Luigi Pulci (Firenze, 1432 - Padova, 1484) è stato uno dei più originali e importanti poeti volgari del Quattrocento, nonché uomo di corte nella Firenze di Lorenzo de' Medici da cui fu poi allontanato per contrasti sul piano religioso (erano note le sue idee anticonformiste su molti aspetti della dottrina, sfioranti in alcuni casi l'eresia). In una prima fase amico e mentore poetico di Lorenzo, Pulci si cimentò in vari generi letterari, passando dalla poesia comica e parodica a quella epica, benché il suo nome resti legato al poema Morgante che, oltre ad essere il primo esempio di poema epico-cavalleresco nella letteratura del Quattrocento, è anche opera originalissima dotata di una verve comica e linguistica con pochi altri esempi. Come esponente di una letteratura sperimentale e volta alla ricerca dell'abnorme e del paradosso, Pulci ha influenzato non poco altri scrittori dell'età successiva, tra cui soprattutto Teofilo Folengo e (fuori d'Italia) Rabelais.
Biografia
La giovinezza e l'amicizia con Lorenzo de' Medici
Luigi Pulci nacque il 15 agosto 1432 a Firenze, da una famiglia nobile impoverita a causa di debiti e dissesti economici (il fratello Luca sarà coinvolto in un fallimento in seguito a speculazioni bancarie); Luigi dovette impiegarsi come contabile e scrivano, finché nel 1461 fu introdotto nella cerchia dei Medici e iniziò la sua formazione umanistica, godendo del favore prima di Cosimo il Vecchio e poi di Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo. Divenne grande amico di quest'ultimo, benché avesse diversi anni più di lui, e nel 1461 iniziò la composizione del Morgante su richiesta dei Medici, dedicandosi al contempo anche alla composizione di versi giocosi e parodici (replicò alla Nencia di Lorenzo il Magnifico con la Beca da Dicomano, anch'esso un poemetto satirico di argomento rusticano). Nel 1466 fu esiliato per debiti e poté rientrare a Firenze grazie all'interessamento di Lorenzo, mentre nel 1469 celebrò la vittoria del suo protettore in un torneo con un poemetto, la Giostra di Lorenzo de' Medici, che tuttavia è un'opera arida e ben più modesta delle Stanze composte da Poliziano anni dopo in onore di una analoga vittoria di Giuliano, fratello minore del signore di Firenze. In seguito Lorenzo gli affidò alcune missioni diplomatiche e nel 1473 Pulci sposò Lucrezia degli Albizzi, col favore della famiglia Medici. Entrò anche in rapporti col capitano di ventura Roberto Sanseverino, legame che avrebbe mantenuto sino agli ultimi anni.
La rottura con Lorenzo e gli ultimi anni
Agli inizi degli anni Settanta Pulci giunse a una rottura con la famiglia Medici e con Lorenzo il Magnifico, per motivi tuttora non ben precisati: fattore determinante sembrò essere comunque il mutato clima culturale alla corte medicea, con l'avvicinarsi di Lorenzo all'accademia platonica di Marsilio Ficino e alla letteratura impegnata di Poliziano, un nuovo contesto in cui Pulci non era più gradito (anche a causa delle sue posizioni religiose alquanto dissacranti e sfioranti in qualche caso l'eresia, per cui si veda oltre). Pulci passò stabilmente al servizio di Roberto Sanseverino e lo seguì durante numerosi viaggi nella penisola, spostandosi fra Milano, Bologna, Venezia e tornando di quando in quando a Firenze. Nel 1476 fu autore di una polemica a distanza col Ficino (che rispose con quattro epistole in latino), pochi anni dopo il sonetto Costor, che fan sì gran disputazione con cui aveva irriso in modo beffardo le dottrine neoplatoniche sull'immortalità dell'anima e di cui fece in seguito ammenda con la Confessione a Maria Vergine, senza fugare tuttavia i dubbi di intenti parodici. Nel frattempo proseguì la composizione del poema Morgante, aggiungendo ai primi 23 cantari editi nel 1478 altri 5 di tono più serio ed epico, per pubblicare infine l'opera nel 1483 facendola stampare a Firenze. L'anno seguente (tra ottobre e novembre) Pulci morì a Padova dove aveva seguito il Sanseverino che era al soldo dei Veneziani e pare fosse sepolto in terra sconsacrata per la sua fama di empio ed eretico, certamente esagerata a causa del contenuto dissacrante di molte sue opere.
Le poesie giocose e burlesche
La prima produzione poetica di Pulci fu di carattere giocoso e in questa fase influenzò molto le opere dello stesso Lorenzo de' Medici, di cui era amico e del quale godeva il favore: rientra in questo filone poetico la Beca da Dicomano, un poemetto in ottave di argomento rusticano che Pulci scrisse per rispondere in modo satirico alla Nencia di Lorenzo e rispetto alla quale presenta numerose analogie (il contadino Nuto fa l'elogio della pastorella Beca, con toni grotteschi e un esito alquanto più rozzo dell'opera di Lorenzo; ► TESTO: Beca da Dicomano). Il poemetto testimonia il rapporto di amicizia e complicità con il signore di Firenze, in onore del quale nel 1469 aveva composto la Giostra di Lorenzo de' Medici per celebrare la vittoria di Lorenzo in un torneo, testo povero di stile e ben lontano dalle Stanze di Poliziano. Pulci compose anche delle frottole e diversi sonetti in "tenzone" con il cortigiano Matteo Franco, nei quali i due si scambiano accuse e ingiurie velenose: è probabile che la contesa non fosse solo di maniera e rivelasse la feroce rivalità tra Pulci e il nuovo arrivato nella cerchia medicea, ansioso di conquistare il favore del signore (la tenzone è databile ai primi anni Settanta). Più o meno nello stesso periodo Pulci compose anche un sonetto in cui irrideva in modo blasfemo la Theologia platonica sull'immortalità dell'anima di Marsilio Ficino, testo che gli attirò molte critiche e contribuì non poco ad alimentare la sua fama di eretico, corroborata anche da posizioni analoghe contenute in altri testi e specialmente nel Morgante (► TESTO: Costor, che fan sì gran disputazione). Non è improbabile che tali polemiche incrinassero il suo rapporto con Lorenzo e la famiglia Medici, maturando quella rottura che lo spinse a lasciare Firenze e a seguire il Sanseverino nelle sue peregrinazioni per l'Italia, anche se i rapporti con Lorenzo non furono mai del tutto interrotti.
Le Epistole e la Confessione
Pulci ci ha lasciato un ricco epistolario, contenente lettere indirizzate a vari interlocutori (molte hanno per destinatario l'amico Lorenzo, prima e dopo la rottura con l'ambiente mediceo) che rivelano molto del suo carattere ironico e pungente, nonché della sua amicizia e fedeltà nei confronti del signore di Firenze. Nel 1476 fu a sua volta destinatario di quattro epistole in latino di Marsilio Ficino, con le quali l'umanista rispondeva alle polemiche a distanza sulle sue dottrine teologiche (Ficino era già stato bersaglio del sonetto irriverente Costor, che fan sì gran disputazione; ► VAI AL TESTO). Anche per scrollarsi di dosso la fama di eretico che ormai lo perseguitava, complice l'ostilità del Ficino, e al fine di preparare un ritorno a Firenze, Pulci compose nel 1484 una Confessione a Maria Vergine in terza rima (► VAI AL TESTO) con la quale faceva ammenda dei passati errori e chiedeva perdono per i suoi peccati, non dissipando tuttavia i dubbi di chi vi volle vedere un intento dissacrante (in analogia con tanti passi simili del Morgante, per cui si veda oltre). Sembra che l'opera sia stata composta da Pulci dietro consiglio del predicatore agostiniano Mariano da Genazzano, vicino alla cerchia dei Medici, nonché per rispondere alle critiche religiose ricevute da Girolamo Savonarola che bruciò pubblicamente il Morgante nei suoi "falò della vanità". Un accenno a tali polemiche è forse contenuto negli ultimi versi del poema (XXVIII, ott. 136 ss.), quando Pulci allude alle critiche di "alcun malivolo" e parla di "certi uccellacci" che dovrebbero portare un sasso in bocca, parole che potrebbero riferirsi proprio al Savonarola.
Il Morgante
Titolo, struttura, composizione
Il capolavoro di Pulci fu senza dubbio il Morgante, poema epico-cavalleresco legato alla tradizione delle chansons de geste in lingua d'oïl che l'autore compose a partire dal 1461, su sollecitazione della madre di Lorenzo de' Medici, Lucrezia Tornabuoni. L'opera, che rappresenta il primo esempio di poema epico della letteratura volgare del Quattrocento, è diviso in "cantari" a loro volta suddivisi in ottave di endecasillabi, con schema della rima ABABABCC (il metro dei cantari del Trecento e dei poemi cavallereschi di Boccaccio, alla cui tradizione Pulci si ispira). Il tema è quello della cosiddetta "materia di Francia" o ciclo carolingio, ovvero le guerre dei paladini di Carlo Magno contro i mori di Spagna già oggetto dei poemetti in antico francese, aventi come protagonisti i personaggi di Orlando (il conte Roland della tradizione in lingua d'oïl), Rinaldo, Astolfo, impegnati in varie vicissitudini sullo sfondo della guerra agli infedeli. L'opera, dotata di una debole trama complessiva, vede il susseguirsi di vari episodi e ogni cantare si presenta come un'unità narrativa quasi indipendente, con all'inizio l'invocazione religiosa alla Vergine (► TESTO: Il proemio). Il titolo è dovuto al personaggio di Morgante, un gigante che si converte al Cristianesimo e diventa lo scudiero di Orlando compiendo varie imprese eroicomiche: la sua figura non è quella centrale del poema e infatti la sua morte si colloca al cantare XX, ben prima della conclusione degli eventi, tuttavia il personaggio piacque a tal punto che indusse l'autore a intitolargli l'opera al di là delle sue intenzioni (non sappiamo quale dovesse essere il titolo originale). Una prima edizione del Morgante, comprendente 23 cantari, è del 1478, mentre una seconda edizione accresciuta (28 cantari) fu stampata a Firenze nel 1483, con l'aggiunta degli ultimi 5 cantari di tono più serio ed epico, al fine di mitigare la fama di eretico che perseguitava Pulci. Il tema di questa aggiunta è guerresco e infatti il poema si conclude con la eroica morte di Orlando a Roncisvalle, benché la descrizione della battaglia contenga molti elementi beffardi. Il Morgante è tra l'altro l'unico poema epico della letteratura del XV-XVI sec. a narrare la morte di Orlando, a differenza di quanto avviene nell'Innamorato e nel Furioso.
La trama
Sdegnato per le calunnie di Gano di Maganza, Orlando lascia la corte di Carlo Magno a Parigi e va alla ventura nelle terre di Paganìa, giungendo presso una badia i cui monaci sono assediati da tre giganti: ne uccide due e risparmia il terzo (Morgante), che si converte al Cristianesimo e diventa il suo bizzarro scudiero, usando come arma il batacchio di una campana. Intanto altri tre paladini franchi (Rinaldo, Ulivieri e Dodone) hanno lasciato Parigi per cercare Orlando e da questo momento la narrazione procede lungo due filoni paralleli, raccontando i viaggi e le imprese di Orlando e quelle degli altri guerrieri. Morgante incontra per strada il "mezzogigante" Margutte, di cui diventa amico e insieme al quale compie una serie di imprese eroicomiche (inclusa una gara di beffe ai danni di un povero oste; ► TESTO: Morgante e Margutte all'osteria). I due si improvvisano cavalieri di ventura e salvano la giovane Florinetta prigioniera di due giganti, per riconsegnarla al padre. Margutte muore per un attacco di risa provocato da una scimmia che indossa i suoi calzari, beffa ordita dal compagno Morgante (► TESTO: Morte di Margutte), che muore a sua volta per la puntura di un granchio mentre porta in salvo una nave con i paladini di Francia.
Negli ultimi cinque cantari la Francia è invasa dai mori di Spagna guidati da re Marsilio, d'accordo con il traditore Gano: quest'ultimo attira Orlando e la retroguardia cristiana in un agguato a Roncisvalle, sui Pirenei, dove il paladino si batte strenuamente rifiutando di suonare il corno (olifante) per chiamare rinforzi. Invano il mago cristiano Malagigi fa entrare due diavoli, Astarotte e Farfarello, nei cavalli di Rinaldo e Ricciardetto per far sì che i paladini giungano in tempo dall'Egitto per dare manforte a Orlando, che muore eroicamente dopo aver finalmente suonato il corno. L'esercito franco giunge tardi per salvare il campione cristiano, ma in tempo per annientare le armate di re Marsilio. Carlo Magno ordina il supplizio di Gano, che viene squartato da cavalli spinti in direzioni opposte. Morgante attende in cielo l'arrivo di Orlando, mentre Margutte è diventato l'araldo dei diavoli di Belzebù, all'inferno.
Negli ultimi cinque cantari la Francia è invasa dai mori di Spagna guidati da re Marsilio, d'accordo con il traditore Gano: quest'ultimo attira Orlando e la retroguardia cristiana in un agguato a Roncisvalle, sui Pirenei, dove il paladino si batte strenuamente rifiutando di suonare il corno (olifante) per chiamare rinforzi. Invano il mago cristiano Malagigi fa entrare due diavoli, Astarotte e Farfarello, nei cavalli di Rinaldo e Ricciardetto per far sì che i paladini giungano in tempo dall'Egitto per dare manforte a Orlando, che muore eroicamente dopo aver finalmente suonato il corno. L'esercito franco giunge tardi per salvare il campione cristiano, ma in tempo per annientare le armate di re Marsilio. Carlo Magno ordina il supplizio di Gano, che viene squartato da cavalli spinti in direzioni opposte. Morgante attende in cielo l'arrivo di Orlando, mentre Margutte è diventato l'araldo dei diavoli di Belzebù, all'inferno.
I personaggi
Pulci attinge alla tradizione dei cantari trecenteschi e delle chansons de geste francesi, quindi inserisce nel poema i personaggi appartenenti al ciclo carolingio, tuttavia i paladini franchi vengono profondamente trasformati e si comportano spesso da bricconi e furfanti, non di rado preda delle loro passioni corporee. Ciò vale anzitutto per il re Carlo Magno, descritto come una sorta di vecchio rimbambito vittima dei raggiri di Gano di Maganza (il traditore per eccellenza) e incapace di capirne la natura fraudolenta, salvo alla fine quando ormai si è consumata la tragedia di Roncisvalle. Più serie ed epiche le figure degli altri paladini, tra i quali spiccano Orlando, il campione dei cristiani, suo cugino Rinaldo e il figlio del re d'Inghilterra Astolfo, tutti impegnati in varie imprese militari e occasionalmente in vere e proprie furfanterie (tratto questo che perderanno totalmente nell'Innamorato e nel Furioso).
Interessante la figura di Morgante, una sorta di "gigante buono" invenzione di Pulci che diventa lo scudiero di Orlando e viene presentato come un bizzarro Ercole dalla forza smisurata, che usa il batacchio di una campana come clava. Il suo personaggio piacque talmente al pubblico da spingere Pulci a intitolargli l'intero poema, benché Morgante non sia il protagonista centrale e muoia già nel cantare XX, molto prima della fine dell'opera. Morgante ha il suo complemento nel "mezzogigante" Margutte, una figura paradossale che si presenta come peccatore incallito e che dichiara un bizzarro "credo" culinario, in cui sono presenti vari elementi blasfemi (► TESTO: Incontro con Margutte); affine al suo personaggio è anche Astarotte, un diavolo dotto e teologo che aiuta i paladini cristiani (anche lui dunque in contrasto con l'immagine letteraria del demonio) e a cui Pulci affida alcune considerazioni religiose decisamente inconsuete, sfioranti in qualche caso l'eresia (► TESTO: Le colonne d'Ercole). Completano il quadro alcuni personaggi minori, fra cui il mago cristiano Malagigi, che aiuta (non sempre con successo) i paladini franchi contro i mori e che ritornerà nei poemi del XV-XVI sec.; altri guerrieri cristiani tra cui Ulivieri, Dodone, Ricciardetto, autori di varie imprese nel tentativo di ritrovare Orlando; il re dei mori di Spagna Marsilio, presentato come figura astuta e malvagia e nel quale alcuni vollero vedere un'allusione a Marsilio Ficino, l'umanista con cui Pulci fu spesso in aspra polemica.
Interessante la figura di Morgante, una sorta di "gigante buono" invenzione di Pulci che diventa lo scudiero di Orlando e viene presentato come un bizzarro Ercole dalla forza smisurata, che usa il batacchio di una campana come clava. Il suo personaggio piacque talmente al pubblico da spingere Pulci a intitolargli l'intero poema, benché Morgante non sia il protagonista centrale e muoia già nel cantare XX, molto prima della fine dell'opera. Morgante ha il suo complemento nel "mezzogigante" Margutte, una figura paradossale che si presenta come peccatore incallito e che dichiara un bizzarro "credo" culinario, in cui sono presenti vari elementi blasfemi (► TESTO: Incontro con Margutte); affine al suo personaggio è anche Astarotte, un diavolo dotto e teologo che aiuta i paladini cristiani (anche lui dunque in contrasto con l'immagine letteraria del demonio) e a cui Pulci affida alcune considerazioni religiose decisamente inconsuete, sfioranti in qualche caso l'eresia (► TESTO: Le colonne d'Ercole). Completano il quadro alcuni personaggi minori, fra cui il mago cristiano Malagigi, che aiuta (non sempre con successo) i paladini franchi contro i mori e che ritornerà nei poemi del XV-XVI sec.; altri guerrieri cristiani tra cui Ulivieri, Dodone, Ricciardetto, autori di varie imprese nel tentativo di ritrovare Orlando; il re dei mori di Spagna Marsilio, presentato come figura astuta e malvagia e nel quale alcuni vollero vedere un'allusione a Marsilio Ficino, l'umanista con cui Pulci fu spesso in aspra polemica.
Elementi parodici e dissacranti
Sebbene il poema non sia concepito come una parodia del genere cavalleresco, è tuttavia innegabile che nel Morgante vi siano molti elementi ironici e beffardi, sia nel risvolto paradossale di molte situazioni narrate sia nella descrizione inconsueta dei vari personaggi, a cominciare da quello di Morgante presentato come "gigante buono" in contrasto con l'immagine tradizionale dei giganti quali figure malvagie e identificate col demonio, mentre qui lo scudiero di Orlando si converte addirittura al Cristianesimo. Morgante rappresenta l'eccesso e la dismisura presenti come cifra stilistica del poema, infatti il gigante è quasi il rovesciamento dello stereotipo del cavaliere errante (va in giro usando un batacchio a mo' di clava, si accompagna al "mezzogigante" Margutte...), anche se compie alcune nobili imprese come quando riesce a liberare la giovane Florinetta. Ad aiutarlo c'è Margutte, un uomo nato da un islamico e da una monaca greca che ha deciso di crescere e di diventare un gigante, arrestando poi a metà la trasformazione; si presenta come peccatore irriducibile, dichiarando inoltre di non credere in nulla al di fuori del cibo e dell'alcool, per cui l'autore attraverso di lui compie una sorta di parodia sacrilega della religione (probabilmente solo a scopo giocoso; ► TESTO: Incontro con Margutte). Altrettanto paradossale ma più complessa la figura di Astarotte, diavolo teologo che non solo aiuta i cristiani contro i mori, ma pronuncia alcune parole di sapore blasfemo che, tuttavia, chiariscono le posizioni anticonformiste in campo religioso di Pulci (giunto alle colonne d'Ercole, ad es., il diavolo spiega a Rinaldo che nell'emisfero australe vivono popoli che non hanno conosciuto il Cristianesimo e che possono comunque salvarsi; ► TESTO: Le colonne d'Ercole).
Negli ultimi cinque cantari del poema aggiunti nell'edizione del 1483 il tono diventa più serio e "guerresco", tuttavia non mancano anche qui elementi dissacranti, specialmente nella descrizione della battaglia di Roncisvalle che doveva essere il momento clou della narrazione epica finale: il luogo dello scontro è paragonato a un immenso tegame in cui ribolle il sangue e dove i corpi dei mori uccisi sono cucinati in una orribile mistura, mentre le loro anime vengono ingoiate all'inferno dalle bocche spalancate di Lucifero (► TESTO: Il tegame di Roncisvalle). Pulci era consapevole delle critiche che da più parti erano piovute sul poema a causa di questi eccessi e ciò spiega perché, nelle ottave finali del cantare conclusivo, se ne sia difeso attaccando a sua volta i detrattori, con un accenno che a molti è parso rivolto soprattutto al predicatore Savonarola.
Negli ultimi cinque cantari del poema aggiunti nell'edizione del 1483 il tono diventa più serio e "guerresco", tuttavia non mancano anche qui elementi dissacranti, specialmente nella descrizione della battaglia di Roncisvalle che doveva essere il momento clou della narrazione epica finale: il luogo dello scontro è paragonato a un immenso tegame in cui ribolle il sangue e dove i corpi dei mori uccisi sono cucinati in una orribile mistura, mentre le loro anime vengono ingoiate all'inferno dalle bocche spalancate di Lucifero (► TESTO: Il tegame di Roncisvalle). Pulci era consapevole delle critiche che da più parti erano piovute sul poema a causa di questi eccessi e ciò spiega perché, nelle ottave finali del cantare conclusivo, se ne sia difeso attaccando a sua volta i detrattori, con un accenno che a molti è parso rivolto soprattutto al predicatore Savonarola.
Lingua e stile
Lo stesso gusto per l'eccesso e la dismisura si riflette nella lingua utilizzata nel Morgante, poiché Pulci utilizza il volgare fiorentino con un interessante sperimentalismo e innestando su di esso termini popolari, gergali, meridionalismi e persino neologismi inventati di sana pianta, dunque realizzando un linguaggio composito che gli serve soprattutto per caratterizzare in senso ironico alcuni personaggi e situazioni paradossali del poema, a cominciare dalla ironica presentazione di Margutte nel cantare XVIII. Il "mezzogigante" utilizza vari termini gergali relativi sia alle ricette culinarie che elenca nel suo bizzarro "credo" gastronomico ("io pillotto", ungo l'arrosto; "verdemezzo", cotto al sangue; "sonar le nacchere", riferito al gesto con cui le dita spargono il sale), sia vocaboli tecnici riguardanti il gioco dei dadi ("o fiamma o traversin, testa o gattuccia"; "o in furba o in calca o in bestrica mi lodo"), alcuni dei quali sono addirittura di significato oscuro per noi moderni (► VAI AL TESTO). Altrettanto gergale e bizzarra la scelta lessicale di un altro celebre episodio, ovvero la descrizione del "tegame" di Roncisvalle in cui Pulci ricorre a termini quali i meridionalismi "mademane" (domattina) e "poscrigno", i latinismi "crai" e "poscrai" (domani e dopodomani), il neologismo "posquacchera" (in rima ricercata con "zacchera"); ► VAI AL TESTO.
Se in vari episodi lo stile è burlesco e attinge come fonte soprattutto alla poesia comica del Due-Trecento, in modo conforme alla prima produzione letteraria dell'autore (cfr. soprattutto l'episodio di Morgante e Margutte all'osteria, ► VAI AL TESTO), in altri passi il tono è più serio e giunge a una certa raffinatezza, come nel discorso di Astarotte alle colonne d'Ercole in cui il diavolo teologo si produce in un bizzarro ma stringente ragionamento dottrinale (► VAI AL TESTO), oppure nell'episodio del cantare XXVII in cui Orlando, ferito a morte a Roncisvalle, muore tra apparizioni celesti e numerose citazioni classiche e bibliche, ricordando almeno in parte la conclusione della chanson de Roland della lett. francese. In generale si può dire che il poema presenti una certa commistione di elementi stilistici e linguistici di segno molto diverso, il tutto nell'ambito di una forte sperimentazione, il che spiega perché da un lato Pulci abbia avuto scarso successo tra gli scrittori del Rinascimento colto, dall'altro perché sia stato preso a modello soprattutto dai fautori di una poesia bizzarra e anticonformista, anche fuori d'Italia (sul punto si veda oltre).
Se in vari episodi lo stile è burlesco e attinge come fonte soprattutto alla poesia comica del Due-Trecento, in modo conforme alla prima produzione letteraria dell'autore (cfr. soprattutto l'episodio di Morgante e Margutte all'osteria, ► VAI AL TESTO), in altri passi il tono è più serio e giunge a una certa raffinatezza, come nel discorso di Astarotte alle colonne d'Ercole in cui il diavolo teologo si produce in un bizzarro ma stringente ragionamento dottrinale (► VAI AL TESTO), oppure nell'episodio del cantare XXVII in cui Orlando, ferito a morte a Roncisvalle, muore tra apparizioni celesti e numerose citazioni classiche e bibliche, ricordando almeno in parte la conclusione della chanson de Roland della lett. francese. In generale si può dire che il poema presenti una certa commistione di elementi stilistici e linguistici di segno molto diverso, il tutto nell'ambito di una forte sperimentazione, il che spiega perché da un lato Pulci abbia avuto scarso successo tra gli scrittori del Rinascimento colto, dall'altro perché sia stato preso a modello soprattutto dai fautori di una poesia bizzarra e anticonformista, anche fuori d'Italia (sul punto si veda oltre).
Fama e fortuna critica
Pulci ebbe una certa notorietà quando era in vita, soprattutto grazie alla diffusione del Morgante che gli assicurò un notevole successo e anche a causa delle polemiche letterarie (con Ficino, con Franco...) che crearono attorno a lui l'alone di "poeta maledetto" e di "eretico", fama questa che fu molto esagerata e forse alimentata ad arte dallo stesso autore che abbracciava posizioni volutamente provocatorie. Indubbio è stato il suo merito nel gettare le basi del genere epico in Italia, aprendo una strada che sarebbe poi stata seguita con maggior successo da Boiardo e da Ariosto nel Cinquecento i quali ripresero la materia del ciclo carolingio, arricchendola però con gli elementi fiabeschi e amorosi propri del ciclo bretone che invece erano assenti nel Morgante. Anche per questo Pulci venne presto dimenticato e nel Rinascimento il modello del poema cavalleresco divenne l'Innamorato di Boiardo, mentre la lingua composita e gergale del Morgante non poteva piacere agli intellettuali del Cinquecento alla ricerca di una soluzione "normativa" all'annosa questione linguistica, motivo per cui essi trascurarono anche un poeta ben diverso da Pulci quale il Poliziano. Pulci diventò tuttavia un modello per gli scrittori del cosiddetto "Antirinascimento" che non si riconoscevano nella letteratura alta e di corte, primo fra tutti Teofilo Folengo (► PERCORSO: Il Rinascimento) che nel Baldus (poema in latino maccheronico del 1552) compie la parodia del genere epico e traccia un personaggio eroicomico che ha molte analogie con Morgante, proprio come la figura di Cingar ricorda quella di Margutte (la lingua è altrettanto composita, con prestiti dal mantovano innestati sul "maccheronico" che scimmiotta il latino ma ha la struttura del volgare; ► TESTO: Il ritratto di Cingar). Lo stesso Folengo e Luigi Pulci furono il modello cui si ispirò lo scrittore francese François Rabelais nel romanzo satirico Gargantua et Pantagruel, in realtà una serie di libri pubblicati in successione tra il 1532 e il 1564 aventi come protagonisti il gigante Gargantua e il figlio Pantagruel, con molti riferimenti sia al Morgante sia al Baldus per ammissione stessa dell'autore. In ambito moderno l'opera di Pulci è stata oggetto di vari studi ed è tuttora sottoposta a un intenso lavorio critico, mentre agli inizi del Novecento il Morgante è stato citato nel saggio L'umorismo di L. Pirandello, che vide nel poema di Pulci un intento parodico e beffardo nel voler ridere di tutto e tutti, salvo dare all'opera una "mascheratura religiosa" per soddisfare gli scrupoli della corte medicea e farsene beffe al tempo stesso (una posizione, come si è detto, condivisa anche da molti intellettuali contemporanei a Pulci).