Francesco Petrarca
«L'oro et le perle»
(Canzoniere, 46)
In questo sonetto composto prima del 1336 Petrarca descrive una Laura narcisistica, intenta ad ammirarsi e ad agghindarsi allo specchio ignorando a bella posta il poeta, al quale non rivolge mai lo sguardo: lui ne soffre e vorrebbe che i fiori con cui lei si adorna seccassero, mentre gli specchi vengono presentati quali strumenti diabolici di seduzione e accusati di dare la morte all'autore in quanto hanno zittito i richiami di Amore. Il ritratto di Laura è quindi quello di una donna molto terrena, preda della più classica vanità femminile e molto lontana dall'idealizzazione della "donna-angelo" dello Stilnovo. Il testo, che ha una sottile venatura misogina e riprende alla lontana lo stereotipo medievale della donna-seduttrice, presenta uno stile aspro e suoni duri che sembrano ispirarsi almeno in parte alle "Petrose" di Dante.
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere
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L’oro et le perle e i fior’ vermigli e i bianchi,
che ’l verno devria far languidi et secchi, son per me acerbi et velenosi stecchi, ch’io provo per lo petto et per li fianchi. Però i dì miei fien lagrimosi et manchi, ché gran duol rade volte aven che ’nvecchi: ma più ne colpo i micidiali specchi, che ’n vagheggiar voi stessa avete stanchi. Questi poser silentio al signor mio, che per me vi pregava, ond’ei si tacque, veggendo in voi finir vostro desio; questi fuor fabbricati sopra l’acque d’abisso, et tinti ne l’eterno oblio, onde ’l principio de mia morte nacque. |
L'oro, le perle, i fiori rossi e bianchi che l'inverno dovrebbe fare appassire e seccare, sono per me spine aspre e velenose, che io sento [pungermi] nel petto e nei fianchi.
Perciò i miei giorni saranno pieni di pena e scarsi, in quanto rare volte accade che il dolore consenta di invecchiare: ma incolpo di ciò soprattutto gli specchi assassini, che avete stancato nell'ammirare voi stessa. Essi hanno ridotto al silenzio il mio signore [Amore], che vi pregava a mio nome, per cui egli tacque vedendo che il vostro desiderio si concludeva in voi stessa; essi sono stati fabbricati sopra le acque dell'abisso [all'inferno] e intinti nell'oblio, per cui da essi ebbe inizio la mia morte. |
Interpretazione complessiva
- Metro: sonetto con schema della rima regolare (ABBA, ABBA, CDC, DCD). La lingua presenta i consueti latinismi, fra cui la congiunzione et (vv. 1, 2, 3 ecc.), silentio (v. 9); numerose le allitterazioni, come quella della "c" dura (vv. 1-8, in posizione di rima), della "t" (vv. 3-4, 8) e della "v" a inizio di parola (v. 8, "vagheggiar voi stessa avete"; v. 11, "veggendo in voi finir vostro"). L'anafora di "questi" (vv. 9, 12) sottolinea la condanna degli specchi, che occupa la seconda parte del sonetto.
- Il componimento descrive Laura come donna presa dalla sua bellezza, vanitosa, che passa buona parte del suo tempo a farsi bella e ad ammirarsi allo specchio: la sua figura in parte richiama la donna-seduttrice di certa poesia misogina del Due-Trecento, mentre lo specchio è condannato come strumento del demonio (ma, in realtà, molto più banalmente come ciò che distoglie l'attenzione della donna amata dal poeta e lo fa soffrire). Il tema è affrontato anche nel sonetto 45 che lo precede nella raccolta (Il mio adversario in cui veder solete), dove l'avversario di Petrarca è proprio uno specchio e Laura è esplicitamente paragonata a Narciso, essendo inoltre definita "aspra et superba" a causa della sua bellezza. Un implicito riferimento a questo testo è contenuto nel canto XVI della Gerusalemme liberata di T. Tasso, quando la maga Armida si guarda in uno specchio retto dal suo "schiavo d'amore" Rinaldo (► TESTO: L'amore di Rinaldo e Armida).
- Gli elementi elencati nel v. 1 possono essere gli strumenti con cui Laura si adorna e si abbellisce, ma anche metaforicamente gli elementi della sua bellezza (l'oro come i capelli biondi, le perle come gli occhi o i denti, i fiori bianchi e rossi come il colore della pelle e dell'incarnato). Il v. 2 può essere interpretato in due modi, ovvero Petrarca si augura che l'inverno faccia appassire i fiori e impedisca a Laura di agghindarsi e ammirarsi allo specchio, oppure si rammarica che ciò non sia avvenuto e che la donna riesca a procurarseli anche nei mesi freddi.