Ludovico Ariosto
Fazio, il vecchio avaro
(Lena, Atto II, scena I)
L'atto II della commedia si apre mostrando sulla scena Fazio, il padre della fanciulla Licinia amata da Flavio, alle prese con la prostituta e ruffiana Lena, che è sua amante e cui il vecchio consente di abitare in una sua casa senza farle pagare l'affitto. Fazio si presenta come il classico "vecchio avaro" della commedia plautina, continuamente punzecchiato dalla donna che vorrebbe fargli aprire i cordoni della borsa e che si dimostra a sua volta fin troppo attaccata al denaro e alle questioni di interesse. Alla fine Fazio finge di voler vendere la casa di Lena per darle una lezione e indurla ad "abbassare la cresta", senza sapere che lei vuole aiutare Flavio a sedurre sua figlia per fargli dispetto.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
ATTO I, SCENA I
FAZIO, poi LENA |
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FAZIO Chi non si leva per tempo e non opera la mattina le cose che gl’importano, perde il giorno, e i suoi fatti non succedono poi troppo ben. Menghin, vô ch’a Dugentola [1] tu vada, e che al gastaldo facci intendere che questa sera le carra si carchino [2], e che doman le legna si conduchino; e non sia fallo, ch’io non ho più ch’ardere. Né ti partir, che vi vegghi buon ordine; e dir mi sappi come stan le pecore, e quanti agnelli maschi e quante femmine son nate: e fa che li fasci [3] ti mostrino c’hanno cavati, e che conto ti rendano de’ legni verdi c’hanno messo in opera; e quel che sopravanza, fa che annoveri. [4] Or va; non perder tempo. Odi, se avessino [5] un agnel buono... Eh no, fia meglio venderlo. Va, va... Pur troppo... LENA Sì, era un miracolo che diventato voi foste sì prodigo! [6] FAZIO Buondì, Lena. LENA Buondì e buon anno, Fazio. FAZIO Ti levi sì per tempo? [7] che disordine è questo tuo? LENA Saría ben convenevole, che poi che voi mi vestite sì nobile- mente, e da voi le spese ho sì magnifiche, che fino a nona [8] io dormissi a mio comodo, e ’l dì senza far nulla io stessi in ozio. FAZIO Fo quel ch’io posso. Lena; maggior rendite delle mie a farti cotesto farebbono bisogno: pur, secondo che si stendono le mie forze, mi studio di farti utile. [9] LENA Che util mi fate voi? FAZIO Questo è il tuo solito, di sempremai scordarti i beneficii. Sol mentre ch’io ti do, me ne ringrazii; tosto c’ho dato, il contrario fai subito. LENA Che mi deste voi mai? Forse ripetere volete ch’io sto qui senza pagarvene pigione? [10] FAZIO Ti par poco? Son pur dodici lire ogni anno coteste; senza il comodo c’hai d’essermi vicina. Ma tacermelo voglio per non parer di rinfacciartelo. LENA Che rinfacciar? che se talor vi avanzano minestre o broda, solete mandarmene? FAZIO Anch’altro. Lena. LENA Forse una o due coppie di pane il mese, o un poco di vin putrido? Di lassarmi tôrre [11] un legno picciolo, quando costì le carra se ne scarcano? FAZIO Hai ben anch’altro. LENA Ch’altro ho io? deh, ditelo. Cotte [12] di raso o di velluto? FAZIO Lecito non saría a te portarle, nè possibile a me di darle. LENA Una saja [13] mostratemi, che voi mi deste mai. FAZIO Non vô [14] risponderti. LENA Qualche par di scarpacce o di pantoffole, poi che l’avete ben pelate e logre [15], mi donate alcuna volta per Pacifico. FAZIO E nuove ancor per te. LENA Non credo siano in quattro anni tre paja. Or nulla vagliono le virtuti [16] ch’io insegno e che continua- mente ho insegnato a vostra figlia? FAZIO Vagliono assai, nol voglio negar. LENA Che a principio ch’io venni abitar qui, non sapéa leggere nella tavola [17] il pater pure a compito, nè tener l’ago; FAZIO È vero. LENA Nè pur volgere un fuso: ora sì ben dice l’offizio, sì ben cuce e ricama, quanto giovane che sia in Ferrara: non è sì difficile punto, ch’ella nol tolga dall’esempio. [18] FAZIO Ti confesso ch’è il vero; non voglio essere simile a te, ch’io neghi d’averti obbligo dov’io l’ho: pur non starò di risponderti. Se tu insegnato non le avessi, avrebbele alcun’altra insegnato, contentandosi di dieci giuli [19] l’anno: differenzia mi par pur grande da tre lire a dodici! LENA Non ho mai fatto altro per voi, ch’io meriti nove lire di più? In nome del diavolo, che se dodici volte l’anno dodici voi me ne déssi [20], non sarebbe premio sufficïente a compensar la infamia che voi mi date; che i vicini dicono pubblicamente, ch’io son vostra femmina. Che venir possa il morbo a mastro Lazzaro, che mi arrecò alle man questa casipola! Ma non ci voglio più star dentro: datela ad altri. FAZIO Guarda quel che tu di’. LENA Datela; non vô che sempremai mi si rimproveri, ch’io non vi paghi la pigione ed abiti in casa vostra: s’io dovessi tôrmene di dietro al Paradiso una o nel Gambaro, [21] non vô star qui. FAZIO Pensaci bene, e parlami. LENA Io ci ho pensato quel ch’io voglio: datela a chi vi pare. FAZIO Io la truovo da vendere, e venderòlla. LENA Quel che vi par fatene; vendetela, donatela ed ardetela: anch’io procacciarò trovar ricapito. [22] FAZIO (Quanto più fo carezze, e più mi umilio a costei, tanto più superba e rigida mi si fa; e posso dir di tutto perdere ciò ch’io le dono: così poca grazia me n’ha! vorría potermi succhiar l’anima.) LENA Quasi che senza lui non potrò vivere! FAZIO (E veramente, oltreché non mi pagano la pigion della casa, più di dodici altre lire ella e ’l marito mi costano l’anno.) LENA Dio grazia, io son anco sì giovane, ch’io mi posso ajutar. FAZIO (Spero d’abbattere tanta superbia. Io non voglio già vendere la casa, ma sì ben farglielo credere.) LENA Non son né guercia né sciancata. FAZIO (Voglioci condurre o Biagïolo o quel dall’Abbaco a misurarla [23], e terrò in sua presenzia parlamento del prezzo, e saprò fingere un comprator. Non han danar né credito per trovarne alcun’altra: si morrebbono di fame altrove. Vô con tanti stimoli da tanti canti [24] punger questa bestia, che porle il freno e ’l basto mi delibero.) |
[1] Un paesino vicino a Ferrara. [2] Si carichino i carri. [3] Le fascine di legna. [4] Vedi di annotare. [5] Se avessero. [6] Così generoso (detto in senso ironico). [7] Ti alzi così presto? [8] Fino alle tre del pomeriggio. [9] Mi sforzo di darti denaro, di beneficarti. [10] Lena e il marito abitano nella casa di Fazio, senza pagare l'affitto. [11] Di lasciarmi prendere. [12] Sopravvesti. [13] Mantello di panno. [14] Non voglio. [15] Consumate. [16] Le qualità (Lena insegna a Licinia a leggere e a cucire). [17] L'abbecedario, per imparare a leggere. [18] Che lei non sappia riprodurlo da un esemplare. [19] Il giulio era una moneta d'argento. [20] Me ne deste. [21] Si tratta di quartieri malfamati di Ferrara, abitati da prostitute da strada. [22] Anch'io mi troverò un'altra abitazione. [23] A valutarla. [24] La voglio punzecchiare da tante parti. |
Interpretazione complessiva
- Metro: endecasillabi sdruccioli sciolti, alcuni dei quali divisi in più battute secondo l'uso poi consolidato nel teatro italiano in versi; la scelta del metro risponde al tentativo di riprodurre i versi del teatro latino di Plauto e Terenzio. Alcuni versi presentano tmesi (vv. 23-24, "nobile- / mente"; 57-58, "continua- / mente"), mentre parole finali come "Fazio" (v. 20) o "ozio" (v. 26) sono trisillabi sdruccioli, da leggersi alla latina (es. fà-zi-o).
- Fin dal breve monologo iniziale (vv. 1-18) Fazio si presenta come il classico "vecchio avaro" della commedia plautina, che bada ai propri interessi e alle sue proprietà, attento a non essere truffato da coloro con cui è in affari: intima al servo Menghino di stare attento e di prender nota di tutto ciò che è stato fatto alla sua fattoria, rinunciando alla fine anche a tenere per sé un agnello (v. 17, "fia meglio venderlo"); la cosa viene subito colta da Lena, che apostrofa l'uomo dicendosi stupita che fosse diventato così "prodigo", generoso (vv. 18-19). La donna, che è la sua amante e che vive in casa sua senza pagare affitto, gli rinfaccia più volte in modo ironico la sua spilorceria, affermando che non può dormire "fino a nona" e stare in ozio col poco denaro che lui le passa, accusandolo poi (vv. 41-45) di mandarle solo "minestre o broda" ogni tanto, poco pane e "vin putrido"; l'uomo non le regala mai una veste e al massimo dà al marito di lei, Pacifico, delle scarpe o pantofole consunte, mentre Lena si fa carico dell'educazione della figlia di Fazio, Licinia, alla quale insegna a leggere e cucire in cambio di pochi soldi. La caratterizzazione di Fazio ricorda molto quella di altri celebri personaggi di Plauto (ad es. Euclione, protagonista della Aulularia), ma anticipa in certo modo anche l'Arpagone dell'Avaro di Molière, che al modello latino almeno in parte si ispira.
- Se Fazio si mostra avido e attaccato al denaro, non meno ipocrita e attenta ai propri interessi è la prostituta Lena, che reclama dal suo amante un miglior trattamento ma si scorda che, in effetti, abita nella sua casa gratis (apprenderemo poi che si tratta comunque di un'abitazione assai modesta) ed è abile a minimizzare i favori ricevuti dall'uomo, mentre accampa i suoi meriti nel fornire un'educazione a Licinia, la figlia del vecchio, che però sta per gettare tra le braccia di Flavio in cambio di venticinque fiorini, al solo scopo di fare un dispetto a Fazio. Lena appare come un personaggio complesso, prostituta per necessità (il marito Pacifico è un fannullone incapace di mantenerla) e tuttavia abbastanza colta per fornire un'istruzione a Licinia, inoltre è orgogliosa al punto di tenere testa a Fazio e invitarlo persino a vendere la casa in cui vive, per non essere costretta ad accettare i suoi favori; alla fine il vecchio decide di fingere una compravendita, al solo scopo di umiliarla e indurla ad essere meno superba nei suoi confronti, anche se la cosa non andrà a buon fine. Particolarmente efficace e ben costruito lo scambio di battute finali (vv. 95 ss.), con una serie di a parte di Fazio che decide di dare una lezione alla donna, la quale dal canto suo continua ad affermare orgogliosamente di essere ancora giovane per mantenersi da sola senza bisogno dell'aiuto dell'uomo.