Letteratura italiana
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Luigi Pulci


Il proemio del Morgante
(Morgante, I, 1-8)

Il poema si apre con un'inconsueta invocazione a Dio e alla Vergine (che si ripete peraltro all'inizio di ogni successivo cantare), cui Pulci si rivolge chiedendo assistenza e ispirazione per la composizione dell'opera: il fine dell'autore è quello, piuttosto ironico, di restaurare la fama dell'imperatore Carlo Magno, a detta di Pulci trascurata a causa della mancanza di un grande scrittore che ne abbia narrate le gesta come ora, invece, lui si accinge a fare seguendo le orme di Turpino. La grandezza di Carlo e della Francia sono messe in relazione con la città di Firenze, nel che si può forse vedere un ulteriore intento beffardo.

► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Luigi Pulci


1
In principio era il Verbo appresso a Dio,
ed era Iddio il Verbo e ’l Verbo Lui:
questo era nel principio, al parer mio,
e nulla si può far sanza Costui.
Però, giusto Signor benigno e pio,
mandami solo un degli angel tui,
che m’accompagni e rechimi a memoria
una famosa, antica e degna storia.

2  
E tu, Vergine, figlia e madre e sposa
di quel Signor che ti dètte la chiave
del Cielo e dell’abisso e d’ogni cosa
quel dì che Gabriel tuo ti disse «Ave»,
perché tu se’ de’ tuoi servi pietosa,
con dolce rime e stil grato e soave
aiuta i versi miei benignamente
e ’nsino al fine allumina la mente.

3  
Era nel tempo quando Filomena
con la sorella si lamenta e plora,
ché si ricorda di sua antica pena,
e pe’ boschetti le ninfe innamora,
e Febo il carro temperato mena,
ché ’l suo Fetonte l’ammaestra ancora,
ed appariva appunto all’orizonte,
tal che Titon si graffiava la fronte,

4  
quand’io varai la mia barchetta prima
per obedir chi sempre obedir debbe
la mente, e faticarsi in prosa e in rima,
e del mio Carlo imperador m’increbbe;
ché so quanti la penna ha posti in cima,
che tutti la sua gloria prevarrebbe:
è stata questa istoria, a quel ch’io veggio,
di Carlo, male intesa e scritta peggio.

5  
Diceva Leonardo già Aretino
che s’egli avessi avuto scrittor degno,
com’egli ebbe un Ormanno e ’l suo Turpino,
ch’avessi diligenzia avuto e ingegno,
sarebbe Carlo Magno un uom divino,
però ch’egli ebbe gran vittorie e regno,
e fece per la Chiesa e per la Fede
certo assai più che non si dice o crede.

6  
Guardisi ancora a San Liberatore,
quella badia là presso a Menappello
giù nell’Abruzzi, fatta per suo onore,
dove fu la battaglia e ’l gran flagello
d’un re pagan, che Carlo imperadore
uccise, e tanto del suo popul fello,
e vedesi tante ossa, e tanti il sanno
che tante in Giusaffà non ne verranno.

7  
Ma il mondo cieco e ignorante non prezza
le sue virtù com’io vorrei vedere.
E tu, Fiorenzia, della sua grandezza
possiedi e sempre potrai possedere:
ogni costume ed ogni gentilezza
che si potessi acquistare o avere
col senno, col tesoro e colla lancia,
dal nobil sangue è venuto di Francia.

8  
Dodici paladini aveva in corte
Carlo, e ’l più savio e famoso era Orlando;
Gan traditor lo condusse alla morte
in Roncisvalle, un trattato ordinando,
là dove il corno e’ sonò tanto forte:
«dopo la dolorosa rotta quando...»,
nella sua Comedìa Dante qui dice,
e mettelo con Carlo in Ciel felice.

In principio era il Verbo presso Dio e Dio era il Verbo, e il Verbo era Dio: questo era al principio, secondo me, e non si può far nulla senza di Lui. Perciò, o Signore giusto, benigno e pio, mandami solo uno dei tuoi angeli, che mi accompagni e mi riporti alla memoria una storia famosa, degna e antica.




E tu, Vergine che sei figlia, madre e sposa di quel Signore che ti diede la chiave del Cielo, dell'abisso e d'ogni cosa, quel giorno in cui l'arcangelo Gabriele ti disse "Ave", dal momento che tu sei pietosa verso i tuoi servi, aiuta benevolmente i miei versi con rime dolci e uno stile soave e gradevole, e illumina la mia mente sino alla fine [dell'opera].




Era il tempo [la primavera] in cui Filomela [l'usignolo] si lamenta e piange con la sorella [Procne, la rondine], poiché si rammenta del suo antico dolore, e fa innamorare le ninfe nei boschetti; ed era il tempo in cui Febo [Apollo] conduce il suo carro [il sole] non troppo vicino alla Terra, poiché suo figlio Fetonte ancora lo ammonisce, e appariva appena all'orizzonte colei [l'aurora] per cui Titone ancora si graffiava la fronte [era l'alba],




quanto io misi in mare la mia barchetta [iniziai a comporre dei versi] anzitutto per obbedire coloro cui deve sempre obbedire la mia mente [la famiglia Medici], e comporre faticosamente opere in prosa e in rima, e mi dispiacque del mio imperatore Carlo Magno; infatti so quanti sono stati esaltati dalla penna dei poeti, mentre sarebbero vinti dalla sua gloria: questa storia di Carlo, a quel che vedo, è stata compresa male e scritta ancora peggio.



Già Leonardo Aretino [L. Bruni] diceva che se avesse avuto uno scrittore degno di lui, mentre ebbe al suo servizio Ormanno e Turpino, e questi avesse avuto diligenza e ingegno, Carlo Magno sarebbe un uomo divino, poiché ottenne grandi vittorie e un regno, e fece per la Chiesa e la fede cristiana molto più di quanto non si dica o non si creda.




Basti guardare quella badìa di S. Liberatore, là vicino a Manoppello in Abruzzo, costruita in suo onore, dove ci fu la battaglia e il grande flagello di un re pagano ucciso dall'imperatore Carlo insieme a tanti soldati del suo popolo feroce; e si vedono tante ossa, talmente tante che le persone sanno che non ne vedranno altrettante nella valle di Iosafat.





Ma il mondo cieco e ignorante non apprezza le sue virtù come io vorrei. E tu, Firenze, possiedi qualcosa della sua grandezza e sempre sarà così: ogni costume e ogni nobiltà che si possa acquistare o ottenere col senno, col denaro e con la lancia, è venuto dal nobile sangue di Francia.





Carlo aveva alla sua corte dodici paladini e il più saggio e famoso tra questi era Orlando; il traditore Gano [di Maganza] lo portò alla morte a Roncisvalle, dopo aver ordito una trama, in quel luogo dove lui suonò forte il corno: "dopo la dolorosa sconfitta, quando...", come dice Dante nella sua "Commedia", e poi lo colloca con Carlo tra i beati del Paradiso.





Interpretazione complessiva

  • L'esordio del poema si rifà alla tradizione dei cantari del Trecento e contiene quindi un'invocazione a Dio e alla Vergine, cui Pulci chiede ispirazione poetica, diversamente da quanto faranno Boiardo e Ariosto all'inizio dell'Innamorato e del Furioso: i vv. 1-4 della prima ottava sono l'esatta traduzione delle parole del Vangelo di Giovanni (1.1) e gli altri cantari del Morgante si apriranno in modo analogo, con una simile invocazione a Maria. Pulci rinuncia all'invocazione classicheggiante alla Musa come faranno invece gli autori epici del Cinquecento ed evita anche la consueta dedica agli illustri protettori Medici, limitandosi a ricordare il fatto che la sua "barchetta" poetica è stata varata per obbedienza alla loro famiglia ("per obedir chi sempre obedir debbe / la mente"), poiché il poema fu iniziato su richiesta di Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico. La metafora della nave della poesia che si mette in mare aperto all'inizio dell'opera è tratta da Dante (cfr. soprattutto Par., II), così come in 8.6 è citato Inf., XXXI, 16 in cui Dante paragona il corno suonato da Nembrod all'olifante di Orlando a Roncisvalle.
  • Le ragioni dell'opera sono ricondotte ironicamente non tanto alla volontà dei Medici quanto al desiderio di Pulci di magnificare la figura di Carlo Magno, a suo dire poco celebrato dagli scrittori (che invece hanno fin troppo esaltato sovrani meno potenti di lui) e meritevole di un autore degno di elogiarne le imprese in favore della fede, migliore di Ormanno e Turpino. Il primo era Urmano di Parigi, scrittore frutto dell'invenzione di A. da Barberino nei Reali di Francia, mentre il secondo era un vescovo-guerriero contemporaneo di Carlo Magno, cui veniva attribuita una cronaca delle imprese dei paladini del XII sec. Pulci cita anche Leonardo Bruni (chiamato "Aretino" perché originario di quella città) secondo il quale a Carlo mancava appunto uno scrittore degno di narrarne le gesta, riferimento in cui forse è contenuta una certa ironia; non va scordato inoltre che Carlo viene presentato nel poema come un vecchio rimbambito vittima dei raggiri di Gano, quindi in modo stridente rispetto all'esaltazione del proemio. La figura del re franco è accostata a Firenze poiché nel Quattrocento alcuni intellettuali sostenevano la leggenda in base alla quale la città sarebbe stata rifondata da Carlo Magno dopo la sua distruzione ad opera di Totila, opinione peraltro confutata da altri autori (tra cui lo stesso Bruni). Non è escluso che Pulci alluda ironicamente alla moda francese assai diffusa nella città toscana, specie quando afferma che "ogni costume ed ogni gentilezza" di Firenze sono state "acquistate" dalla Francia.
  • Fin dall'inizio Orlando è presentato come l'eroe centrale del poema e viene subito preannunciata la sua eroica morte a Roncisvalle, per le macchinazioni del malvagio Gano di Maganza: quest'ultimo era il traditore per antonomasia già nelle chansons de geste e proprio a causa delle sue calunnie Orlando decide di lasciare la corte di Parigi, dando inizio alle vicissitudini che costituiscono l'intreccio dell'opera. Il Morgante è del resto l'unico poema epico del XV-XVI sec. a narrare la morte di Orlando a Roncisvalle e il paladino è presentato da Pulci come eroe della fede, in maniera conforme alla tradizione francese e dei cantari trecenteschi (la sua trasformazione in eroe innamorato è invenzione del Boiardo, che introduce il personaggio di Angelica assente nel ciclo carolingio).


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