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Dante Alighieri


Dante e Guinizelli
(Purgatorio, XXVI, 88-135)

Tra le anime dei lussuriosi della settima cornice Dante incontra il poeta bolognese Guido Guinizelli, da lui e dagli altri Stilnovisti riconosciuto come loro "padre" poetico e iniziatore della nuova maniera di scrivere versi d'amore, nonostante i poeti fiorentini non avessero avuto con lui nessun contatto diretto: Dante e gli altri indicavano nella canzone "Al cor gentil" il manifesto della nuova scuola che nel canto XXIV è stata indicata come "Dolce Stil Novo" e qui è riservato a Guinizelli un affettuoso omaggio, anche se con tutta probabilità il poeta di Bologna era del tutto inconsapevole di essere stato preso a modello con i suoi testi. In questo episodio Dante attribuisce a Guinizelli un duro giudizio contro Guittone d'Arezzo, caposcuola riconosciuto dei "siculo-toscani", mentre Guido loda un suo compagno di pena (il trovatore provenzale A. Daniel) come miglior trovatore di altri suoi contemporanei. Lo stile, lessicalmente prezioso e sostenuto, è adeguato al contesto letterario del canto che segue idealmente gli episodi di Stazio (XXI-XXII), Forese Donati (XXIII-XXIV) e Bonagiunta da Lucca (XXXIV).

► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Divina Commedia



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«...Or sai nostri atti e di che fummo rei: 
se forse a nome vuo’ saper chi semo, 
tempo non è di dire, e non saprei.

Farotti ben di me volere scemo: 
son Guido Guinizzelli; e già mi purgo 
per ben dolermi prima ch’a lo stremo».

Quali ne la tristizia di Ligurgo 
si fer due figli a riveder la madre, 
tal mi fec’io, ma non a tanto insurgo,

quand’io odo nomar sé stesso il padre 
mio e de li altri miei miglior che mai 
rime d’amore usar dolci e leggiadre;

e sanza udire e dir pensoso andai 
lunga fiata rimirando lui, 
né, per lo foco, in là più m’appressai.

Poi che di riguardar pasciuto fui, 
tutto m’offersi pronto al suo servigio 
con l’affermar che fa credere altrui.

Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio, 
per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro, 
che Leté nol può tòrre né far bigio.

Ma se le tue parole or ver giuraro, 
dimmi che è cagion per che dimostri 
nel dire e nel guardar d’avermi caro».

E io a lui: «Li dolci detti vostri, 
che, quanto durerà l’uso moderno, 
faranno cari ancora i loro incostri».

«O frate», disse, «questi ch’io ti cerno 
col dito», e additò un spirto innanzi, 
«fu miglior fabbro del parlar materno.

Versi d’amore e prose di romanzi 
soverchiò tutti; e lascia dir li stolti 
che quel di Lemosì credon ch’avanzi.

A voce più ch’al ver drizzan li volti, 
e così ferman sua oppinione 
prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti.

Così fer molti antichi di Guittone, 
di grido in grido pur lui dando pregio, 
fin che l’ha vinto il ver con più persone.

Or se tu hai sì ampio privilegio, 
che licito ti sia l’andare al chiostro 
nel quale è Cristo abate del collegio,

falli per me un dir d’un paternostro, 
quanto bisogna a noi di questo mondo, 
dove poter peccar non è più nostro».

Poi, forse per dar luogo altrui secondo 
che presso avea, disparve per lo foco, 
come per l’acqua il pesce andando al fondo.

«...Ora conosci il nostro comportamento e di cosa fummo colpevoli: se forse vuoi conoscere i nomi di tutti noi, non c'è il tempo di dirteli e io non saprei farlo.

Esaudirò tale tuo desiderio solo riguardo me stesso: sono Guido Guinizelli, e sconto già qui la pena per essermi pentito prima della fine della mia vita».

Come i due figli [di Isifile], a causa della crudeltà del tiranno Licurgo, si avvicinarono per rivedere la madre, così mi trovai io, ma non osai tanto [non mi avvicinai alle fiamme], quando udii presentarsi il padre mio e degli altri poeti migliori di me che mai scrissero versi d'amore dolci e leggiadri;


e per un bel pezzo camminai osservandolo con ammirazione, senza dire e ascoltare nulla, né osai avvicinarmi di più per timore del fuoco.


Dopo che fui soddisfatto di averlo osservato, mi offrii tutto pronto al suo servizio, con un giuramento che spinge le persone a credere alle parole.

E lui a me: «Tu lasci in me un tale ricordo, per quello che sento, e così luminoso, che il Lete non potrà cancellarlo né sbiadirlo.


Ma se le tue parole poco fa giurarono il vero, dimmi per quale ragione mostri di avermi caro nel parlare e nel guardarmi».


E io a lui: «La ragione sono i vostri dolci versi, che, finché si userà il volgare, renderanno sempre preziosi i manoscritti che li conservano».


Disse: «O fratello, costui che ti indico col dito», e mostrò uno spirito davanti a lui [Arnaut Daniel], «fu un migliore artefice del suo volgare materno.

Superò tutti nel campo della poesia amorosa occitanica e nella letteratura narrativa francese; e lascia parlare gli stolti, che credono sia superato dal Limosino [Giraut de Bornelh].

Essi drizzano gli sguardi alle voci più che alla verità, e così formano la loro opinione prima di ascoltare l'arte o la ragionevolezza.

Così molti antichi fecero con Guittone d'Arezzo, apprezzandolo per dare ascolto alle voci, finché la verità lo ha superato grazie all'opera di molti scrittori.

Ora, se tu hai l'eccezionale privilegio di poter andare nel chiostro [Paradiso] dove Cristo è l'abate del collegio, recita davanti a lui per me un 'Pater noster', almeno per quanto è necessario a noi in Purgatorio, dove non abbiamo più il potere di peccare».




Poi, forse per lasciare spazio a chi gli stava accanto, sparì nel fuoco come un pesce nell'acqua, quando va al fondo.



Interpretazione complessiva

  • Nei versi precedenti le anime dei lussuriosi, che camminano all'interno del muro di fiamme della settima cornice, si sono stupite accorgendosi che Dante è vivo e una di loro (lo stesso Guinizelli) gli ha chiesto spiegazioni, apprendendo con grande sorpresa del privilegio accordato a Dante: il poeta bolognese quindi si presenta e suscita la profonda ammirazione di Dante, che vorrebbe addirittura abbracciarlo se non fosse per il fuoco che li divide. L'autore chiarisce in seguito il motivo della sua devozione, col definire Guinizelli "padre / mio e de li altri miei miglior che mai / rime d’amore usar dolci e leggiadre", quindi individuandolo come iniziatore ideale dello "stile" poetico in cui lui stesso si riconosceva; Dante dichiara anche che i versi di Guido sono "dolci detti" (con implicito riferimento al Dolce Stil Novo), la cui fama è destinata a durare quanto "l'uso moderno", cioè fino a quando sarà usato il volgare (Guinizelli è quindi considerato il maestro e modello insuperabile della poesia amorosa volgare). È discusso il motivo per cui egli sia incluso tra i lussuriosi, anche se probabilmente il suo peccato non è stato tanto l'abbandonarsi ai sensi, quanto l'aver prodotto versi che, in quanto di tema amoroso, potrebbero aver spinto i lettori a commettere lussuria (come nel caso di Francesca, la protagonista del canto V dell'Inferno; ► TESTO: Paolo e Francesca).
  • Lo stile è retoricamente elevato e non pochi sono i termini preziosi e ricercati che arricchiscono il lessico: al v. 100 è presente un'antitesi ("sanza udire e dir"), al v. 103 una metafora ("pasciuto", riferito al guardare Guinizelli), mentre al v. 135 il penitente è paragonato a un pesce che si tuffa nell'acqua, con antitesi rispetto al fuoco della cornice; termini rari sono "tristizia" (v. 94, latinismo), "incostri" per "inchiostri" (v. 114), "licito" (v. 128), mentre la similitudine fra Dante e i due figli di Isifile (Toante e Euneo, che avevano salvato la madre dal re Licurgo) è tratta dalla Tebaide (V, 720 ss.) , il poema di Stazio che accompagna Dante e Virgilio nell'ultimo tratto del Purgatorio.
  • Guinizelli indica il compagno di pena Arnaut Daniel come "miglior fabbro del parlar materno", dunque come modello superiore a lui nella poesia amorosa volgare, e afferma che gli "stolti" gli preferiscono Giraut de Bornelh proprio come in Italia alcuni avevano esaltato Guittone d'Arezzo, la cui inferiorità era stata dimostrata dalla realtà dei fatti. La lode nei confronti di Arnaut si spiega solo in parte alla luce delle "Rime petrose" in cui Dante aveva preso a modello lo stile oscuro (trobar clus) del trovatore provenzale, mentre la condanna di Guittone trova corrispondenza nelle parole di Bonagiunta del canto XXIV (► TESTO: Dante e Bonagiunta) e in alcuni passi del De vulgari eloquentia; va detto che in realtà Guinizelli aveva speso parole di elogio verso Guittone nel sonetto O caro padre meo, per cui è discusso se Dante conoscesse o meno quel testo. Alla fine del canto entrerà in scena lo stesso Arnaut, cui Dante attribuirà alcune parole in perfetto volgare occitanico (vv. 140-147) che, tuttavia, sembrano un esempio di trobar leu di cui era stato in realtà maestro Giraut e che aveva ispirato maggiormente lo Stilnovo, molto lontano dalle rimas caras e dalla asprezza del volgare di Arnaut Daniel (la contraddizione ha lasciato perplesso più di un commentatore e non è pienamente spiegata).


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