Ludovico Ariosto
Il castello di Atlante
(Orlando furioso, XII, 1-37)
Mentre è all'affannosa ricerca di Angelica, Orlando crede di vedere la donna prigioniera di un cavaliere che la trascina via e li segue sino alle soglie di un meraviglioso palazzo nel quale entra: si tratta in realtà dell'ennesimo incanto del mago Atlante di Carena, che ha attirato con l'inganno in questo castello Ruggiero e altri paladini per stornare dal figlio adottivo il suo destino funesto, per cui trattiene i vari personaggi all'interno del maniero facendo loro credere che dentro ci sia la persona o la cosa ricercata. L'episodio, tra i più noti del poema, è una metafora della vita umana intesa come eterna ricerca di qualcosa di irraggiungibile, affine alla selva del canto iniziale in cui avviene la fuga di Angelica. Proprio quest'ultima libera Orlando, Sacripante e Ferraù dalla prigionia, facendosi poi beffe di loro grazie al suo anello magico.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso
1
Cerere, poi che da la madre Idea tornando in fretta alla solinga valle, là dove calca la montagna Etnea al fulminato Encelado le spalle, la figlia non trovò dove l'avea lasciata fuor d'ogni segnato calle; fatto ch'ebbe alle guance, al petto, ai crini e agli occhi danno, al fin svelse duo pini; 2 e nel fuoco gli accese di Vulcano, e diè lor non potere esser mai spenti: e portandosi questi uno per mano sul carro che tiravan dui serpenti, cercò le selve, i campi, il monte, il piano, le valli, i fiumi, li stagni, i torrenti, la terra e 'l mare; e poi che tutto il mondo cercò di sopra, andò al tartareo fondo. 3 S'in poter fosse stato Orlando pare all'Eleusina dea, come in disio, non avria, per Angelica cercare, lasciato o selva o campo o stagno o rio o valle o monte o piano o terra o mare, il cielo e 'l fondo de l'eterno oblio; ma poi che 'l carro e i draghi non avea, la gìa cercando al meglio che potea. 4 L'ha cercata per Francia: or s'apparecchia per Italia cercarla e per Lamagna, per la nuova Castiglia e per la vecchia, e poi passare in Libia il mar di Spagna. Mentre pensa così, sente all'orecchia una voce venir, che par che piagna: si spinge inanzi; e sopra un gran destriero trottar si vede innanzi un cavalliero, 5 che porta in braccio e su l'arcion davante per forza una mestissima donzella. Piange ella, e si dibatte, e fa sembiante di gran dolore; ed in soccorso appella il valoroso principe d'Anglante; che come mira alla giovane bella, gli par colei, per cui la notte e il giorno cercato Francia avea dentro e d'intorno. 6 Non dico ch'ella fosse, ma parea Angelica gentil ch'egli tant'ama. Egli, che la sua donna e la sua dea vede portar sì addolorata e grama, spinto da l'ira e da la furia rea, con voce orrenda il cavallier richiama; richiama il cavalliero e gli minaccia, e Brigliadoro a tutta briglia caccia. 7 Non resta quel fellon, né gli risponde, all'alta preda, al gran guadagno intento, e sì ratto ne va per quelle fronde, che saria tardo a seguitarlo il vento. L'un fugge, e l'altro caccia; e le profonde selve s'odon sonar d'alto lamento. Correndo usciro in un gran prato; e quello avea nel mezzo un grande e ricco ostello. 8 Di vari marmi con suttil lavoro edificato era il palazzo altiero. Corse dentro alla porta messa d'oro con la donzella in braccio il cavalliero. Dopo non molto giunse Brigliadoro, che porta Orlando disdegnoso e fiero. Orlando, come è dentro, gli occhi gira; né più il guerrier, né la donzella mira. 9 Subito smonta, e fulminando passa dove più dentro il bel tetto s'alloggia: corre di qua, corre di là, né lassa che non vegga ogni camera, ogni loggia. Poi che i segreti d'ogni stanza bassa ha cerco invan, su per le scale poggia; e non men perde anco a cercar di sopra, che perdessi di sotto, il tempo e l'opra. 10 D'oro e di seta i letti ornati vede: nulla de muri appar né de pareti; che quelle, e il suolo ove si mette il piede, son da cortine ascose e da tapeti. Di su di giù va il conte Orlando e riede; né per questo può far gli occhi mai lieti che riveggiano Angelica, o quel ladro che n'ha portato il bel viso leggiadro. 11 E mentre or quinci or quindi invano il passo movea, pien di travaglio e di pensieri, Ferraù, Brandimarte e il re Gradasso, re Sacripante ed altri cavallieri vi ritrovò, ch'andavano alto e basso, né men facean di lui vani sentieri; e si ramaricavan del malvagio invisibil signor di quel palagio. 12 Tutti cercando il van, tutti gli dànno colpa di furto alcun che lor fatt'abbia: del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno; ch'abbia perduta altri la donna, arrabbia; altri d'altro l'accusa: e così stanno, che non si san partir di quella gabbia; e vi son molti, a questo inganno presi, stati le settimane intiere e i mesi. 13 Orlando, poi che quattro volte e sei tutto cercato ebbe il palazzo strano, disse fra sé: «Qui dimorar potrei, gittare il tempo e la fatica invano: e potria il ladro aver tratta costei da un'altra uscita, e molto esser lontano.» Con tal pensiero uscì nel verde prato, dal qual tutto il palazzo era aggirato. 14 Mentre circonda la casa silvestra, tenendo pur a terra il viso chino, per veder s'orma appare, o da man destra o da sinistra, di nuovo camino; si sente richiamar da una finestra: e leva gli occhi; e quel parlar divino gli pare udire, e par che miri il viso, che l'ha da quel che fu, tanto diviso. 15 Pargli Angelica udir, che supplicando e piangendo gli dica: «Aita, aita! la mia virginità ti raccomando più che l'anima mia, più che la vita. Dunque in presenza del mio caro Orlando da questo ladro mi sarà rapita? più tosto di tua man dammi la morte, che venir lasci a sì infelice sorte.» 16 Queste parole una ed un'altra volta fanno Orlando tornar per ogni stanza, con passione e con fatica molta, ma temperata pur d'alta speranza. Talor si ferma, ed una voce ascolta, che di quella d'Angelica ha sembianza (e s'egli è da una parte, suona altronde), che chieggia aiuto; e non sa trovar donde. 17 Ma tornando a Ruggier, ch'io lasciai quando dissi che per sentiero ombroso e fosco il gigante e la donna seguitando, in un gran prato uscito era del bosco; io dico ch'arrivò qui dove Orlando dianzi arrivò, se 'l loco riconosco. Dentro la porta il gran gigante passa: Ruggier gli è appresso, e di seguir non lassa. 18 Tosto che pon dentro alla soglia il piede, per la gran corte e per le logge mira; né più il gigante né la donna vede, e gli occhi indarno or quinci or quindi aggira. Di su di giù va molte volte e riede; né gli succede mai quel che desira: né si sa imaginar dove sì tosto con la donna il fellon si sia nascosto. 19 Poi che revisto ha quattro volte e cinque di su di giù camere e logge e sale, pur di nuovo ritorna, e non relinque che non ne cerchi fin sotto le scale. Con speme al fin che sian ne le propinque selve, si parte: ma una voce, quale richiamò Orlando, lui chiamò non manco; e nel palazzo il fe' ritornar anco. 20 Una voce medesma, una persona che paruta era Angelica ad Orlando, parve a Ruggier la donna di Dordona, che lo tenea di sé medesmo in bando. Se con Gradasso o con alcun ragiona di quei ch'andavan nel palazzo errando, a tutti par che quella cosa sia, che più ciascun per sé brama e desia. 21 Questo era un nuovo e disusato incanto ch'avea composto Atlante di Carena, perché Ruggier fosse occupato tanto in quel travaglio, in quella dolce pena, che 'l mal'influsso n'andasse da canto, l'influsso ch'a morir giovene il mena. Dopo il castel d'acciar, che nulla giova, e dopo Alcina, Atlante ancor fa pruova. 22 Non pur costui, ma tutti gli altri ancora, che di valore in Francia han maggior fama, acciò che di lor man Ruggier non mora, condurre Atlante in questo incanto trama. E mentre fa lor far quivi dimora, perché di cibo non patischin brama, sì ben fornito avea tutto il palagio, che donne e cavallier vi stanno ad agio. 23 Ma torniamo ad Angelica, che seco avendo quell'annel mirabil tanto, ch'in bocca a veder lei fa l'occhio cieco, nel dito, l'assicura da l'incanto; e ritrovato nel montano speco cibo avendo e cavalla e veste e quanto le fu bisogno, avea fatto disegno di ritornare in India al suo bel regno. 24 Orlando volentieri o Sacripante voluto avrebbe in compania: non ch'ella più caro avesse l'un che l'altro amante; anzi di par fu a' lor disii ribella: ma dovendo, per girsene in Levante, passar tante città, tante castella, di compagnia bisogno avea e di guida, né potea aver con altri la più fida. 25 Or l'uno or l'altro andò molto cercando, prima ch'indizio ne trovasse o spia, quando in cittade, e quando in ville, e quando in alti boschi, e quando in altra via. Fortuna al fin là dove il conte Orlando, Ferraù e Sacripante era, la invia, con Ruggier, con Gradasso ed altri molti che v'avea Atlante in strano intrico avolti. 26 Quivi entra, che veder non la può il mago, e cerca il tutto, ascosa dal suo annello; e trova Orlando e Sacripante vago di lei cercare invan per quello ostello. Vede come, fingendo la sua immago, Atlante usa gran fraude a questo e a quello. Chi tor debba di lor, molto rivolve nel suo pensier, né ben se ne risolve. 27 Non sa stimar chi sia per lei migliore, il conte Orlando o il re dei fier Circassi. Orlando la potrà con più valore meglio salvar nei perigliosi passi: ma se sua guida il fa, sel fa signore; ch'ella non vede come poi l'abbassi, qualunque volta, di lui sazia, farlo voglia minore, o in Francia rimandarlo. 28 Ma il Circasso depor, quando le piaccia, potrà, se ben l'avesse posto in cielo. Questa sola cagion vuol ch'ella il faccia sua scorta, e mostri avergli fede e zelo. L'annel trasse di bocca, e di sua faccia levò dagli occhi a Sacripante il velo. Credette a lui sol dimostrarsi, e avenne ch'Orlando e Ferraù le sopravenne. 29 Le sopravenne Ferraù ed Orlando; che l'uno e l'altro parimente giva di su di giù, dentro e di fuor cercando del gran palazzo lei, ch'era lor diva. Corser di par tutti alla donna, quando nessuno incantamento gli impediva: perché l'annel ch'ella si pose in mano, fece d'Atlante ogni disegno vano. 30 L'usbergo indosso aveano e l'elmo in testa dui di questi guerrier, dei quali io canto; né notte o dì, dopo ch'entraro in questa stanza, l'aveano mai messi da canto; che facile a portar, come la vesta, era lor, perché in uso l'avean tanto. Ferraù il terzo era anco armato, eccetto che non avea né volea avere elmetto, 31 fin che quel non avea, che 'l paladino tolse Orlando al fratel del re Troiano; ch'allora lo giurò, che l'elmo fino cercò de l'Argalia nel fiume invano: e se ben quivi Orlando ebbe vicino, né però Ferraù pose in lui mano; avenne, che conoscersi tra loro non si poter, mentre là dentro foro. 32 Era così incantato quello albergo, ch'insieme riconoscer non poteansi. Né notte mai né dì, spada né usbergo né scudo pur dal braccio rimoveansi. I lor cavalli con la sella al tergo, pendendo i morsi da l'arcion, pasceansi in una stanza, che presso all'uscita, d'orzo e di paglia sempre era fornita. 33 Atlante riparar non sa né puote, ch'in sella non rimontino i guerrieri per correr dietro alle vermiglie gote, all'auree chiome ed a' begli occhi neri de la donzella, ch'in fuga percuote la sua iumenta, perché volentieri non vede li tre amanti in compagnia, che forse tolti un dopo l'altro avria. 34 E poi che dilungati dal palagio gli ebbe sì, che temer più non dovea che contra lor l'incantator malvagio potesse oprar la sua fallacia rea; l'annel che le schivò più d'un disagio, tra le rosate labra si chiudea: donde lor sparve subito dagli occhi, e gli lasciò come insensati e sciocchi. 35 Come che fosse il suo primier disegno di voler seco Orlando o Sacripante, ch'a ritornar l'avessero nel regno di Galafron ne l'ultimo Levante; le vennero amendua subito a sdegno, e si mutò di voglia in uno istante: e senza più obligarsi o a questo o a quello, pensò bastar per amendua il suo annello. 36 Volgon pel bosco or quinci or quindi in fretta quelli scherniti la stupida faccia; come il cane talor, se gli è intercetta o lepre o volpe, a cui dava la caccia, che d'improviso in qualche tana stretta o in folta macchia o in un fosso si caccia. Di lor si ride Angelica proterva, che non è vista, e i lor progressi osserva. 37 Per mezzo il bosco appar sol una strada: credono i cavallier che la donzella inanzi a lor per quella se ne vada; che non se ne può andar, se non per quella. Orlando corre, e Ferraù non bada, né Sacripante men sprona e puntella. Angelica la briglia più ritiene, e dietro lor con minor fretta viene. |
Cerere, tornando in fretta dalla madre Idea [Cibele] alla valle solitaria, là dove l'Etna preme sulle spalle del gigante Encelado fulminato [da Giove], non trovò la figlia [Proserpina] dove l'aveva lasciata, lontana da ogni sentiero battuto; e dopo essersi danneggiata le guance, il petto, i capelli e gli occhi, alla fine sradicò due pini; e li accese col fuoco di Vulcano, dando ad essi il potere di non spegnersi mai: e tenendone uno per mano, sul carro trainato da draghi esplorò le selve, i campi, il monte, la pianura, le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, la terra e il mare; e dopo aver cercato in tutto il mondo, andò nel fondo del Tartaro. Se Orlando avesse avuto il potere della dea Eleusina, come desiderava, per cercare Angelica non avrebbe tralasciato selva, campo, stagno, ruscello, valle, monte, pianura, terra o mare, né il cielo o il fondo dell'oblio eterno; ma poiché non aveva il carro e i draghi, la andava cercando meglio che potesse. L'ha cercata in Francia: ora si prepara a cercarla in Italia e in Germania, per la nuova e vecchia Castiglia, per poi passare dalla Spagna alla Libia per mare. Mentre pensa questo, sente una voce che sembra piangere: si porta avanti e sopra un gran cavallo vede trottare un cavaliere, che porta in braccio e sull'arcione davanti a sé con violenza una fanciulla tristissima. Lei piange e si dibatte, e mostra gran dolore; e chiama in aiuto in principe di Anglante [Orlando]; e non appena lui guarda la bella fanciulla, gli sembra quella per cui aveva cercato in Francia e dintorni notte e giorno [Angelica]. Non dico che fosse lei, ma sembrava la nobile Angelica che lui ama tanto. Lui, che vede la sua donna e la sua dea portata via così misera e addolorata, spinto da ira e furia cieca, richiama il cavaliere con voce orrenda e lo minaccia, e intanto sprona Brigliadoro a tutta velocità. Quel fellone non rimane e non gli risponde, intento a quella nobile preda e al gran guadagno [alla fanciulla rapita], e scappa tra quei boschi così veloce che il vento sarebbe lento a seguirlo. Uno fugge e l'altro lo insegue; e si sentono risuonare le selve profonde di un alto lamento. Correndo arrivarono in un gran prato; ed esso aveva al centro un grande e ricco castello. Il nobile palazzo era costruito con vari marmi riccamente istoriati. Il cavaliere corse dentro alla porta adornata in oro, con la fanciulla in braccio. Dopo non molto giunse Brigliadoro, che porta in sella lo sdegnoso e fiero Orlando. Questi, appena è dentro, si guarda intorno, ma non vede più né il guerriero né la fanciulla. Smonta subito e come un fulmine si addentra all'interno del castello: corre di qua e là, non tralascia di cercare in ogni camera, in ogni loggia. Dopo aver esplorato invano ogni stanza al pian terreno, sale per le scale; e perde tempo e fatica a cercare di sopra, non meno di quanto abbia fatto di sotto. Vede i letti ornati di seta e d'oro: i muri e le pareti sono del tutto coperte da cortine, così come i pavimenti sono nascosti da tappeti. Il conte Orlando va su e giù e ritorna; ma non riesce a rivedere gli occhi lieti di Angelica, né quel ladro che ha portato via il suo bellissimo viso. E mentre camminava invano da una parte all'altra, pieno di pensieri e di affanno, trovò qui Ferraù, Brandimarte e il re Gradasso, il re Sacripante e altri cavalieri che andavano su e giù e come lui cercavano senza esito; e si lamentavano del malvagio e invisibile padrone di quel palazzo. Tutti cercano invano e tutti lo accusano di un furto commesso ai loro danni: uno si lamenta di aver perso il cavallo, un altro è arrabbiato per aver perso la donna; un altro lo accusa di altre cose: e così restano qui, non sapendo uscire da quella gabbia; e molti, presi in questo inganno, vi sono rimasti anni e mesi. Orlando, dopo aver esplorato innumerevoli volte quello strano palazzo, disse fra sé: «Potrei stare qui e sprecare tempo e fatica: e il ladro potrebbe aver portato via Angelica da un'altra uscita ed esser molto lontano.» Pensando così uscì nel verde prato, che circondava l'intero palazzo. Mentre gira attorno alla casa isolata, tenendo sempre lo sguardo a terra per vedere se appare un'orma di un nuovo cammino, a destra o a sinistra, si sente chiamare da una finestra e alza gli occhi: e gli sembra udire quella voce divina, e gli sembra di vedere il viso [di Angelica] che l'ha reso tanto diverso da come era prima. Gli sembra di udire Angelica che supplicando e piangendo gli dica: «Aiuto, aiuto! ti raccomando la mia verginità, più della mia anima o della mia vita. Dunque essa mi sarà portata via in presenza del mio caro Orlando? Piuttosto che lasciarmi a una sorte così triste, dammi la morte con le tue mani.» Queste parole spingono Orlando ad andare ancora più volte in ogni stanza, con molta passione e fatica, ma addolcita da una grande speranza. A volte si ferma e sente una voce che sembra quella di Angelica che chiede aiuto (se lui è in un posto, essa risuona in un altro); e non sa capire da dove provenga. Ma tornando a Ruggiero, che io lasciai quando dissi che era uscito dal bosco in un grande prato seguendo il gigante e la donna [che credeva Bradamante] lungo un sentiero ombroso e buio, io dico che arrivò nello stesso posto in cui era giunto Orlando, se riconosco il luogo. Il gigante attraversa la porta e Ruggiero gli è dietro, non cessa di inseguirlo. Non appena mette piede dentro il castello, osserva la grande corte e le logge; non vede più il gigante o la donna, e gira lo sguardo vanamente in ogni direzione. Va e torna molte molte su e giù, ma non raggiunge mai il suo scopo: non sa immaginare dove quel fellone si sia nascosto così veloce con la donna. Dopo che ha esplorato innumerevoli volte camere, logge e sale torna di nuovo e non tralascia neppure di cercare sotto le scale. Alla fine esce nella speranza che sia nei boschi vicini: ma una voce, simile a quella che aveva richiamato Orlando, lo chiamò allo stesso modo e lo fece tornare dentro. Una stessa voce, una stessa persona che era sembrata Angelica ad Orlando sembrò a Ruggiero la donna di Dordona [Bradamante], che lo teneva fuori di sé per amore. Se parla con Gradasso o con qualcun altro di quelli che andavano errando nel palazzo, a tutti sembra che sia quella cosa che ognuno desidera e brama per sé. Questo era un nuovo e bizzarro incanto prodotto dal mago Atlante di Carena, perché Ruggiero fosse tanto occupato in quella fatica, in quella dolce pena, da annullare il destino funesto che lo conduce a morire da giovane. Dopo il castello d'acciaio che non è servito a nulla, dopo Alcina, Atlante ci prova ancora. Atlante trama di condurre in questo incanto non solo Ruggiero, ma anche tutti gli altri che in Francia hanno maggior fama di valore, perché Ruggiero non sia ucciso dalla loro mano. E mentre li costringe a restare qui, aveva fornito tutto il palazzo di cibo per non far loro patire la fame, a tal punto che donne e cavalieri vi stanno a loro agio. Ma torniamo ad Angelica, che avendo con sé quel meraviglioso anello che se tenuto in bocca la rende invisibile e al dito la assicura da ogni incantesimo, e avendo ritrovato nella caverna in montagna cibo, una cavalla, una veste e quanto le serviva, aveva deciso di tornarsene in Oriente al suo bel regno. Avrebbe voluto volentieri la compagnia di Orlando o Sacripante: non perché lei volesse uno di loro come amante, anzi sdegnava del pari i loro desideri, ma dovendo passare tante città e tanti castelli per arrivare al Levante, le serviva compagnia e una guida, né poteva sperarne una più fidata di loro. Ora cercò entrambi per parecchio tempo prima di trovare il minimo indizio di loro, in città, in villaggi e in alti boschi, e in altri luoghi. Il caso alla fine la portò là dove si trovavano Orlando, Ferraù e Sacripante, insieme a Ruggiero, Gradasso e molti altri che Atlante aveva irretito in quel bizzarro intrigo. Angelica entra nel castello, non vista dal mago, e cerca dappertutto, nascosta dall'anello; e trova Orlando e Sacripante, entrambi smaniosi di trovarla in quell'edificio. Capisce che Atlante, fingendo che lei sia presente in quel luogo, li imbroglia entrambi. Riflette a lungo quale dei due debba prendere come scorta, né giunge a una conclusione certa. Non sa valutare chi sia il miglior partito, se Orlando o il re di Circassia. Orlando la potrà salvare meglio nelle circostanze più rischiose, ma se lo elegge come sua guida egli sarà il suo signore; non saprebbe come renderlo mansueto qualora, stanca di lui, volesse rispedirlo in Francia. Invece potrà ridimensionare il Circasso quando le piaccia, se anche lo avrà molto illuso. Questa sola ragione la spinge a fare di Sacripante la sua scorta, e mostrargli fede e amore. Si tolse l'anello di bocca e mostrò il proprio volto a Sacripante. Credeva di mostrarsi solo a lui, invece sopraggiunsero anche Orlando e Ferraù. Giunsero Orlando e Ferraù: entrambi andavano del pari cercando ovunque nel gran palazzo lei, che era la loro dea. Tutti corsero dalla donna, poiché nessun incantesimo glielo impediva: infatti l'anello che Angelica infilò al dito vanificò ogni disegno di Atlante. Due di questi guerrieri di cui canto avevano la corazza indosso e l'elmo in testa: non li avevano mai deposti né notte né giorno, da quando erano entrati in questo castello, poiché per loro erano facili da indossare come una veste, essendoci abituati. Il terzo, Ferraù, era anche armato, tranne per il fatto che non voleva portare l'elmo, finché non avesse conquistato quello che il paladino Orlando aveva tolto al fratello di re Troiano [Almonte]; lo giurò quando cercava invano l'elmo di Argalìa nel fiume: e se anche fu vicino a Orlando in questo castello, non per questo lo aveva sfidato; mentre erano là dentro, infatti, non si potevano riconoscere. Quel castello era talmente incantato che non potevano riconoscersi. Né notte né giorno si toglievano mai la spada, la corazza o lo scudo dal braccio. I loro cavalli ancora sellati, coi morsi che pendevano dall'arcione, mangiavano in una sala vicino all'uscita, sempre fornita di orzo e paglia. Atlante non può impedire che i guerrieri rimontino in sella per correre dietro alle guance rosee, ai capelli biondi e ai begli occhi neri di Angelica, che fugge frustando la sua giumenta perché non vede volentieri i tre innamorati tutti insieme, mentre forse li avrebbe presi uno dopo l'altro. E dopo averli allontanati dal palazzo tanto che non doveva più temere che il mago malvagio usasse contro di loro il suo potere, si mise tra le labbra rosee l'anello che le evitò più di un pericolo: sparì subito ai loro occhi e li lasciò come sbalorditi e sciocchi. Anche se il suo primo disegno era di volere con sé Orlando o Sacripante, perché la scortassero in estremo Oriente, nel regno di Galafrone, pure le vennero subito entrambi a sdegno, e cambiò il suo volere in un istante: e senza più legarsi all'uno o all'altro, pensò che l'anello bastasse per entrambi. Quelli, così scherniti, volgono nel bosco la faccia istupidita da una parte e dall'altra, come talvolta fa il cane se scompare la lepre o la volpe a cui dava la caccia, se si è nascosta in un folto cespuglio o in un fosso. La arrogante Angelica ride di loro, non vista, e osserva i loro progressi. In mezzo al bosco c'è un solo sentiero: i cavalieri credono che la fanciulla vada di fronte a loro lungo di esso, poiché non si può procedere se non da quella parte. Orlando corre e non bada a Ferraù, e Sacripante sprona il cavallo altrettanto. Angelica invece trattiene la briglia e li segue con minor fretta. |
Interpretazione complessiva
- L'episodio si ricollega a quello del primo castello di Atlante ("il castel d'acciar" citato all'ott. 21, per cui cfr. IV.16 ss.) in cui il mago aveva già attirato con l'inganno Ruggiero, il figlio adottivo cui era affezionato e che voleva preservare dall'infausto destino di essere ucciso a tradimento dopo la conversione e le nozze con Bradamante, da cui doveva nascere la dinastia estense; nel primo caso l'incanto era stato vinto dalla stessa donna guerriera, ma Ruggiero era stato poi portato via dall'ippogrifo. Questo secondo castello attira invece anche altri paladini (Orlando, Ferraù, Sacripante...) facendo loro credere che al suo interno vi sia la cosa o la persona che inseguono, trattenendoli poi qui in una affannosa quanto vana ricerca che dura mesi, il cui fine è tenere Ruggiero lontano dalla guerra e dai pericoli. I guerrieri dentro il palazzo non possono riconoscersi per magia, quindi non c'è il rischio che possano battersi tra loro. All'inizio del passo è Orlando a cadere nel tranello, inseguendo un'immagine che ha le sembianze di Angelica rapita da un cavaliere, mentre in seguito tocca la stessa sorte a Ruggiero, convinto che Bradamante sia portata via da un gigante; il racconto si ricollega a quanto narrato in XI.13-20, anche se in quel caso la narrazione restava "sospesa" e riprende qui spiegandoci cosa è successo (è la consueta tecnica usata dall'autore). Il castello vuol essere una metafora della vita umana, in cui spesso cerchiamo affannosamente qualcosa che non riusciamo a trovare e perdiamo tempo e fatica inutilmente, tema già espresso dalla selva del canto iniziale (► TESTO: La fuga di Angelica/1) e, più avanti, dalle cose perdute sulla Terra che Astolfo ritrova sulla Luna, tra cui ovviamente anche il senno di Orlando (► TESTO: Astolfo sulla Luna).
- La vera Angelica compare inaspettatamente nel castello e ne vanifica l'incanto grazie al suo anello magico, di cui è rientrata in possesso quando Ruggiero l'ha salvata dall'orca, quindi libera dall'incantesimo Orlando, Sacripante e Ferraù che si lanciano ancora una volta al suo inseguimento e restano di sasso quando lei diventa invisibile per schernirli. Angelica si mostra nuovamente come donna astuta e calcolatrice, che vorrebbe la scorta di Orlando o del re di Circassia per raggiungere sana e salva il Catai, ma non pensa minimamente di concedersi a nessuno dei due; quando li ha trovati pondera a lungo quale sia la scelta migliore, risolvendosi infine a prendere Sacripante in quanto, benché meno valoroso di Orlando, sarà più facile da "liquidare" quando non le servirà più. Ciò non le impedisce, tuttavia, di cambiare ancora idea una volta fuori dal castello e di disprezzare entrambi, divertendosi anche a vederli girare a vuoto mentre lei si è resa invisibile (ritorna il tema della ricerca vana già espresso dalla metafora del castello). Lo stesso atteggiamento cinico e calcolatore da parte di Angelica si era visto nel canto I, quando aveva incontrato fortuitamente Sacripante e lo aveva blandito con false carezze al solo scopo di ottenere il suo aiuto per uscire dalla foresta (► TESTO: La fuga di Angelica/2).
- Ferraù è privo dell'elmo poiché il suo, o meglio quello di Argalìa, era finito nel fiume e lo spettro del guerriero da lui ucciso lo aveva rimproverato e invitato a procurarsene uno in battaglia, per cui lui aveva giurato di conquistare quello di Orlando già posseduto da Almonte, il fratello di Troiano ucciso in Aspromonte (► TESTI: La morte di Argalìa; La fuga di Angelica/1). Nel seguito dell'episodio tra Ferraù e Orlando nascerà un diverbio e i due inizieranno a duellare, con Orlando che si toglie l'elmo per non avere un vantaggio sull'avversario; Angelica per schernirli porta via l'elmo approfittando della sua invisibilità e Ferraù poco dopo riuscirà a prenderlo, tenendo fede al giuramento ma in modo truffaldino e poco cortese (XI.58-60). Orlando si riprenderà l'elmo quando ucciderà Ferraù nell'ultimo duello, episodio tuttavia estraneo al Furioso.