di cento passi d'acqua ove stè ascosa molt'anni, al sommo tratta per incantamento, prima portata fu tra gli Alamanni; li quali uno ed un altro esperimento facendone, e il demonio a' nostri danni assuttigliando lor via più la mente, ne ritrovaro l'uso finalmente. 24 Italia e Francia e tutte l'altre bande del mondo han poi la crudele arte appresa. Alcuno il bronzo in cave forme spande, che liquefatto ha la fornace accesa; bùgia altri il ferro; e chi picciol, chi grande il vaso forma, che più e meno pesa: e qual bombarda e qual nomina scoppio, qual semplice cannon, qual cannon doppio; 25 qual sagra, qual falcon, qual colubrina sento nomar, come al suo autor più agrada; che 'l ferro spezza, e i marmi apre e ruina, e ovunque passa si fa dar la strada. Rendi, miser soldato, alla fucina per tutte l'arme c'hai, fin alla spada; e in spalla un scoppio o un arcobugio prendi; che senza, io so, non toccherai stipendi. 26 Come trovasti, o scelerata e brutta invenzion, mai loco in uman core? Per te la militar gloria è distrutta, per te il mestier de l'arme è senza onore; per te è il valore e la virtù ridutta, che spesso par del buono il rio migliore: non più la gagliardia, non più l'ardire per te può in campo al paragon venire. 27 Per te son giti ed anderan sotterra tanti signori e cavallieri tanti, prima che sia finita questa guerra, che 'l mondo, ma più Italia ha messo in pianti; che s'io v'ho detto, il detto mio non erra, che ben fu il più crudele e il più di quanti mai furo al mondo ingegni empi e maligni, ch'imaginò sì abominosi ordigni. 28 E crederò che Dio, perché vendetta ne sia in eterno, nel profondo chiuda del cieco abisso quella maladetta anima, appresso al maladetto Giuda. Ma seguitiamo il cavallier ch'in fretta brama trovarsi all'isola d'Ebuda, dove le belle donne e delicate son per vivanda a un marin mostro date. 29 Ma quanto avea più fretta il paladino, tanto parea che men l'avesse il vento. Spiri o dal lato destro o dal mancino, o ne le poppe, sempre è così lento, che si può far con lui poco camino; e rimanea talvolta in tutto spento: soffia talor sì averso, che gli è forza o di tornare, o d'ir girando all'orza. 30 Fu volontà di Dio che non venisse prima che 'l re d'Ibernia in quella parte, acciò con più facilità seguisse quel ch'udir vi farò fra poche carte. Sopra l'isola sorti, Orlando disse al suo nochiero: «Or qui potrai fermarte, e 'l battel darmi; che portar mi voglio senz'altra compagnia sopra lo scoglio. 31 E voglio la maggior gomona meco, e l'ancora maggior ch'abbi sul legno: io ti farò veder perché l'arreco, se con quel mostro ad affrontar mi vegno.» Gittar fe' in mare il palischermo seco, con tutto quel ch'era atto al suo disegno. Tutte l'arme lasciò, fuor che la spada; e vêr lo scoglio, sol, prese la strada. 32 Si tira i remi al petto, e tien le spalle volte alla parte ove discender vuole; a guisa che del mare o de la valle uscendo al lito, il salso granchio suole. Era ne l'ora che le chiome gialle la bella Aurora avea spiegate al Sole, mezzo scoperto ancora e mezzo ascoso, non senza sdegno di Titon geloso. 33 Fattosi appresso al nudo scoglio, quanto potria gagliarda man gittare un sasso, gli pare udire e non udire un pianto; sì all'orecchie gli vien debole e lasso. Tutto si volta sul sinistro canto; e posto gli occhi appresso all'onde al basso, vede una donna, nuda come nacque, legata a un tronco; e i piè le bagnan l'acque. 34 Perché gli è ancor lontana, e perché china la faccia tien, non ben chi sia discerne. Tira in fretta ambi i remi, e s'avicina con gran disio di più notizia averne. Ma muggiar sente in questo la marina, e rimbombar le selve e le caverne: gonfiansi l'onde; ed ecco il mostro appare, che sotto il petto ha quasi ascoso il mare. 35 Come d'oscura valle umida ascende nube di pioggia e di tempesta pregna, che più che cieca notte si distende per tutto 'l mondo, e par che 'l giorno spegna; così nuota la fera, e del mar prende tanto, che si può dir che tutto il tegna: fremono l'onde: Orlando in sé raccolto, la mira altier, né cangia cor né volto. 36 E come quel ch'avea il pensier ben fermo di quanto volea far, si mosse ratto; e perché alla donzella essere schermo, e la fera assalir potesse a un tratto, entrò fra l'orca e lei col palischermo, nel fodero lasciando il brando piatto: l'ancora con la gomona in man prese; poi con gran cor l'orribil mostro attese. 37 Tosto che l'orca s'accostò, e scoperse nel schifo Orlando con poco intervallo, per ingiottirlo tanta bocca aperse, ch'entrato un uomo vi saria a cavallo. Si spinse Orlando inanzi, e se gl'immerse con quella ancora in gola, e s'io non fallo, col battello anco; e l'ancora attaccolle e nel palato e ne la lingua molle: 38 sì che né più si puon calar di sopra, né alzar di sotto le mascelle orrende. Così chi ne le mine il ferro adopra, la terra, ovunque si fa via, suspende, che subita ruina non lo cuopra, mentre malcauto al suo lavoro intende. Da un amo all'altro l'ancora è tanto alta, che non v'arriva Orlando, se non salta. 39 Messo il puntello, e fattosi sicuro che 'l mostro più serrar non può la bocca, stringe la spada, e per quel antro oscuro di qua e di là con tagli e punte tocca. Come si può, poi che son dentro al muro giunti i nimici, ben difender rocca; così difender l'orca si potea dal paladin che ne la gola avea. 40 Dal dolor vinta, or sopra il mar si lancia, e mostra i fianchi e le scagliose schene; or dentro vi s'attuffa, e con la pancia muove dal fondo e fa salir l'arene. Sentendo l'acqua il cavallier di Francia, che troppo abonda, a nuoto fuor ne viene: lascia l'ancora fitta, e in mano prende la fune che da l'ancora depende. 41 E con quella ne vien nuotando in fretta verso lo scoglio; ove fermato il piede, tira l'ancora a sé, ch'in bocca stretta con le due punte il brutto mostro fiede. L'orca a seguire il canape è costretta da quella forza ch'ogni forza eccede, da quella forza che più in una scossa tira, ch'in dieci un argano far possa. 42 Come toro selvatico ch'al corno gittar si senta un improvviso laccio, salta di qua di là, s'aggira intorno, si colca e lieva, e non può uscir d'impaccio; così fuor del suo antico almo soggiorno l'orca tratta per forza di quel braccio, con mille guizzi e mille strane ruote segue la fune, e scior non se ne puote. 43 Di bocca il sangue in tanta copia fonde, che questo oggi il mar Rosso si può dire, dove in tal guisa ella percuote l'onde, ch'insino al fondo le vedreste aprire; ed or ne bagna il cielo, e il lume asconde del chiaro sol: tanto le fa salire. Rimbombano al rumor ch'intorno s'ode, le selve, i monti e le lontane prode. |
Così, mentre l'uno [Ruggiero] seguiva l'altro [il gigante] lungo un sentiero ombroso e buio che si andava allargando sempre più, uscirono fuori dal bosco in un grande prato. Ma ora non parlerò più di questo; torno a Orlando, che aveva gettato in fondo al mare l'archibugio un tempo appartenuto a re Cimosco, affinché sparisse dalla faccia della terra. Ma servì a poco: infatti il malvagio nemico dell'umanità [il demonio], il quale inventò quell'arma avendone l'esempio dal fulmine che squarcia le nubi e cade a terra dal cielo, provocandoci quasi un danno uguale a quello di Eva quando commise il peccato originale, la fece ritrovare da un negromante al tempo dei nostri avi, o poco prima. La macchina infernale fu portata in superficie con un incanto da una profondità di oltre cento passi d'acqua dove era rimasta nascosta per anni, e per prima arrivò tra i Tedeschi; e questi, facendone molti esperimenti, col demonio che per nostro danno rendeva più ingegnosa la loro mente, alla fine ne capirono l'utilizzo. L'Italia, la Francia e tutti gli altri paesi del mondo hanno poi imparato quell'arte crudele [delle armi da fuoco]. Alcuni fondono il bronzo in forme curve, dopo che la fornace lo ha liquefatto [per forgiare le armi]; altri bucano il ferro; altri ancora costruiscono la canna, piccola o grande e di maggiore o minor peso: queste armi si chiamano bombarda, schioppo, cannone semplice e doppio; lo sento chiamare sagro, falconetto, colubrina, a seconda di come preferisca il costruttore; esso spezza il ferro e apre e rovina la pietra, e ovunque passa si apre la strada a forza. Restituisci, o misero soldato, alla fucina tutte le tue armi, anche la spada; e prendi in spalla uno schioppo o un archibugio, perché senza quelli, sono sicuro, non prenderai stipendi. Come hai potuto trovare, o invenzione scellerata e indegna, spazio nel cuore umano? A causa tua la gloria militare è distrutta, il mestiere delle armi è senza onore; a causa tua il valore e la virtù sono ridotte al punto che spesso il malvagio sembra migliore del buono: la gagliardia e il coraggio, a causa tua, non possono più battersi sul campo. A causa tua sono andati e andranno sottoterra tanti signori e cavalieri, prima che finisca questa guerra che ha prodotto lutti nel mondo, ma soprattutto in Italia; infatti vi ho detto (e non mi sbaglio certo) che chi inventò questi ordigni abominevoli è stato il più crudele di tutti gli ingegni empi e malvagi che vi sono stati al mondo. E penso che Dio, per farne un'eterna vendetta, chiuderà nelle profondità dell'abisso infernale quella maledetta anima, vicino al maledetto Giuda. Ma seguiamo il cavaliere [Orlando] che vorrebbe trovarsi in fretta all'isola di Ebuda, dove le belle e delicate donne sono date in pasto a un mostro marino. Quanto più il paladino aveva fretta, tanto meno sembrava averne il vento. Che spiri dal lato destro o sinistro, o a poppa, è sempre così lento che grazie ad esso si può avanzare ben poco; e talvolta cessava del tutto: talora soffia così contrario che è necessario virare, o andare all'orza [accostare la prua al lato dove spira il vento]. Fu per volontà di Dio che Orlando non giunse a quell'isola prima del re d'Irlanda, affinché avvenisse più facilmente quello che vi farò ascoltare tra poche pagine. Arrivati presso l'isola, Orlando disse al suo timoniere: «Ora attraccherai qui e mi darai un battello; voglio andare su quello scoglio da solo. E voglio portarmi la gomena più grande e l'ancora più grossa che hai sulla nave: io ti mostrerò perché la voglio, se dovrò battermi con quel mostro.» Fece calare il battello in mare con lui a bordo, con tutto ciò che era necessario per i suoi piani. Lasciò tutta l'armatura, eccetto la spada, e si diresse solo verso lo scoglio. Si tira i remi al petto e tiene le spalle rivolte alla parte dove vuole scendere, proprio come è solito fare il granchio di mare quando esce dal mare verso la spiaggia. Era l'ora in cui la bella Aurora aveva dispiegato le chiome bionde al sole, ancora semi-nascosto, geloso non senza sdegno di Titone. Avvicinatosi al nudo scoglio, a distanza pari a un buon lancio di sasso, gli sembra quasi di udire un pianto, a tal punto gli arriva debole alle orecchie. Si volta a sinistra e guardando alle onde in basso vede una donna, completamente nuda, legata a un tronco; e i piedi sono bagnati dalle onde. Non capisce bene di chi si tratti, perché è ancora lontana e tiene il volto basso. Tira in fretta i due remi e si avvicina con gran desiderio di vederla meglio. Ma in quell'istante sente mugghiare il mare e rimbombare le selve e le caverne: le onde si gonfiano ed ecco che appare il mostro, che quasi nasconde il mare sotto il petto [per la sua enormità]. Come una nube di pioggia gonfia di tempesta sale umida da una valle scura, e si diffonde in tutto il mondo come una notte buia e sembra spegnere il giorno; così nuota quella belva e prende tanta acqua dal mare che sembra quasi occuparlo tutto: le onde fremono: Orlando raccolto in sé la osserva spavaldo e non cambia né cuore né volto [non impallidisce]. E poiché era determinato a mettere in atto il suo piano, si mosse rapido; e per poter allo stesso tempo fare scudo alla fanciulla e assalire la belva, si mise tra l'orca e lei col battello, lasciando la spada di piatto nel fodero: prese in mano la gomena con l'ancora e poi attese l'orribile mostro con coraggio. Appena l'orca si avvicinò e vide in poco tempo Orlando nel battello, aprì per inghiottirlo la bocca così enorme che un uomo a cavallo vi sarebbe potuto entrare. Orlando si spinse avanti e le entrò nelle fauci con quell'ancora, e se non mi sbaglio anche col battello; e le attaccò l'ancora nel palato e nella lingua molle: cosicché l'orca non può più calare di sopra né alzare di sotto le sue orrende mascelle. Così chi usa il ferro nelle miniere puntella la terra man mano che avanza, per non essere sepolto da un crollo improvviso, mentre lavora in modo rischioso. Da una punta all'altra l'ancora è tanto alta che Orlando non ci arriva a meno di saltare. Messo quel puntello e assicuratosi che il mostro non possa più chiudere la bocca, impugna la spada e con essa infligge molteplici ferite di taglio e punta in quell'oscura cavità. Come è impossibile difendere la rocca quando i nemici son penetrati dentro alle mura, così l'orca non poteva difendersi dal paladino che aveva in gola. Vinta dal dolore, essa si lancia in mare e mostra i fianchi e il dorso scaglioso; poi vi si tuffa dentro e con la pancia smuove la sabbia dal fondo e la fa salire in superficie. Il cavaliere franco, sentendo che c'è troppa acqua, ne esce a nuoto e lascia l'ancora confitta nella bocca del mostro, afferrando la fune che è assicurata ad essa. E con quella nuota in fretta verso lo scoglio; quando lo ha raggiunto, tira l'ancora a sé e quella ferisce il brutto mostro, stretta con le due punte nelle sue fauci. L'orca è costretta a seguire la fune per quella forza [di Orlando] che supera ogni altra forza, che tira con un solo tratto più di quanto faccia dieci volte un argano. Come il toro selvaggio che si sente all'improvviso un laccio tra le corna, salta di qua e di là e gira intorno, si corica e si alza, ma non può levarsi d'impaccio; così l'orca, tratta per forza di quel braccio fuori dal suo ambiente naturale, segue la fune con mille guizzi e mille giravolte, e non può liberarsene. Effonde dalla bocca tanto sangue che oggi questo sembra il Mar Rosso, dove essa colpisce le onde in modo tale che le vedreste aprire sino al fondo; e ora ne bagna il cielo, fino a nascondere la luce del sole: a tal punto le fa salire. Le selve, i monti e le prode lontane rimbombano al rumore che si ode intorno. |
Interpretazione complessiva
- All'inizio passo Ruggiero sta inseguendo il gigante che crede abbia rapito l'amata Bradamante, ignaro che si tratta dell'ennesimo inganno del mago Atlante che lo condurrà in un castello fatato dove sarà tenuto prigioniero insieme ad altri, incluso Orlando (► TESTO: Il castello di Atlante): quest'ultimo intanto veleggia verso l'isola di Ebuda, temendo che Angelica sia stata esposta all'orca e non sapendo che la fanciulla è stata nel frattempo liberata proprio da Ruggiero in groppa all'ippogrifo, che tuttavia non è stato in grado di uccidere il terribile mostro (X.92 ss.). Orlando, che ha appreso dell'orca e dell'usanza degli abitanti di Ebuda di offrire alla belva in pasto delle indifese donzelle, è intenzionato ad affrontarla e ucciderla, scopo che raggiungerà più con l'astuzia e la destrezza che con la forza (si veda oltre).
- Orlando nell'episodio precedente ha sconfitto Cimosco, il malvagio re di Frisa che era in possesso di un micidiale archibugio creato con arti magiche, arma che il paladino ha poi preso e gettato in fondo al mare per renderla inservibile (► TESTO: Orlando e l'archibugio): Ariosto torna a parlarne nel canto XI e osserva tristemente che il gesto di Orlando è stato inutile, in quanto nei tempi moderni un negromante tedesco (chiara allusione al monaco Berthold Schwarze, considerato l'inventore della polvere da sparo in Europa) ha ricostruito la "macchina infernal" per volere del demonio, che è il vero creatore di questi "abominosi ordigni". L'autore si lancia in una vera e propria invettiva contro le armi da fuoco, colpevoli a suo dire di avere distrutto la "militar gloria" e di aver annullato i valori di cortesia e cavalleria, in quanto l'uso degli archibugi e delle artiglierie non richiede particolare abilità e "spesso par del buono il rio migliore" (è lo stesso già espresso nel passo precedente, IX.90-91). Ariosto è perfettamente consapevole dell'evoluzione dell'arte militare nel Cinquecento e del tramonto della figura del cavaliere, tuttavia la sua posizione, solo in apparenza nostalgica, è di critica all'uso delle artiglierie che stavano rivoluzionando i conflitti e deplora la diffusione di colubrine e falconetti, gli antenati del moderno fucile, tra le soldatesche di ventura che in quegli anni percorrevano l'Italia mettendola spesso a ferro e fuoco (► SCHEDA: Armi da fuoco e cavalleria; ► CINEMA: Il mestiere delle armi). Il passo è uno dei rari casi nel Furioso in cui il poeta si abbandona a un amaro sfogo e a un'invettiva dal tono quasi dantesco, specie quando invoca la vendetta divina e pronostica la dannazione dell'inventore dell'archibugio nel profondo dell'inferno, accanto a Giuda.
- Lo scontro fra Orlando e l'orca rientra nel topos della lotta tra l'eroe e il mostro, antichissimo e diffuso sia nella tradizione biblica che in quella classica (famosi gli esempi di Davide e Golia, Perseo e Medusa...), nonché ovviamente nella letteratura cavalleresca del Medioevo in cui si ha anche il mito di S. Giorgio e il drago: l'orca fa la sua seconda apparizione nel poema, poiché era già stata affrontata da Ruggiero che aveva salvato Angelica ma non era stato in grado di uccidere il mostro, anzi l'aveva stordito grazie allo scudo fatato che gli era stato consegnato da Logistilla. Orlando non ricorre ad espedienti magici, bensì elabora un astuto piano per avere ragione del mostro: aspetta che questo spalanchi la sua enorme bocca e vi entra dentro con tutta la barca, per piantarvi l'ancora a mo' di puntello e impedire alla belva di rinserrare le mascelle, quindi la ferisce con la spada e la trascina a riva con la grossa fune assicurata all'ancora, finché la bestia muore dissanguata e soffocata per mancanza d'acqua. La sequenza, solo in parte grottesca, mostra Orlando intento quasi a "pescare" l'orca usando la fune e l'ancora come una bizzarra lenza, adattata alle enormi dimensioni dell'animale, e servendosi della sua forza erculea che, come dice l'autore, è superiore a quella di qualunque altro essere umano. Ariosto descrive la scena con similitudini concrete tratte per lo più dal mondo naturale o animale, come la "nube di pioggia" sollevata dalla belva mentre nuota, o il "toro selvatico" preso al laccio nelle corna, o ancora il minatore che puntella la galleria sotterranea come fa Orlando con l'ancora nella bocca del mostro. L'immagine di 43.5-6 ("ed or ne bagna il cielo, e il lume asconde / del chiaro sol", riferita alle enormi ondate scatenate dal mostro che si dibatte) rimanda a Aen., III.423 (sidera verberat unda).
- La conclusione dell'episodio è in un certo senso a sorpresa, poiché Orlando, che credeva di trovare legata allo scoglio Angelica, vi trova in realtà Olimpia che gli racconta l'indegno abbandono di Bireno, che l'ha lasciata su un'isola deserta mentre tornavano in Selandia e ha fatto sì che fosse catturata da corsari e portata ad Ebuda (► TESTO: L'abbandono di Olimpia). Orlando già si sente in dovere di vendicare la fanciulla, ma in realtà tale compito verrà svolto da Oberto, il re d'Irlanda che sopraggiunge poco dopo e si innamora di Olimpia per la sua sfolgorante bellezza, tanto che la sposa e invade poi le terre di Bireno che mette a morte (XI.78 ss.). Il paladino può quindi riprendere la ricerca di Angelica, anche se di lì a poco finirà anche lui nell'inganno del secondo castello di Atlante, in cui è prigioniero insieme agli altri Ruggiero che è apparso all'inizio di questo canto.