Teofilo Folengo
Il proemio del Baldus
(Baldus, I, 1-63)
L'esordio del poema in "maccheronico" rifà il verso ai proemi dei più seri poemi epico-cavallereschi del XV-XVI sec., con il poeta che grottescamente invoca l'ispirazione delle "pancificae... Musae" che dovranno imboccarlo di prelibatezze e che vivono in un luogo descritto come il paese di Cuccagna, dove il brodo scorre a fiumi e le montagne sono fatte di formaggio (evidente il richiamo alla letteratura comico-realista del passato, da Boccaccio al Pulci del "Morgante"). Il protagonista Baldo è presentato come un eroe dalla fama smisurata, al sentire il cui nome persino l'inferno trema di paura, sia pure detto in modo più colorito.
► PERCORSO: Il Rinascimento
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Phantasia mihi plus quam phantastica venit
historiam Baldi grassis cantare Camoenis. Altisonam cuius phamam, nomenque gaiardum terra tremat, baratrumque metu sibi cagat adossum. Sed prius altorium vestrum chiamare bisognat, o macaroneam Musae quae funditis artem. An poterit passare maris mea gundola scoios, quam recomandatam non vester aiuttus habebit? Non mihi Melpomene, mihi non menchiona Thalia, non Phoebus grattans chitarrinum carmina dictent; panzae namque meae quando ventralia penso, non facit ad nostram Parnassi chiacchiara pivam. Pancificae tantum Musae, doctaeque sorellae, Gosa, Comina, Striax, Mafelinaque, Togna, Pedrala, imboccare suum veniant macarone poëtam, dentque polentarum vel quinque vel octo cadinos. Hae sunt divae illae grassae, nymphaeque colantes, albergum quarum, regio, propiusque terenus clauditur in quodam mundi cantone remosso, quem spagnolorum nondum garavella catavit. Grandis ibi ad scarpas lunae montagna levatur, quam smisurato si quis paragonat Olympo collinam potius quam montem dicat Olympum. Non ibi caucaseae cornae, non schena Marocchi, non solpharinos spudans mons Aetna brusores, Bergama non petras cavat hinc montagna rodondas, quas pirlare vides blavam masinante molino: at nos de tenero, de duro, deque mezano formaio factas illinc passavimus Alpes. Credite, quod giuro, neque solam dire bosiam possem, per quantos abscondit terra tesoros: illic ad bassum currunt cava flumina brodae, quae lagum suppae generant, pelagumque guacetti. Hic de materia tortarum mille videntur ire redire rates, barchae, grippique ladini, in quibus exercent lazzos et retia Musae, retia salsizzis, vitulique cusita busecchis, piscantes gnoccos, fritolas, gialdasque tomaclas. Res tamen obscura est, quando lagus ille travaiat, turbatisque undis coeli solaria bagnat. Non tantum menas, lacus o de Garda, bagordum, quando cridant venti circum casamenta Catulli. Sunt ibi costerae freschi, tenerique botiri in quibus ad nubes fumant caldaria centum, plena casoncellis, macaronibus atque foiadis. Ipsae habitant Nymphae super alti montis aguzzum, formaiumque tridant gratarolibus usque foratis. Sollicitant altrae teneros componere gnoccos, qui per formaium rigolant infrotta tridatum, seque revoltantes de zuffo montis abassum deventant veluti grosso ventramine buttae. O quantum largas opus est slargare ganassas, quando velis tanto ventronem pascere gnocco! Squarzantes aliae pastam, cinquanta lavezzos pampardis videas, grassisque implere lasagnis. Atque altrae, nimio dum brontolat igne padella, stizzones dabanda tirant, sofiantque dedentrum, namque fogo multo saltat brodus extra pignattam. Tandem quaeque suam tendunt compire menestram, unde videre datur fumantes mille caminos, milleque barbottant caldaria picca cadenis. Hic macaronescam pescavi primior artem, hic me pancificum fecit Mafelina poëtam. |
Mi è venuta l'ispirazione più che bizzarra di cantare la storia di Baldo, con l'aiuto delle grasse Camene. La sua fama e il suo nome gagliardo fan tremare la terra, e al sentirlo l'inferno se la fa addosso dalla paura. Ma prima mi occorre invocare il vostro aiuto, o Muse che effondete l'arte maccheronica. Potrebbe forse la mia barchetta superare gli scogli del mare, se non sarà raccomandata dal vostro aiuto?
Mi dettino i versi non Melpomene, non quella minchiona di Talia, non Febo che strimpella la chitarrina; infatti, quando penso alle budella della mia pancia, le chiacchiere del Parnaso non sono adatte alla nostra zampogna. Solo le Muse pancifiche, le dotte sorelle (Gosa, Comina, Striace, Mafelina, Togna, Pedrala) vengano ad imboccare di maccheroni il poeta, e gli diano cinque o otto catini di polenta. Queste sono quelle dee grasse, quelle ninfe sgocciolanti, la cui dimora, la cui regione e territorio son racchiusi in un angolo remoto del mondo, che le caravelle spagnole non hanno ancora scoperto. Qui si leva una alta montagna sino alle scarpe della Luna, e se qualcuno la paragonasse allo smisurato Olimpo potrebbe definire quest'ultimo una collinetta piuttosto che un monte. Qui non ci sono le cime del Caucaso, non c'è la schiena del Marocco, l'Etna non erutta bruciori di zolfo; le montagne bergamasche non ricavano da qui le pietre rotonde [le macine] che si vedono ruotare nel mulino a macinare la biada: ma per di là abbiamo varcato Alpi fatte di formaggio tenero, duro, mezzo stagionato. Credete, ve lo giuro, non potrei dire una sola bugia per quanti tesori nasconda la terra: laggiù scorrono a valle profondi fiumi di brodo, che formano un lago di zuppa, un oceano di guazzetto. Qui si vedono andare e tornare mille zattere fatte di torta, barche e brigantini leggeri, sui quali le Muse usano lacci e reti, reti fatte di salsicce e cucite con le busecche dei vitelli, con cui pescano gnocchi, frittelle e tome gialle. Tuttavia il tempo è oscuro quando quel lago è in tempesta e con le sue onde sollevate bagna i soffitti del cielo. Non scateni certo simili bufere, o lago di Garda, quando i venti soffiano intorno alle rovine di Catullo [a Sirmione]. Qui ci sono coste fatte di fresco e tenero burro, in cui cento caldaie fumano sino alle nuvole, piene di tortelli, di maccheroni e di tagliatelle. Le stesse Ninfe abitano sulla cime dell'alto monte, e grattano il formaggio con le grattugie forate. Altre sollecitano a produrre i teneri gnocchi, che rotolano giù a frotte tra il formaggio grattugiato, e si rivoltano dalla vetta del monte diventando grossi come botti panciute. Oh, come devi allargare le già larghe ganasce, quando vuoi riempirti la pancia con tanti gnocchi! Altre Ninfe tagliano a strisce la pasta, e le vedresti riempire cinquanta tegami di tagliatelle e di grosse lasagne. E altre, mentre la padella borbotta sul fuoco alto, tirano da una parte i tizzoni e soffiano dentro, infatti per la fiamma eccessiva il brodo salta fuori dalla pentola. Insomma ognuna cerca di cuocere la propria minestra, per cui si possono vedere mille camini fumanti, e mille pentole borbottano appese alle catene. Qui io per primo pescai l'arte maccheronica, qui Mafelina mi fece diventare un poeta pancifico. |
Interpretazione complessiva
- Il passo è il bizzarro proemio del Baldus, un poema in latino maccheronico scritto in perfetti (o quasi) esametri latini, ma in una lingua che di quella antica ha solo la struttura sintattica e usa un lessico italiano e dialettale: il risultato è un testo paradossale, in cui all'esordio Folengo enuncia il tema come la "storia di Baldo", un personaggio dalla tale fama che il suo nome fa tremare la terra e al solo sentirlo il "baratro" infernale sibi cagat adossum, se la fa addosso dalla paura. A questa grottesca protasi segue un'invocazione dello stesso tenore, non già alle Muse che abitano il Parnaso e che sono giudicate inadatte alla "piva" dell'autore (egli cita in modo sarcastico Melpomene e Talia, la musa della tragedia e della commedia, e Apollo dio della poesia e della musica intento a strimpellare la "chitarrina"), bensì alle Pancificae... Musae che dovranno ingozzare il poeta con gnocchi e altre prelibatezze, i cui nomi fantasiosi evocano caratteristiche proprie dei contadini della Val Padana da cui Folengo era originario (Gosa, da "gozzuto"; Striax, da "strega", e così via). Un simile esordio è il rovesciamento beffardo della tradizione dei poemi epico-cavallereschi del XV-XVI sec. e chiarisce immediatamente il carattere burlesco, parodistico dell'intero poema il cui protagonista (Baldo) discende dalla stirpe del cavaliere Rinaldo, ma è stato allevato da contadini e in seguito si unisce a una banda di furfanti e ladroni.
- Il luogo dove vivono le Muse Pancificae è descritto come un paese di Cuccagna, in cui scorrono fiumi di brodo che formano un lago di "guazzetto", mentre le Alpi sono fatte di formaggio e da esse cadono già grossi gnocchi, a ingoiare i quali conviene allargare la bocca; le Muse qui si danno da fare con il cibo, andando a pesca con reti fatte di salsicce e cucinando tagliatelle e lasagne, mentre mille camini fumano al cielo e innumerevoli pignatte borbottano sul fuoco (efficace l'immagine delle Muse-cuoche che tirano via i tizzoni se il fuoco è troppo alto, per evitare che il brodo trabocchi dalla pentola). Tale descrizione rimanda certo al "credo" culinario di Margutte nella sua presentazione nel Morgante del Pulci (► TESTO: Incontro con Margutte), anche se il collegamento più diretto è con la novella VIII, 3 del Decameron in cui Maso del Saggio descrive a Calandrino il paese di Bengodi, in cui "eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva" (► TESTO: Calandrino e l'elitropia). Simili descrizioni gastronomiche saranno riprese da Rabelais in più di un passo del Gargantua e non mancheranno neppure nel poema eroicomico del Seicento, l'ultima deformazione del genere epico prima della sua dissoluzione.