Giovanni Boccaccio
Federigo degli Alberighi
(Decameron, V, 9)
Protagonista di questa novella narrata da Fiammetta è Federigo degli Alberighi, membro della antica nobiltà fiorentina che per amore di una donna sperpera tutto il suo patrimonio e si riduce a vivere in un suo podere in campagna, dove campa grazie soprattutto al suo falcone da caccia che gli procaccia del cibo ed è l'ultimo simbolo della sua perduta condizione signorile. Quando la donna amata, rimasta vedova, glielo chiede in dono per far guarire il proprio figlio malato, l'uomo non può esaudire il suo desiderio per un bizzarro caso del destino.
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio
► OPERA: Decameron
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio
► OPERA: Decameron
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Federigo degli Alberighi ama e non è amato e in cortesia spendendo si consuma e rimangli un sol falcone, il quale, non avendo altro dà a mangiare alla sua donna venutagli a casa; la quale, ciò sappiendo, mutata d’animo, il prende per marito e fallo ricco.
Era già di parlar ristata Filomena, quando la reina [1], avendo veduto che più niuno a dover dire, se non Dioneo per lo suo privilegio, v’era rimaso, con lieto viso disse: A me omai appartiene di ragionare; e io, carissime donne, d’una novella simile in parte alla precedente il farò volentieri, non acciò solamente che conosciate quanto la vostra vaghezza [2] possa né cuor gentili, ma perché apprendiate d’esser voi medesime, dove si conviene, donatrici de’ vostri guiderdoni [3], senza lasciarne sempre esser la Fortuna guidatrice. La quale non discretamente, ma, come s’avviene, moderatamente il più delle volte dona. Dovete adunque sapere che Coppo di Borghese Domenichi [4], il quale fu nella nostra città, e forse ancora è, uomo di grande e di reverenda autorità ne' dì nostri, e per costumi e per vertù molto più che per nobiltà di sangue chiarissimo e degno d’eterna fama, essendo già d’anni pieno, spesse volte delle cose passate co’ suoi vicini e con altri si dilettava di ragionare: la qual cosa egli meglio e con più ordine e con maggior memoria e ornato parlare che altro uomo seppe fare. Era usato di dire, tra l’altre sue belle cose, che in Firenze fu già un giovane chiamato Federigo di messer Filippo Alberighi, in opera d’arme e in cortesia pregiato sopra ogni altro donzel di Toscana. Il quale, sì come il più de’ gentili uomini avviene, d’una gentil donna chiamata monna Giovanna s’innamorò, ne' suoi tempi tenuta delle più belle donne e delle più leggiadre che in Firenze fossero; e acciò che egli l’amor di lei acquistar potesse, giostrava, armeggiava, faceva feste e donava, e il suo senza alcun ritegno spendeva; ma ella, non meno onesta che bella, niente di queste cose per lei fatte né di colui si curava che le faceva. Spendendo adunque Federigo oltre a ogni suo potere molto e niente acquistando, sì come di leggiere adiviene [5], le ricchezze mancarono e esso rimase povero, senza altra cosa che un suo poderetto piccolo essergli rimasa, delle rendite del quale strettissimamente vivea, e oltre a questo un suo falcone de’ miglior del mondo. Per che, amando più che mai né parendogli più potere essere cittadino come disiderava [6], a Campi, là dove il suo poderetto era, se n’andò a stare. [7] Quivi, quando poteva uccellando [7] e senza alcuna persona richiedere, pazientemente la sua povertà comportava. Ora avvenne un dì che, essendo così Federigo divenuto allo stremo, che il marito di monna Giovanna infermò, e veggendosi alla morte venire fece testamento, e essendo ricchissimo, in quello lasciò suo erede un suo figliuolo già grandicello e appresso questo, avendo molto amata monna Giovanna, lei, se avvenisse che il figliuolo senza erede legittimo morisse, suo erede substituì, e morissi. Rimasa adunque vedova monna Giovanna, come usanza è delle nostre donne, l’anno di state [8] con questo suo figliuolo se n’andava in contado a una sua possessione assai vicina a quella di Federigo. Per che avvenne che questo garzoncello s’incominciò a dimesticare con Federigo [9] e a dilettarsi d’uccelli e di cani; e avendo veduto molte volte il falcon di Federigo volare e stranamente [10] piacendogli, forte disiderava d’averlo ma pure non s’attentava di domandarlo, veggendolo a lui esser cotanto caro. E così stando la cosa, avvenne che il garzoncello infermò [11]: di che la madre dolorosa molto, come colei che più non n’avea e lui amava quanto più si poteva, tutto il dì standogli dintorno non restava di confortarlo e spesse volte il domandava se alcuna cosa era la quale egli disiderasse, pregandolo gliele dicesse, che per certo, se possibile fosse a avere, procaccerebbe come l’avesse. Il giovanetto, udite molte volte queste proferte, disse: - Madre mia, se voi fate che io abbia il falcone di Federigo, io mi credo prestamente guerire. La donna, udendo questo, alquanto sopra sé stette [12] e cominciò a pensar quello che far dovesse. Ella sapeva che Federigo lungamente l’aveva amata, né mai da lei una sola guatatura aveva avuta [13], per che ella diceva: - Come manderò io o andrò a domandargli questo falcone che è, per quel che io oda, il migliore che mai volasse e oltre a ciò il mantien nel mondo? E come sarò io sì sconoscente, che a un gentile uomo al quale niuno altro diletto è più rimaso, io questo gli voglia torre? E in così fatto pensiero impacciata, come che ella fosse certissima d’averlo se ’l domandasse, senza sapere che dover dire, non rispondeva al figliuolo ma si stava. Ultimamente tanto la vinse l’amor del figliuolo, che ella seco dispose, per contentarlo che che esser ne dovesse, di non mandare ma d’andare ella medesima per esso e di recargliele [14] e risposegli: - Figliuol mio, confortati e pensa di guerire di forza, ché io ti prometto che la prima cosa che io farò domattina, io andrò per esso e sì il ti recherò. Di che il fanciullo lieto il dì medesimo mostrò alcun miglioramento. La donna la mattina seguente, presa un’altra donna in compagnia, per modo di diporto se n’andò alla piccola casetta di Federigo e fecelo adimandare. Egli, per ciò che non era tempo, né era stato a quei dì, d’uccellare, era in un suo orto e faceva certi suoi lavorietti acconciare; il quale, udendo che monna Giovanna il domandava alla porta, maravigliandosi forte, lieto là corse. La quale vedendol venire, con una donnesca piacevolezza levataglisi incontrò, avendola già Federigo reverentemente salutata, disse: - Bene stea Federigo! - e seguitò: - Io sono venuta a ristorarti de’ danni li quali tu hai già avuti per me amandomi più che stato non ti sarebbe bisogno: e il ristoro è cotale che io intendo con questa mia compagna insieme destinar teco dimesticamente [15] stamane. Alla qual Federigo umilmente rispose: - Madonna, niun danno mi ricorda mai avere ricevuto per voi ma tanto di bene che, se io mai alcuna cosa valsi, per lo vostro valore e per l’amore che portato v’ho adivenne. E per certo questa vostra liberale venuta m’è troppo più cara che non sarebbe se da capo mi fosse dato da spendere quanto per adietro ho già speso, come che a povero oste siate venuta. [16] E così detto, vergognosamente dentro alla sua casa la ricevette e di quella nel suo giardino la condusse, e quivi non avendo a cui farle tenere compagnia a altrui, disse: - Madonna, poi che altri non c’è, questa buona donna moglie di questo lavoratore vi terrà compagnia tanto che io vada a far metter la tavola. Egli, con tutto che la sua povertà fosse strema, non s’era ancor tanto avveduto quanto bisogno gli facea che egli avesse fuor d’ordine spese le sue ricchezze, ma questa mattina niuna cosa trovandosi di che potere onorar la donna, per amor della quale egli già infiniti uomini onorati avea, il fé ravedere. E oltre modo angoscioso, seco stesso maledicendo la sua fortuna, come uomo che fuor di sé fosse or qua e or là trascorrendo, né denari né pegno trovandosi, essendo l’ora tarda e il disiderio grande di pure onorar d’alcuna cosa la gentil donna e non volendo, non che altrui, ma il lavorator suo stesso richiedere gli corse agli occhi il suo buon falcone, il quale nella sua saletta vide sopra la stanga per che, non avendo a che altro ricorrere, presolo e trovatolo grasso, pensò lui esser degna vivanda di cotal donna. E però, senza più pensare, tiratogli il collo, a una sua fanticella il fé prestamente, pelato e acconcio, mettere in uno schedone [17] e arrostir diligentemente; e messa la tavola con tovaglie bianchissime, delle quali alcuna ancora avea, con lieto viso ritornò alla donna nel suo giardino e il desinare, che per lui far si potea, disse essere apparecchiato. Laonde la donna con la sua compagna levatasi andarono a tavola e, senza saper che si mangiassero, insieme con Federigo, il quale con somma fede [18] le serviva, mangiarono il buon falcone. E levate da tavola e alquanto con piacevoli ragionamenti con lui dimorate, parendo alla donna tempo di dire quello per che andata era, così benignamente verso Federigo cominciò a parlare: - Federigo, ricordandoti tu della tua preterita vita [19] e della mia onestà, la quale per avventura tu hai reputata durezza e crudeltà, io non dubito punto che tu non ti debbi maravigliare della mia presunzione sentendo quello per che principalmente qui venuta sono; ma se figliuoli avessi o avessi avuti, per li quali potessi conoscere di quanta forza sia l’amor che lor si porta, mi parrebbe esser certa che in parte m’avresti per iscusata. Ma come che tu non n’abbia, io che n’ho uno, non posso però le leggi comuni d’altre madri fuggire; le cui forze seguir convenendomi, mi conviene, oltre al piacer mio e oltre a ogni convenevolezza e dovere, chiederti un dono il quale io so che sommamente t’è caro: e è ragione, per ciò che niuno altro diletto, niuno altro diporto, niuna consolazione lasciata t’ha la sua strema fortuna, e questo dono è il falcon tuo, del quale il fanciul mio è sì forte invaghito, che, se io non gliene porto, io temo che egli non aggravi tanto nella infermità la quale ha, che poi ne segua cosa per la quale io il perda. E per ciò ti priego, non per l’amore che tu mi porti, al quale tu di niente sé tenuto, ma per la tua nobiltà, la quale in usar cortesia s’è maggiore che in alcuno altro mostrata, che ti debba piacere di donarlomi, acciò che io per questo dono possa dire d’avere ritenuto in vita il mio figliuolo e per quello averloti sempre obligato. Federigo, udendo ciò che la donna adomandava e sentendo che servir non ne la potea per ciò che mangiar gliele avea dato, cominciò in presenza di lei a piagnere anzi che alcuna parola risponder potesse. Il quale pianto la donna prima credette che da dolore di dover da sé di partire il buon falcone divenisse più che d’altro, e quasi fu per dire che nol volesse; ma pur sostenutasi, aspettò dopo il pianto la risposta di Federigo, il qual così disse: - Madonna poscia che a Dio piacque che io in voi ponessi il mio amore, in assai cose m’ho reputata la fortuna contraria e sonmi di lei doluto [20]; ma tutte sono state leggieri a rispetto di quello che ella mi fa al presente, di che io mai pace con lei aver non debbo, pensando che voi qui alla mia povera casa venuta siete, dove, mentre che ricca fu, venir non degnaste, e da me un picciol don vogliate, e ella abbia sì fatto, che io donar nol vi possa: e perché questo esser non possa vi dirò brievemente. Come io udii che voi, la vostra mercé, meco desinar volavate, avendo riguardo alla vostra eccellenzia e al vostro valore, reputai degna e convenevole cosa che con più cara vivanda secondo la mia possibilità io vi dovessi onorare, che con quelle che generalmente per l’altre persone s’usano: per che, ricordandomi del falcon che mi domandate e della sua bontà, degno cibo da voi il reputai, e questa mattina arrostito l’avete avuto in sul tagliere, il quale io per ottimamente allogato avea; ma vedendo ora che in altra maniera il disideravate, m’è sì gran duolo che servire non ve ne posso, che mai pace non me ne credo dare. E questo detto, le penne e i piedi e ’l becco le fe’ in testimonianza di ciò gittare davanti. La qual cosa la donna vedendo e udendo, prima il biasimò d’aver per dar mangiare a una femina ucciso un tal falcone, e poi la grandezza dell’animo suo, la quale la povertà non avea potuto né potea rintuzzare, molto seco medesima commendò. [21] Poi, rimasa fuori dalla speranza d’avere il falcone e per quello della salute del figliuolo entrata in forse, tutta malinconosa si dipartì e tornossi al figliuolo. Il quale, o per malinconia che il falcone aver non potea o per la ’nfermità che pure a ciò il dovesse aver condotto, non trapassar molti giorni che egli con grandissimo dolor della madre di questa vita passò. La quale, poi che piena di lagrime e d’amaritudine fu stata alquanto, essendo rimasa ricchissima e ancora giovane, più volte fu da' fratelli costretta a rimaritarsi. La quale, come che voluto non avesse, pur veggendosi infestare [22], ricordatasi del valore di Federigo e della sua magnificenzia ultima, cioè d’avere ucciso un così fatto falcone per onorarla, disse a’ fratelli: - Io volentieri, quando vi piacesse, mi starei [23]; ma se a voi pur piace che io marito prenda, per certo io non ne prenderò mai alcuno altro, se io non ho Federigo degli Alberighi. Alla quale i fratelli, faccendosi beffe di lei, dissero: - Sciocca, che è ciò che tu dì? come vuoi tu lui che non ha cosa al mondo? [24] A’ quali ella rispose: - Fratelli miei, io so bene che così è come voi dite, ma io voglio avanti uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno d’uomo. Li fratelli, udendo l’animo di lei e conoscendo Federigo da molto, quantunque povero fosse, sì come ella volle, lei con tutte le sue ricchezze gli donarono. Il quale così fatta donna e cui egli cotanto amata avea per moglie vedendosi, e oltre a ciò ricchissima, in letizia con lei, miglior massaio fatto [25], terminò gli anni suoi. |
[1] Fiammetta, regina della quinta Giornata. [2] Bellezza, leggiadria. [3] Ricompense. [4] Personaggio storico, che ricoprì vari incarichi al Comune di Firenze (tra cui quello di priore). [5] Come facilmente accade. [6] Non sembrandogli di poter più vivere in città in modo signorile, da uomo ricco. [7] Campi Bisenzio è un piccolo centro vicino Firenze. [8] Durante l'estate. [9] A entrare in confidenza con Federigo. [10] Moltissimo, più del normale. [11] Si ammalò. [12] Rifletté a lungo. [13] Lei non lo aveva mai neppure guardato. [14] Decise di non mandare qualcuno [a chiedere il falcone] ma di recarsi lei stessa e di portarlo al figlio. [15] Alla buona, da buoni amici. [16] Nonostante siate venuta da un ospite molto povero. [17] Su uno spiedo. [18] Con estrema devozione. [19] Della tua vita passata. [20] Mi sono rammaricato di essa. [21] Lodò. [22] Poiché i fratelli continuavano a insistere con lei. [23] Non prenderei marito. [24] Che è povero e non ha nulla? [25] Divenuto miglior amministratore dei suoi averi. |
Interpretazione complessiva
- La novella, tra le più famose del Decameron, ha per protagonista un aristocratico appartenente a una famiglia di antica nobiltà fiorentina, citata da Cacciaguida in Par., XVI come già in decadenza e ormai estinta a metà del XIV secolo: l'autore descrive Federigo come un magnifico signore dotato di cortesia e di tutte quelle virtù cavalleresche che ammirava, ma lo critica per aver dilapidato il suo patrimonio in spese folli che, alla fine, gli impediscono di ricevere e onorare Giovanna come meriterebbe. Boccaccio, figlio di un mercante e appartenente alla borghesia affaristica, auspicava un'integrazione tra il proprio ceto e quello signorile di Firenze, per cui in conclusione della novella elogia Federigo in quanto, dopo il matrimonio con la ricca nobildonna, diventa "miglior massaio" e impara ad amministrare i propri averi in modo più oculato.
- Tutta la vicenda si svolge in un ambiente signorile e raffinato, reso dall'autore anche attraverso l'uso di termini propri del linguaggio cortese: Federigo è un uomo "in opera d’arme e in cortesia pregiato" (abile nell'uso delle armi e dal comportamento nobile), per conquistare Giovanna "giostrava" e "armeggiava" (si esibiva in tornei e giostre mostrando la propria abilità militare), una volta rimasto senza soldi si ritira in campagna poiché non è più in grado di sostenere il tenore di vita cittadino confacente al suo lignaggio aristocratico; si mantiene grazie alla selvaggina procurata dal suo falcone, che rappresenta anche l'ultimo simbolo della sua nobiltà (la falconeria era praticata soprattutto dagli aristocratici e a Federico II di Svevia è attribuito un trattato De arte venandi cum avibus proprio su questa attività). La cortesia del protagonista si vede anche quando riceve l'inattesa visita di Giovanna, poiché la accoglie in modo benevolo senza mostrare rancore per le sue ripulse ("niun danno mi ricorda mai avere ricevuto per voi") e per onorarla come merita non esita a sacrificare il suo prezioso falcone, compiendo un gesto di magnificenza che viene elogiato dall'autore.
- La protagonista femminile Giovanna è una nobildonna che rifiuta la corte di Federigo e ne provoca indirettamente la rovina economica, non per crudeltà come la donna amata da Nastagio degli Onesti (V, 8) ma per la fedeltà dimostrata al marito; quando il figlio si ammala è molto incerta se chiedere o meno il falcone a Federigo, dato che sa di essere la causa dei suoi problemi, poi alla fine si decide a farlo spinta dall'amore materno. Il discorso che rivolge all'uomo dopo il pranzo a casa sua è un piccolo capolavoro di retorica, in quanto la donna inizia con una captatio benevolentiae con cui si scusa per le sue ripulse amorose, poi loda la nobiltà di Federigo e gli chiede il falcone facendo appello all'amore per il figlio ammalato, toccando quindi abilmente la corda del sentimento (anche attraverso la triplice anafora "niuno altro diletto, niuno altro diporto, niuna consolazione" riferita all'animale da caccia). Giovanna rappresenta una donna dal carattere forte e abile nell'uso della parola, inoltre si mostra abile nel rapporto con l'altro sesso e decide di sposare Federigo non tanto perché innamorata di lui, ma quasi per ricompensarlo dei danni subiti a causa sua e per il magnifico gesto di aver sacrificato per lei il falcone.