Baldassarre Castiglione
Il prologo della Calandria
Scritto per la commedia "Calandria" dell'amico Bernardo Dovizi da Bibbiena, il Prologo enuncia la novità del testo (scritto in volgare e in prosa, tra i primi esempi del teatro comico del Cinquecento) e rivendica l'originalità della trama, nonostante evidenti richiami a Plauto e ai suoi testi (ai "Menaechmi" soprattutto). Castiglione difende indirettamente anche le scelte linguistiche dell'autore, poiché afferma che il volgare in quanto lingua naturale è la più adatta a mettere in scena un testo teatrale di argomento realistico, nel che si vede un riflesso delle discussioni sulla lingua che animavano il dibattito culturale del Rinascimento.
► PERCORSO: Il Rinascimento
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PROLOGO Voi sarete oggi spettatori d'una nova commedia intitulata Calandria: in prosa, non in versi; moderna, non antiqua; vulgare, non latina. Calandria detta è da Calandro, el quale voi troverrete sí sciocco che forse difficil vi fia a credere [1] che Natura omo sí sciocco creasse già mai. Ma, se viste o udite avete le cose di molti simili, e precipue quelle di Martino da Amelia [2] (el quale credeva la stella Diana essere suo moglie, lui essere lo Amen, diventare donna, dio, pesce e arbore a posta sua), maraviglia non vi fia che Calandro creda e faccia le scioccheze che vedrete. Rappresentandovi la commedia cose familiarmente fatte e dette, non parse allo autore usare il verso, considerato che e' si parla in prosa, con parole sciolte e non ligate. [3] Che antiqua non sia dispiacer non vi dee, se di sano gusto vi trovate: per ciò che le cose moderne e nove delettano sempre e piacciono piú che le antique e le vecchie, le quale, per longo uso, sogliano sapere di vieto. [4] Non è latina: però che, dovendosi recitare ad infiniti, che tutti dotti non sono, lo autore, che di piacervi sommamente cerca, ha voluto farla vulgare; a fine che da ognuno intesa, parimenti a ciascuno diletti. Oltre che, la lingua che Dio e Natura ci ha data non deve, appresso di noi, essere di manco estimazione [5] né di minor grazia che la latina, la greca e la ebraica: alle quali la nostra non saria forse punto inferiore se noi medesimi la esaltassimo, la osservassimo, la polissimo con quella diligente cura che li Greci et etiam gli altri ferno la loro. [6] Bene è di sé inimico chi l'altrui lingua stima piú che la sua propria; so io bene che la mia mi è sí cara che non la darei per quante lingue oggi si trovano: cosí credo intervenga a voi. Però grato esser vi deve sentire la commedia nella lingua vostra. Avevo errato: nella nostra, non nella vostra, udirete la commedia; ché a parlare aviamo noi, voi a tacere. De' quali se fia chi dirà lo autore essere gran ladro di Plauto, [7] lassiamo stare che a Plauto staria molto bene lo essere rubbato, per tenere, il moccicone! [8], le cose sua senza una chiave e senza una custodia al mondo; ma lo autore giura, alla croce di Dio, che non gli ha furato questo (facendo uno scoppio con la mano); e vuole stare a paragone. E, che ciò sia vero, dice che si cerchi quanto ha Plauto, e troverrassi che niente gli manca di quello che aver suole: è, se cosí è, a Plauto non è suto rubbato [9] nulla del suo. Però non sia chi per ladro imputi lo autore. E, se pure alcuno ostinato ciò ardisse, sia pregato almeno di non vituperarlo accusandolo al bargello [10]; ma vada a dirlo secretamente nell'orecchio a Plauto. Ma ecco qua chi vi porta lo Argumento. Preparatevi a pigliarlo bene, aprendo ben ciascuno il buco de l'orecchio. |
[1] Che forse vi sarà difficile credere. [2] Uno sciocco proverbiale, citato anche in altre commedie dell'epoca. [3] Con parole sciolte e non legate dalla metrica, non in rima. [4] Sono solite sapere di stantio. [5] Essere stimata meno. [6] Ed anche gli altri popoli fecero con la loro lingua. [7] E se tra voi ci sarà qualcuno che dirà che l'autore ha plagiato Plauto. [8] Lo sciocco (moccicone è voce del toscano). [9] Non è stato rubato. [10] Denunciandolo alla polizia. |
Interpretazione complessiva
- Il "prologo" era un vero e proprio personaggio della commedia latina, impersonato da un attore (di solito il capocomico) che si presentava sulla scena e anticipava la trama dell'opera: in questo caso il testo ha più una funzione di introduzione alla commedia e il Castiglione, autore di questa presentazione, sottolinea l'assoluta novità e modernità della Calandria in quanto è uno dei primi esempi di commedia scritta in prosa e in volgare anziché in versi e in latino, scelta giustificata alla luce di una maggiore esigenza di realismo e per facilitare la comprensione da parte del pubblico. Castiglione difende inoltre la scelta del volgare in quanto lingua naturale non meno elegante delle lingue antiche, affermazione in cui si intravedono le polemiche sulla questione della lingua che animava le discussioni tra dotti del Cinquecento e nelle quali l'autore del Cortegiano dissentiva dalla proposta "purista" e arcaizzante di Bembo.
- La modernità della commedia non sta solo nella scelta della prosa a differenza del teatro di altri autori scritto in versi, ma anche in una relativa indipendenza dai modelli latini (anche se la trama ricorda quella dei Menaechmi di Plauto, in cui si parlava appunto di due gemelli) e in una maggiore aderenza a precedenti letterari della nostra tradizione, a cominciare dal Decameron di Boccaccio in cui il personaggio di Calandrino ricorda fin troppo da vicino il Calandro che dà il titolo all'opera, presentato fin dal Prologo come uno sciocco quasi incredibile. In effetti la Calandria presenta una varietà di equivoci e peripezie che si rifanno alla nea greca e al teatro plautino, ma affronta anche tematiche erotiche quali lo scambio di ruoli uomo-donna e le beffe sessuali attuate dai due protagonisti, i gemelli Lidio e Santilla, che hanno qualche precedente nel teatro classico ma sono tuttavia un'evidente ripresa della letteratura boccacciana (fatto notevole specie in quanto l'autore, Bernardo Dovizi da Bibbiena, era cardinale e membro dei circoli aristocratici del Rinascimento).