Letteratura italiana
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Niccolò Machiavelli


La lettera dedicatoria a Lorenzo de' Medici
(Il principe)

Scritta probabilmente nel 1516, dopo la morte di Giuliano de' Medici cui l'autore progettava inizialmente di dedicare il "Principe", la lettera vuole essere un omaggio encomiastico al principale esponente della casata fiorentina nel XVI sec. e un'orgogliosa affermazione della propria abilità di politico più che di scrittore, poiché Machiavelli presenta il trattato non tanto come elaborata opera letteraria ma piuttosto come il "distillato" di tutta la sua esperienza di uomo di Stato accumulata negli anni precedenti, nel tentativo di accreditarsi nuovamente presso i Medici e di ottenere un nuovo incarico politico.

► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli

► OPERA: Il principe









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NICOLAUS MACLAVELLUS AD MAGNIFICUM LAURENTIUM MEDICEM [1]

Sogliono, el più delle volte, coloro che desiderano acquistare grazia appresso uno Principe, farsegli incontro con quelle cose che infra le loro abbino più care [2], o delle quali vegghino lui più delettarsi; donde si vede molte volte essere loro presentati cavalli, arme, drappi d’oro, pietre preziose e simili ornamenti degni della grandezza di quelli. Desiderando io, adunque, offerirmi alla Vostra Magnificenzia con qualche testimone [3] della servitù mia verso di quella, non ho trovato, intra la mia suppellettile [4], cosa quale io abbi più cara o tanto esistimi quanto la cognizione delle azioni degli uomini grandi [5], imparata da me con una lunga esperienzia delle cose moderne e una continua lezione delle antique; le quali avendo io con gran diligenzia lungamente escogitate ed esaminate, è ora in uno piccolo volume ridotte, mando alla Magnificenzia Vostra.
E benché io giudichi questa opera indegna della presenzia di quella [6], tamen confido assai che per sua umanità li debba essere accetta, considerato come da me non gli possa essere fatto maggiore dono che darle facultà a potere in brevissimo tempo intendere tutto quello che io, in tanti anni e con tanti mia disagi e periculi, ho conosciuto e inteso. La quale opera io non ho ornata né ripiena di clausule ample [7], o di parole ampullose e magnifiche, o di qualunque altro lenocinio o ornamento estrinseco [8] con li quali molti sogliono le loro cose descrivere e ornare; perché io ho voluto, o che veruna [9] cosa la onori, o che solamente la varietà della materia e la gravità del subietto la facci grata. Né voglio sia reputata presunzione se uno uomo di basso ed infimo stato ardisce discorrere e regolare e’ governi de’ principi [10]; perché, così come coloro che disegnano e’ paesi si pongono bassi nel piano a considerare la natura de’ monti e de’ luoghi alti, e per considerare quella de’ bassi si pongono alti sopra e’ monti, similmente, a conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe, e a conoscere bene quella de’ principi, bisogna essere populare.
Pigli, adunque, Vostra Magnificenzia, questo piccolo dono con quello animo che io lo mando; il quale se da quella fia [11] diligentemente considerato e letto, vi conoscerà dentro uno estremo mio desiderio, che Lei pervenga a quella grandezza che la fortuna e le altre sue qualità gli promettano. E se Vostra Magnificenzia dallo apice della sua altezza qualche volta volgerà gli occhi in questi luoghi bassi, conoscerà quanto io indegnamente sopporti una grande e continua malignità di fortuna. [12]

[1] Niccolò Machiavelli al magnifico Lorenzo de' Medici.

[2] Presentarsi a lui con quelle cose che abbiano di più preziose
.
[3] Qualche prova, dimostrazione.
[4] Tra le cose che possiedo.
[5] La conoscenza delle azioni dei grandi personaggi (l'arte politica).

[6] Indegna di presentarsi alla vostra magnificenza.

[7] Di ornamenti retorici
.
[8] Di qualunque altro abbellimento esterno.
[9] Nessuna. [10] E non voglio che si pensi che sia presuntuoso se un uomo non nobile osa parlare e dare consigli sul governo dei principi.


[11] Sarà.

[12] L'autore allude all'esclusione dagli incarichi politici subìta dopo il 1513.


Interpretazione complessiva

  • La lettera fu scritta con ogni probabilità nel 1516, dopo la morte di Giuliano de' Medici (cui Machiavelli pensava inizialmente di dedicare il Principe, secondo quanto dichiarato nella lettera al Vettori) ed è indirizzata all'esponente più autorevole della Signoria di Firenze, dal quale lo scrittore si attendeva un riconoscimento politico: il testo risponde anzitutto a un intento encomiastico, proprio come la composizione del trattato col quale l'autore sperava di accreditarsi presso i Medici e ottenere un nuovo incarico pubblico, dopo il bando cui era stato costretto nel 1513 in seguito al suo presunto coinvolgimento nella congiura di P. P. Boscoli. Machiavelli presenta il Principe come un dono al signore di Firenze e si scusa dell'apparente modestia della sua offerta, giustificandosi col dire che la sua esperienza delle cose politiche, accumulata sia con la lettura di libri antichi sia con il servizio alla Repubblica, ha per lui un valore inestimabile e rappresenta quanto di più prezioso possa donare a Lorenzo, frutto anche di "disagi e periculi" (l'autore sottolinea i grandi sacrifici compiuti negli anni precedenti, sia pure lavorando per un altro regime politico). La lettera rappresenta una continuazione ideale di quella a F. Vettori del 10 dic. 1513 (► VAI AL TESTO), in cui Machiavelli diceva di avere composto il Principe proprio per dimostrare ai Medici la sua abilità nell'arte politica e rivendicava con un certo orgoglio che i quindici anni al servizio dello Stato non li aveva "né dormiti né giuocati", lamentando inoltre le difficili condizioni economiche in cui versava come qui, nella dedicatoria, dichiara di sopportare "una grande e continua malignità di fortuna".
  • L'autore dichiara in modo quasi programmatico di non aver badato molto alla forma nello scrivere il trattato e di non aver ornato l'opera con "clausule ample" (l'allusione è al cursus della prosa latina più colta, in cui i periodi dovevano terminare con "clausole" retoricamente elaborate), né di averla abbellita con orpelli retorici, essendo il contenuto di gran lunga più importante della sua veste letteraria; il Principe viene concepito da Machiavelli come il sunto di tutta la sua esperienza politica e dovrà essere una sorta di "manuale" in cui egli fornisce al sovrano regole e consigli sul modo di mantenere il proprio Stato, per cui la scelta linguistica ricade sul volgare fiorentino del Cinquecento e lo stile è chiaro e immediato, lontano dalla "canonizzazione" che Bembo e altri letterati del secolo stavano imponendo alle opere letterarie più colte. Machiavelli giustifica l'apparente immodestia di rivolgersi, lui borghese e non nobile, a signori come i Medici di Firenze e idealmente a tutti i sovrani d'Italia per dare precetti sull'arte di governo, dal momento che è necessario essere "populare" per conoscere la natura dei principi e, viceversa, occorre essere al potere per conoscere la natura dei popoli, proprio come i geometri si pongono in basso per descrivere le montagne e sulle vette per delineare i territori pianeggianti. Quella dell'autore è una excusatio propter infirmitatem, dal momento che egli riteneva di essere perfettamente in grado di fornire precetti politici e si accredita qui, come in tutto il trattato, quale consigliere del principe e maestro nell'arte di governo.



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