SCHEDA
Magia e astrologia nel Cinquecento
Le pratiche magiche e stregonesche ebbero un enorme sviluppo nella società europea del XVI sec., come forse mai era accaduto prima, e ciò anche in conseguenza del forte interesse che la cultura dell'Umanesimo aveva manifestato per l'esoterismo e tutti quegli studi volti a manipolare vari aspetti della natura, che ormai non veniva più considerata come il "libro di Dio" immutabile e inviolabile secondo gli insegnamenti medievali. Non parliamo ovviamente solo di credenze popolari e di superstizioni da sempre diffuse tra la popolazione contadina, ma di un'attenzione ai temi dell'occultismo anche da parte dei ceti più alti della società aristocratica, in cui specialmente l'astrologia e gli oroscopi avevano largo successo (così come la lettura dei "tarocchi"), mentre opere attinenti alla magia venivano scritte da intellettuali e filosofi di primissimo piano, tra cui merita citare soprattutto Giordano Bruno autore del Cantus Circaeus in cui la maga Circe usa la magia per rimettere ordine nel mondo, mentre pagine significative si trovano anche nello Spaccio della bestia trionfante (già Marsilio Ficino aveva tradotto testi "magici" dell'età classica, come il Corpus hermeticorum). Tra gli autori di trattati sulla magia ebbe una notevole importanza Girolamo Cardano (1501-1576), medico e taumaturgo che si occupò di varie cose e scrisse, tra le tante opere, il De subtilitate in cui trattava anche dell'influenza dei demoni, nonché il De Astrorum iudiciis, l'operetta contenente l'oroscopo di Cristo (Cardano ebbe grande notorietà tra XVI-XVII sec. e viene citato anche da A. Manzoni tra gli autori della biblioteca di Don Ferrante, nel cap. XXVII dei Promessi sposi). Quanto l'astrologia fosse poi diffusa negli ambienti aristocratici di tutta Europa è dimostrato dalla vicenda del medico francese Michel de Nostredame, meglio noto come Nostradamus (1503-1566) e diventato famoso per i suoi preparati medicamentosi e la capacità di predire eventi futuri, che lo portarono verso la fine della sua vita a Parigi chiamato da Caterina de' Medici che voleva l'oroscopo per i suoi tre figli; l'apparente verificarsi di alcune sue profezie accrebbe enormemente la sua fama, tanto che le Centurie astrologiche ebbero grande diffusione e da esse vennero tratti gli almanacchi, mentre ancora oggi esse sono oggetto di discussione e alcuni sostengono la veridicità delle profezie contenute in esse, senza tuttavia che vi siano elementi di scientificità. Nostradamus fu del resto solo uno dei moltissimi maghi e astrologi diffusi nelle corti di mezza Europa, che in modo più o meno improvvisato e talvolta con intenti truffaldini stilavano oroscopi e producevano filtri e farmaci per i loro clienti, spesso millantando delle capacità curative che non avevano nessun fondamento nella scienza medica.
Si ha del resto un riflesso della diffusione di questi personaggi e di tali pratiche anche nella letteratura del Rinascimento e un primo esempio è nella Mandragola di Niccolò Machiavelli, la commedia più famosa del XVI sec. in cui viene attuato un raggiro ai danni dell'ingenuo Nicia e gli viene fatto credere che la moglie resterà incinta se andrà a letto con un uomo dopo aver bevuto un infuso di mandragola, pianta medicinale e velenosa (ovviamente è un trucco per consentire a Callimaco di godere le grazie della donna, di cui è innamorato). La pianta al centro della commedia era oggetto di molte leggende e già nell'antichità veniva ritenuta in possesso di proprietà curative e miracolose, inoltre si pensava che estraendola dal terreno emettesse un lamento in grado di uccidere un uomo, per cui era necessario far compiere questa operazione a un animale (► AUTORE: Niccolò Machiavelli). Al tema della magia ha dedicato varie pagine anche Ludovico Ariosto, il cui atteggiamento nei confronti del tema è di forte scetticismo e che già nel Furioso ironizza contro coloro che perdono il senno dietro alle "magiche sciocchezze", nell'episodio di Astolfo sulla Luna; sulle pratiche stregonesche, o meglio sui ciarlatani che all'epoca sfruttavano la credulità delle persone per millantare poteri sovrannaturali e spillar loro quattrini, è incentrata anche la commedia Il negromante, il cui protagonista Lachelino è un sedicente astrologo assunto da vari personaggi per risolvere i loro problemi, ma che si rivela un volgare truffatore da due soldi le cui malefatte verranno svelate dal servo Temolo (► AUTORE: Ludovico Ariosto). Interessante nel testo è proprio l'atteggiamento del servo, che capisce subito che il negromante è una "volpaccia vecchia" che vuol prendersi gioco del suo padrone, mentre i personaggi altolocati della commedia cadono vittime dei suoi inganni senza sospettare di nulla (Ariosto punta il dito contro l'ingenuità degli uomini colti, che sono i primi a credere nel potere di questi individui senza scrupoli). Affine allo stesso tema è anche l'Erbolato, un monologo scritto dall'autore verso la fine della sua vita in cui un falso medico reclamizza un "elettuario" (sorta di intruglio curativo) miracoloso contro ogni tipo di malattia e in grado di far vivere sino a cent'anni, mentre dietro al personaggio cialtronesco si cela la figura del medico faentino Niccolò da Lunigo vissuto a lungo a Ferrara e produttore anch'egli di preparati medici contro ogni malanno.
Naturalmente la Chiesa condannava aspramente tutte le pratiche magiche che tentavano di piegare le forze della natura per scopi più o meno leciti, sia pure distinguendo tra la magia "naturale" e quella "demoniaca", mentre l'astrologia venne per lo più tollerata anche se l'Indice dei libri proibiti del 1564 vietava le pubblicazioni che annunciassero delle previsioni "certe": tra il XVI e il XVII sec. alcuni papi, come Sisto V e Urbano VIII, pubblicarono bolle che condannavano pubblicamente tale attività, che tuttavia rimase in auge e diede luogo ancora a moltissimi pronostici, che invano la censura ecclesiastica tentava di bloccare o quanto meno di "purgare". Il clima oscurantista della Controriforma non fu certo favorevole al proliferare di pratiche occultistiche e ne fecero le spese vari intellettuali sottoposti a processo da parte dell'Inquisizione, tra cui il già citato G. Cardano (che se la cavò con una ammenda e un'abiura in forma non infamante) e G. Bruno, che fu condannato come eretico e arso sul rogo nel 1600; fu in questa stessa temperie culturale che fu inquisito e costretto alla ritrattazione lo scienziato Galileo Galilei, anche se per motivi non direttamente connessi alla magia. Le vittime di tale repressione non furono ovviamente solo studiosi di alto livello ma anche molti innocenti appartenenti alle classi sociali inferiori, specie quelle donne che per i motivi più vari (perché guaritrici, levatrici, o solo perché alienate mentali e oggetto delle dicerie popolari) venivano accusate di essere streghe e sottoposte a torture e condanne: la cosiddetta "caccia alle streghe" fu particolarmente sanguinosa in Europa tra XVI e XVII sec. e moltissime sventurate vennero seviziate e costrette a confessare crimini mai commessi, per poi essere bruciate sul rogo, spesso solo perché erano considerate persone ai margini della società e il cui stile di vita non era "in linea" con la visione rigorosa della morale cristiana (la Controriforma fu particolarmente intollerante verso tutte le forme di "alienazione" e diversità rispetto ai canoni ufficiali; ► PERCORSO: La Controriforma). Ovviamente questa storia sinistra ha pochissimo a che fare con la magia in senso stretto e moltissimo con il pregiudizio e l'ignoranza (popolare e non), che agli inizi del Seicento causò anche altre tragedie fra cui quella particolarmente cruda degli "untori", processati a Milano durante l'epidemia di peste del 1630: alcuni sventurati vennero accusati di spargere il contagio servendosi di unguenti e intrugli vari preparati con pratiche alchemiche e, sottoposti a tortura, furono costretti a confessare e accusare altri, venendo poi giustiziati tra atroci tormenti per placare la popolazione inferocita per l'infuriare del morbo. Al fatto A. Manzoni dedicò pagine penetranti sia nei capp. XXXI-XXXII dei Promessi sposi in cui parla della peste, sia nella Storia della Colonna Infame che ricostruisce gli atti del processo, risultando evidente che quella follia fu il prodotto della superstizione popolare, dell'ignoranza dei giudici e del pregiudizio verso individui sospettati di pratiche poco lecite (uno dei condannati, G. G. Mora, era un barbiere e preparava intrugli curativi), anche se lo scrittore punta piuttosto il dito contro la malvagità dei magistrati che vollero trovare un "capro espiatorio" alla peste e condannarono degli innocenti in modo lucidamente consapevole. Da ricordare, infine, anche il romanzo moderno La chimera di Sebastiano Vassalli che è ambientato nello stesso periodo e racconta la vicenda di una giovane donna, Antonia, vittima anch'essa degli stessi pregiudizi che avevano causato la caccia agli untori, per cui viene accusata di essere una strega e arsa viva (Vassalli si è evidentemente ispirato al romanzo manzoniano, sia pure proponendo una lettura assai più desolata del Seicento come età dell'ignoranza e dell'ingiustizia).
Si ha del resto un riflesso della diffusione di questi personaggi e di tali pratiche anche nella letteratura del Rinascimento e un primo esempio è nella Mandragola di Niccolò Machiavelli, la commedia più famosa del XVI sec. in cui viene attuato un raggiro ai danni dell'ingenuo Nicia e gli viene fatto credere che la moglie resterà incinta se andrà a letto con un uomo dopo aver bevuto un infuso di mandragola, pianta medicinale e velenosa (ovviamente è un trucco per consentire a Callimaco di godere le grazie della donna, di cui è innamorato). La pianta al centro della commedia era oggetto di molte leggende e già nell'antichità veniva ritenuta in possesso di proprietà curative e miracolose, inoltre si pensava che estraendola dal terreno emettesse un lamento in grado di uccidere un uomo, per cui era necessario far compiere questa operazione a un animale (► AUTORE: Niccolò Machiavelli). Al tema della magia ha dedicato varie pagine anche Ludovico Ariosto, il cui atteggiamento nei confronti del tema è di forte scetticismo e che già nel Furioso ironizza contro coloro che perdono il senno dietro alle "magiche sciocchezze", nell'episodio di Astolfo sulla Luna; sulle pratiche stregonesche, o meglio sui ciarlatani che all'epoca sfruttavano la credulità delle persone per millantare poteri sovrannaturali e spillar loro quattrini, è incentrata anche la commedia Il negromante, il cui protagonista Lachelino è un sedicente astrologo assunto da vari personaggi per risolvere i loro problemi, ma che si rivela un volgare truffatore da due soldi le cui malefatte verranno svelate dal servo Temolo (► AUTORE: Ludovico Ariosto). Interessante nel testo è proprio l'atteggiamento del servo, che capisce subito che il negromante è una "volpaccia vecchia" che vuol prendersi gioco del suo padrone, mentre i personaggi altolocati della commedia cadono vittime dei suoi inganni senza sospettare di nulla (Ariosto punta il dito contro l'ingenuità degli uomini colti, che sono i primi a credere nel potere di questi individui senza scrupoli). Affine allo stesso tema è anche l'Erbolato, un monologo scritto dall'autore verso la fine della sua vita in cui un falso medico reclamizza un "elettuario" (sorta di intruglio curativo) miracoloso contro ogni tipo di malattia e in grado di far vivere sino a cent'anni, mentre dietro al personaggio cialtronesco si cela la figura del medico faentino Niccolò da Lunigo vissuto a lungo a Ferrara e produttore anch'egli di preparati medici contro ogni malanno.
Naturalmente la Chiesa condannava aspramente tutte le pratiche magiche che tentavano di piegare le forze della natura per scopi più o meno leciti, sia pure distinguendo tra la magia "naturale" e quella "demoniaca", mentre l'astrologia venne per lo più tollerata anche se l'Indice dei libri proibiti del 1564 vietava le pubblicazioni che annunciassero delle previsioni "certe": tra il XVI e il XVII sec. alcuni papi, come Sisto V e Urbano VIII, pubblicarono bolle che condannavano pubblicamente tale attività, che tuttavia rimase in auge e diede luogo ancora a moltissimi pronostici, che invano la censura ecclesiastica tentava di bloccare o quanto meno di "purgare". Il clima oscurantista della Controriforma non fu certo favorevole al proliferare di pratiche occultistiche e ne fecero le spese vari intellettuali sottoposti a processo da parte dell'Inquisizione, tra cui il già citato G. Cardano (che se la cavò con una ammenda e un'abiura in forma non infamante) e G. Bruno, che fu condannato come eretico e arso sul rogo nel 1600; fu in questa stessa temperie culturale che fu inquisito e costretto alla ritrattazione lo scienziato Galileo Galilei, anche se per motivi non direttamente connessi alla magia. Le vittime di tale repressione non furono ovviamente solo studiosi di alto livello ma anche molti innocenti appartenenti alle classi sociali inferiori, specie quelle donne che per i motivi più vari (perché guaritrici, levatrici, o solo perché alienate mentali e oggetto delle dicerie popolari) venivano accusate di essere streghe e sottoposte a torture e condanne: la cosiddetta "caccia alle streghe" fu particolarmente sanguinosa in Europa tra XVI e XVII sec. e moltissime sventurate vennero seviziate e costrette a confessare crimini mai commessi, per poi essere bruciate sul rogo, spesso solo perché erano considerate persone ai margini della società e il cui stile di vita non era "in linea" con la visione rigorosa della morale cristiana (la Controriforma fu particolarmente intollerante verso tutte le forme di "alienazione" e diversità rispetto ai canoni ufficiali; ► PERCORSO: La Controriforma). Ovviamente questa storia sinistra ha pochissimo a che fare con la magia in senso stretto e moltissimo con il pregiudizio e l'ignoranza (popolare e non), che agli inizi del Seicento causò anche altre tragedie fra cui quella particolarmente cruda degli "untori", processati a Milano durante l'epidemia di peste del 1630: alcuni sventurati vennero accusati di spargere il contagio servendosi di unguenti e intrugli vari preparati con pratiche alchemiche e, sottoposti a tortura, furono costretti a confessare e accusare altri, venendo poi giustiziati tra atroci tormenti per placare la popolazione inferocita per l'infuriare del morbo. Al fatto A. Manzoni dedicò pagine penetranti sia nei capp. XXXI-XXXII dei Promessi sposi in cui parla della peste, sia nella Storia della Colonna Infame che ricostruisce gli atti del processo, risultando evidente che quella follia fu il prodotto della superstizione popolare, dell'ignoranza dei giudici e del pregiudizio verso individui sospettati di pratiche poco lecite (uno dei condannati, G. G. Mora, era un barbiere e preparava intrugli curativi), anche se lo scrittore punta piuttosto il dito contro la malvagità dei magistrati che vollero trovare un "capro espiatorio" alla peste e condannarono degli innocenti in modo lucidamente consapevole. Da ricordare, infine, anche il romanzo moderno La chimera di Sebastiano Vassalli che è ambientato nello stesso periodo e racconta la vicenda di una giovane donna, Antonia, vittima anch'essa degli stessi pregiudizi che avevano causato la caccia agli untori, per cui viene accusata di essere una strega e arsa viva (Vassalli si è evidentemente ispirato al romanzo manzoniano, sia pure proponendo una lettura assai più desolata del Seicento come età dell'ignoranza e dell'ingiustizia).