Terminologia e periodizzazione
Col termine Umanesimo gli studiosi indicano il vasto movimento di rinnovamento culturale, artistico e filosofico che caratterizzò la civiltà europea nel corso del Quattrocento e che si pose come forte rottura rispetto al pensiero medievale dei secc. XIII-XIV, soprattutto mettendo l'uomo al centro della visione della vita e del mondo e sostituendo così l'antropocentrismo al teocentrismo che aveva contraddistinto l'epoca precedente. La civiltà umanistica non è comunque una rivoluzione improvvisa e sorta dal nulla, ma si presenta come il compimento di un processo evolutivo già iniziato nel Trecento e che vide soprattutto Francesco Petrarca come un precursore di tante tendenze poi sviluppatesi nel secolo seguente, per cui si può indicare il grande poeta come un pre-umanista a tutti gli effetti (► AUTORE: Francesco Petrarca), mentre su un piano più modesto fu significativa anche la figura del suo amico e seguace Giovanni Boccaccio. Da questo punto di vista l'Umanesimo non fece altro che proseguire e ampliare la linea di pensiero iniziata da Petrarca e da altri intellettuali dei circoli pre-umanisti attivi nell'ultimo scorcio del XIV sec., così come il Rinascimento agli inizi del Cinquecento fu la splendida fioritura artistica che caratterizzò la vita di corte in Italia e che si pone in stretta continuità col secolo precedente, al punto che alcuni studiosi preferiscono parlare di civiltà umanistico-rinascimentale e non distinguere tra i due periodi (tra cui tuttavia esistono alcune importanti differenze).
L'Umanesimo si colloca dunque lungo l'arco di tutto il XV sec. e le date tradizionalmente adottate come limiti cronologici sono il 1400 e il 1492, anno quest'ultimo significativo in quanto con la scoperta dell'America inizia un processo storico che chiude di fatto il Medioevo e sancisce l'inizio dell'Età Moderna, mentre anche la morte di Lorenzo de' Medici segna l'inizio di un periodo di gravi crisi e guerre che sconvolgono l'Italia e che saranno oggetto di studi e riflessioni da parte degli scrittori rinascimentali, soprattutto Niccolò Machiavelli. L'età umanistica si può ulteriormente dividere in due fasi, la prima corrispondente alla prima metà del secolo e caratterizzata dalla produzione in latino e dal declino del volgare (fino al 1441, anno del "certame coronario" indetto da L. B. Alberti che riporta in auge il volgare, oppure sino al 1469 anno dell'ascesa al potere di Lorenzo de' Medici), mentre la seconda va dalla metà del Quattrocento sino al 1492 e vede la rinascita della grande letteratura volgare, distinta dall'opera di alcuni importanti scrittori tra cui lo stesso Lorenzo, Pulci, Poliziano e Boiardo. Va da sé che tali date sono puramente indicative e alcuni autori del Rinascimento sono già attivi alla fine del XV sec., anche se la cultura rinascimentale appare segnata da alcuni grandi temi (la canonizzazione dei generi letterari, la questione della lingua, la riflessione politica, la rinascita del teatro) che in quanto tali non appaiono ancora durante l'Umanesimo ed è questa la ragione per cui val la pena trattare le due fasi in modo separato, pur tenendo presenti i molti elementi di continuità.
L'Umanesimo si colloca dunque lungo l'arco di tutto il XV sec. e le date tradizionalmente adottate come limiti cronologici sono il 1400 e il 1492, anno quest'ultimo significativo in quanto con la scoperta dell'America inizia un processo storico che chiude di fatto il Medioevo e sancisce l'inizio dell'Età Moderna, mentre anche la morte di Lorenzo de' Medici segna l'inizio di un periodo di gravi crisi e guerre che sconvolgono l'Italia e che saranno oggetto di studi e riflessioni da parte degli scrittori rinascimentali, soprattutto Niccolò Machiavelli. L'età umanistica si può ulteriormente dividere in due fasi, la prima corrispondente alla prima metà del secolo e caratterizzata dalla produzione in latino e dal declino del volgare (fino al 1441, anno del "certame coronario" indetto da L. B. Alberti che riporta in auge il volgare, oppure sino al 1469 anno dell'ascesa al potere di Lorenzo de' Medici), mentre la seconda va dalla metà del Quattrocento sino al 1492 e vede la rinascita della grande letteratura volgare, distinta dall'opera di alcuni importanti scrittori tra cui lo stesso Lorenzo, Pulci, Poliziano e Boiardo. Va da sé che tali date sono puramente indicative e alcuni autori del Rinascimento sono già attivi alla fine del XV sec., anche se la cultura rinascimentale appare segnata da alcuni grandi temi (la canonizzazione dei generi letterari, la questione della lingua, la riflessione politica, la rinascita del teatro) che in quanto tali non appaiono ancora durante l'Umanesimo ed è questa la ragione per cui val la pena trattare le due fasi in modo separato, pur tenendo presenti i molti elementi di continuità.
L'uomo al centro del mondo
Rispetto alla civiltà medievale l'Umanesimo vede soprattutto l'affermarsi di una visione antropocentrica che mette l'uomo al centro della vita e del mondo e ne rivaluta molti aspetti prima considerati come marginali o subordinati alla concezione teocentrica del Medioevo, per cui si comincia a distinguere tra divinae litterae e humane litterae: si distingue cioè tra la letteratura che si occupa di Dio e delle questioni propriamente religiose e quella che invece si deve occupare della dimensione umana e terrena, due piani che fino al Trecento erano strettamente collegati e che ora appaiono separati l'uno dall'altro, dotati di un'importanza assolutamente paritetica. La novità non è assoluta, in quanto già le opere di Petrarca e Boccaccio avevano aperto la strada alla rappresentazione dell'uomo e delle sue vicende non più subordinate alla volontà di Dio (si pensi soprattutto al Decameron e alla sua apparente distanza dall'elemento religioso), tuttavia nell'Umanesimo il processo viene portato alle sue estreme conseguenze e, soprattutto, l'uomo diventa padrone di se stesso e protagonista del suo destino nel mondo, senza le remore religiose o i timori di punizioni divine che ancora caratterizzavano il pensiero degli scrittori precedenti. Ciò non significa che l'Umanesimo sia irreligioso o che i suoi autori assumano posizioni apertamente atee, ma è innegabile che la figura umana venga fortemente rivalutata e non sia più vista come qualcosa di fragile e precario di fronte alla grandezza di Dio, anzi si nutre una fiducia ottimistica nelle capacità dell'uomo di plasmare la propria vita e di ricercare la propria felicità in questa terra con le sue capacità, cosa che ha spinto alcuni studiosi a parlare dell'uomo come un essere quasi "divinizzato" e il cui ruolo nel mondo assume un'importanza da protagonista. Legata a questo aspetto vi è poi anche la rivalutazione del corpo umano che non è più visto quale "prigione dell'anima" o fonte di sporcizia e peccato come avveniva di frequente nel Medioevo, ma al contrario è considerato una sorta di macchina perfetta creata da Dio a sua immagine e somiglianza e dunque dotata di armonia e proporzioni geometriche, oggetto di studi di carattere pre-scientifico e artistico (l'esempio più noto è lo schizzo di Leonardo da Vinci noto come "uomo vitruviano", divenuta l'immagine simbolo dell'Umanesimo). Del corpo si rivaluta quindi la fisicità e la materialità e vengono esaltati anche i piaceri che esso può dare all'uomo, non più visti come qualcosa di peccaminoso da reprimere e soffocare ma come una parte naturale della vita che è perfettamente lecito assecondare, anche nel caso del piacere sessuale che non solo non viene più condannato in sé ma, al contrario, celebrato come qualcosa ordinato appositamente da Dio per spingere l'uomo all'atto della riproduzione e quindi alla conservazione della specie umana (una posizione simile, in parte, a quella già emersa nel Decameron di Boccaccio; ► VAI ALL'OPERA). Autori significativi a questo riguardo sono Giovanni Pico della Mirandola, autore di una Oratio de hominis dignitate in cui esalta la dignità e la libertà dell'uomo, nonché la sua capacità di forgiare il proprio destino in senso classico (► TESTO: L'uomo è padrone del suo destino), e Giannozzo Manetti, che scrisse un trattato in latino intitolato De dignitate et excellentia hominis in cui il corpo umano viene celebrato per la sua perfezione e la predisposizione a godere di particolari piaceri, tra cui quello erotico che viene esaltato per motivazioni analoghe a quelle già viste in Boccaccio e in altri umanisti del XV secolo (► TESTO: I piaceri del corpo).
Lo studio della natura e lo sviluppo della tecnica
Il Quattrocento vede l'emergere di un approccio del tutto nuovo alla natura e al mondo fisico nel suo complesso, poiché questo non è più considerato il "libro di Dio" come nel Medioevo e quindi semplice espressione della volontà divina, ma come un organismo regolato da leggi che l'uomo può in alcuni casi cercare di comprendere e manovrare a proprio vantaggio, in un'ottica che pertanto appare fortemente innovativa rispetto al secolo precedente in cui tali posizioni sarebbero apparse quasi sacrileghe. Grande sviluppo assumono ad esempio la magia e gli studi cabalistici, volti a dominare le forze della natura con pratiche ancora superstiziose e incoerenti, mentre più interessante è l'evoluzione della tecnica che dà luogo a scoperte e innovazioni decisamente moderne, tanto nel campo dell'anatomia (con l'osservazione e la descrizione del corpo umano, visto come "macchina meravigliosa" immagine di Dio), quanto in quello delle arti figurative (specie architettura e pittura, con la scoperta della prospettiva) e in quello dell'ingegneria (con la progettazione e, in qualche caso, la realizzazione di macchine decisamente avveniristiche e inimmaginabili qualche decennio prima). Il personaggio più significativo a questo riguardo è senz'altro Leonardo da Vinci (1452-1519), attivo nel campo della pittura, dell'ingegneria e della cultura in genere (benché si considerasse "omo sanza lettere" in quanto ignaro del latino), autore di alcune tra le più significative opere artistiche del periodo umanistico e di alcune "invenzioni" che consentono di definirlo un "genio" della civiltà occidentale, anche se ci ha lasciato un corpus di scritti disorganico in cui non c'è alcuna opera propriamente compiuta. Altra figura di rilievo è il genovese Leon Battista Alberti (1404-1472), architetto, teorico dell'arte e autore di numerosi trattati in latino e in volgare nei quali si occupò di varie questioni di interesse culturale, come il dialogo Della famiglia (composto in volgare e diviso in quattro libri) in cui vari interlocutori appartenenti alla famiglia Alberti discutono diversi aspetti della vita familiare tra cui, ad es., le qualità "borghesi" del buon padre, l'educazione dei figli, e così via (il modello cui si rifà l'autore è quello del mondo classico, coerentemente con la sua impostazione culturale). Da ricordare che nel 1441 lo scrittore indisse il cosiddetto "certame coronario", una sorta di gara poetica in volgare che si tenne a Firenze sotto il patrocinio della famiglia Medici e che metteva in palio una corona d'argento, poi non assegnata a nessun vincitore, evento che comunque ebbe il merito di riportare in auge il volgare come lingua e costituì un impulso alla rinascita della letteratura volgare nella seconda metà del secolo, non a caso avente proprio Firenze come uno dei centri privilegiati.
Tra le innovazioni tecniche più importanti del Quattrocento non va poi dimenticata l'introduzione della stampa, che rappresentò una vera e propria rivoluzione nella diffusione dei libri e delle opere letterarie, nonché dell'attività culturale in genere (sul punto si veda oltre).
Tra le innovazioni tecniche più importanti del Quattrocento non va poi dimenticata l'introduzione della stampa, che rappresentò una vera e propria rivoluzione nella diffusione dei libri e delle opere letterarie, nonché dell'attività culturale in genere (sul punto si veda oltre).
La riscoperta del mondo classico
L'Umanesimo prosegue e amplia la rivalutazione della letteratura classica già iniziata nel Trecento con l'opera di Petrarca (e in parte di Boccaccio), grazie anche alla riscoperta del greco fino a quel momento ignorato come lingua e che si torna a conoscere e studiare attraverso l'opera di intellettuali esuli da Costantinopoli dopo la conquista turca del 1453, tra cui molto importante la figura di Giovanni Argiropulo (autore di notevoli studi sull'opera di Aristotele). Il mondo classico viene indagato e celebrato nel suo effettivo valore senza ovviamente quell'interpretazione in senso cristiano che aveva caratterizzato il Medioevo, aspetto che era già stato sostanzialmente accantonato dagli autori del XIV sec., mentre i modelli sociali e politici dell'antica Grecia e di Roma vengono proposti come paradigma per rinnovare la vita delle classi superiori, in senso più o meno conservatore (sul punto si veda oltre). Nel Quattrocento conosce un decisivo sviluppo soprattutto la filologia, la disciplina che studia e ricostruisce i testi antichi secondo criteri rigorosi (secondo la strada tracciata da Petrarca nel corso del XIV sec.) e tra i maggiori esponenti della filologia classica in età umanistica vi è Lorenzo Valla (1407-1457), autore di uno studio fondamentale intitolato De falso credita et ementita Constantini donatione in cui dimostra, con argomenti rigorosamente filologici, che il famoso documento che attestava la donazione di Costantino a papa Silvestro I era un falso elaborato dalla cancelleria papale nell'VIII sec.; altra figura di spicco è poi Angelo Poliziano che insegnò retorica greca e latina allo Studio di Firenze e fu autore di trattati filologici tra i più importanti del periodo (► VAI ALL'AUTORE). Grande importanza assume nell'Umanesimo anche il concetto di imitazione dei modelli classici, che influenza profondamente la successiva letteratura rinascimentale e che ha proprio in Poliziano il teorico fondamentale, anche nella polemica con Paolo Cortese che proponeva Cicerone come modello privilegiato nella prosa, mentre Poliziano teorizzava un eclettismo delle fonti classiche cui attingere e paragonava lo scrittore umanista a un'ape che sugge il nettare da molti fiori, per creare un miele che è solo suo. L'imitazione dei modelli classici (greci e latini) porta a privilegiare alcuni generi letterari che vengono riproposti in chiave diversa rispetto al passato, specie nella letteratura in lingua latina che si esercita soprattutto nel trattato (specie in forma di dialogo), nell'epistola e nell'orazione, mentre con la ripresa del volgare nel secondo Quattrocento i generi più importanti sono la lirica e il poema epico, in cui i modelli sono classici (i poemi omerici, Virgilio, Orazio...) e italiani (Petrarca soprattutto, imitato anche nelle opere latine). Il nuovo rapporto col mondo classico influenza profondamente anche le arti figurative, non solo nella scelta dei modelli ma anche nella stessa concezione dell'arte, vista come imitazione della natura tanto più perfetta quanto più accurata, posizione che il Medioevo avrebbe decisamente rigettato perché la natura era vista come manifestazione divina (cfr. ad es. le affermazioni di Dante in tal senso; ► TESTO: Il canto di Casella).
La "rivoluzione" della stampa
L'introduzione della stampa a caratteri mobili in Europa ad opera dell'artigiano tedesco Johann Gutenberg (1400 ca. - 1468), seppure non fu una novità assoluta in quanto tecniche simili erano già state elaborate dai Cinesi nel X sec. d.C., costituì comunque una vera e propria rivoluzione nella diffusione culturale in Occidente e risolse i molti problemi che la tradizione manoscritta aveva posto nei secoli, anzitutto rendendo più facile e veloce la riproduzione dei testi ed eliminando gli errori di copiatura che in molti casi avevano corrotto le opere antiche creando equivoci e confusioni. Anche se il libro stampato nel XV sec. (il cosiddetto incunabolo) è ancora un oggetto prezioso la cui diffusione è assai limitata, la stampa aumenta comunque il numero di copie che possono essere diffuse di un'opera e risolve i problemi legati alla grafia "oscillante" che rendeva spesso di difficile lettura i manoscritti medievali, creando dei caratteri dell'alfabeto che, pur non essendo ancora standard come in età moderna, tendono ad essere simili e facilitano la decifrazione del testo da parte di un pubblico non necessariamente specialistico. La stampa contribuisce anche a fissare il testo dell'opera secondo la volontà dell'autore ed evita il proliferare di copie manoscritte indipendenti dal controllo dell'autore stesso, fenomeno che ha creato più di una difficoltà agli studiosi moderni nella ricostruzione della lezione esatta di alcuni importanti libri (il caso della Commedia di Dante è forse il più importante, non essendoci l'autografo del poema), anche se va precisato che il concetto di "proprietà letteraria" è ancora sconosciuto alla civiltà europea e verrà introdotto nella legislazione solo molto più tardi, alle soglie dell'età contemporanea. Non esiste ovviamente nel XV-XVI sec. un'industria libraria paragonabile a quella odierna e il pubblico di lettori cui le opere stampate possono rivolgersi è ovviamente poco numeroso e selezionato, tuttavia la figura dello "stampatore" acquista un peso sempre maggiore nella società umanistica e alcuni tipografi contribuiscono non poco alla diffusione culturale in Italia, tra cui merita citare soprattutto la famiglia Giolito attiva in Piemonte e a Venezia, che realizzò edizioni del Canzoniere petrarchesco, del Decameron di Boccaccio e del Furioso di Ariosto, mentre Aldo Manuzio (1450-1515) creò una tipografia a Venezia che realizzò alcune delle principali edizioni in età umanistica dei classici greci e latini, creando inoltre il prototipo del libro moderno anche con innovazioni legate al tipo di caratteri usati, venendo ben presto imitato da altri stampatori del Quattro-Cinquecento. Le botteghe dei tipografi nel XVI sec. non furono solo officine artigianali per la realizzazione pratica dei libri, ma divennero dei veri e propri centri culturali che contribuivano efficacemente alla diffusione del sapere (pur essendo l'alfabetizzazione ancora molto limitata) e in questo senso la stampa allarmò ben presto le élites ecclesiastiche e civili che vedevano in questo fenomeno un rischio di destabilizzazione del sistema in atto, per cui ad es. la Chiesa (specie nel secondo Cinquecento nel clima della Controriforma) attuò pratiche attive di censura e controllo della diffusione dei testi, soprattutto con la creazione dell'Indice dei libri proibiti (► PERCORSO: La controriforma). La diffusione della stampa ebbe inoltre il merito di allungare la vita del libro e rendere i testi facilmente accessibili agli studiosi, cosa che favorì enormemente lo studio delle opere del passato (specie delle letterature classiche), mentre in ambito moderno contribuì a fissare la forma e le regole grammaticali della lingua volgare in Italia, anche attraverso le discussioni in epoca rinascimentale che portarono alla costituzione di un "canone" linguistico e letterario che influenzò poi profondamente la letteratura italiana dei secoli successivi (► PERCORSO: Il Rinascimento).
Latino e volgare
Come detto, nella prima metà del Quattrocento il volgare viene trascurato a tutto vantaggio del latino, lingua classica che ora viene padroneggiata con sicurezza dagli scrittori (che in questo proseguono sulla linea inaugurata da Petrarca nel Trecento) e di cui si servono per produrre nuove opere letterarie che imitano i modelli antichi, tanto nel contenuto quanto nei generi letterari e nella struttura. Nel primo XV sec. il predominio del latino è tale che alcuni studiosi parlano di letteratura umanistica distinguendola da quella in volgare dei decenni successivi, rispetto alla quale presenta indubbiamente caratteristiche sue proprie: tra gli autori più significativi vi è anzitutto il toscano Coluccio Salutati (1331-1406), che si può considerare ancora un pre-umanista e che fa in un certo senso da "cerniera" tra l'opera di Petrarca e gli umanisti dell'età successiva, come ad es. l'aretino Leonardo Bruni (1370-1444) che lavorò per il Comune di Firenze negli ultimi anni della sua vita e scrisse opere latine e volgari, mentre fu traduttore di testi classici e autore di una storia di Firenze in latino (Historiarum florentini populi libri XII) che è un primo esempio di storia "moderna" con un uso rigoroso delle fonti, in modo diverso dalle cronache medievali come quelle di Compagni e Villani. Figura notevole anche quella di Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), che fu filosofo, studioso delle opere antiche e autore di importanti testi umanistici (tra cui spicca l'orazione De hominis dignitate, su cui si veda sopra), mentre coltivò anche interessi per lo studio della magia e della cabalistica secondo le inclinazioni del secolo, diventando celebre per la sua immensa dottrina e la sua memoria che pareva prodigiosa. Merita una citazione anche il fiorentino Cristoforo Landino (1424-1498), che insegnò allo Studio di Firenze e lavorò per la Repubblica e per i Medici, scrivendo opere sui classici latini e di commento ai principali autori volgari del Trecento (tra i quali Dante e Petrarca), mentre il suo pensiero filosofico fu molto influenzato dal neoplatonismo di Marsilio Ficino che compare come interlocutore nei dialoghi delle Disputationes camaldulenses (l'opera, composta intorno al 1480, propone un'interpretazione del mondo in chiave neoplatonica e presenta anche una lettura allegorica dei primi sei libri dell'Eneide). I generi letterari in cui si esprime questa letteratura in latino sono di derivazione classica e tra essi spiccano il trattato (specie in forma di dialogo, a imitazione delle opere di Platone e Cicerone), l'orazione e l'epistola, mentre tra i modelli più imitati vi sono le opere latine di Petrarca che costituivano un'anticipazione di tanti temi poi sviluppati dall'Umanesimo, specie nei trattati ascetici e negli scritti di erudizione e filologia.
Il volgare viene "riscoperto" nella seconda metà del Quattrocento e gli scrittori protagonisti di questa nuova stagione letteraria sono attivi soprattutto a Firenze e a Ferrara, i due principali centri culturali dell'Umanesimo (sul punto si veda oltre), per cui conosce una grande diffusione proprio il volgare toscano che si appoggia al modello autorevole dei grandi autori del Trecento (Dante, Petrarca e Boccaccio) e che attraverso gli scritti di poeti come Lorenzo de' Medici e Poliziano influenza notevolmente le discussioni linguistiche dei dotti del Rinascimento, che all'inizio del Cinquecento si porranno la questione di quale volgare usare come lingua letteraria (la soluzione proposta da Bembo, com'è noto, sarà il fiorentino trecentesco di Petrarca e Boccaccio). La "rinascita" del volgare non soppianta affatto il latino come lingua di cultura e la letteratura di tutto il XV-XVI sec. continua ad essere bilingue, mentre va ricordato che il latino come lingua accademica e scientifica manterrà il suo primato almeno fino al Settecento, quando inizierà ad essere scalzato dal francese quale lingua "europea" e verrà gradualmente accantonato solo alla fine del XIX sec.
Il volgare viene "riscoperto" nella seconda metà del Quattrocento e gli scrittori protagonisti di questa nuova stagione letteraria sono attivi soprattutto a Firenze e a Ferrara, i due principali centri culturali dell'Umanesimo (sul punto si veda oltre), per cui conosce una grande diffusione proprio il volgare toscano che si appoggia al modello autorevole dei grandi autori del Trecento (Dante, Petrarca e Boccaccio) e che attraverso gli scritti di poeti come Lorenzo de' Medici e Poliziano influenza notevolmente le discussioni linguistiche dei dotti del Rinascimento, che all'inizio del Cinquecento si porranno la questione di quale volgare usare come lingua letteraria (la soluzione proposta da Bembo, com'è noto, sarà il fiorentino trecentesco di Petrarca e Boccaccio). La "rinascita" del volgare non soppianta affatto il latino come lingua di cultura e la letteratura di tutto il XV-XVI sec. continua ad essere bilingue, mentre va ricordato che il latino come lingua accademica e scientifica manterrà il suo primato almeno fino al Settecento, quando inizierà ad essere scalzato dal francese quale lingua "europea" e verrà gradualmente accantonato solo alla fine del XIX sec.
Il mecenatismo delle corti
Durante l'Umanesimo la corte si impone come centro di produzione e diffusione di contenuti culturali (proseguendo un processo storico iniziato già nel Trecento con la formazione in Italia delle signorie e degli Stati regionali), per cui essa diventa un ambiente in cui il signore non solo esercita il potere politico e attua la sua azione di governo, ma si circonda di letterati e artisti cui commissiona la realizzazione di opere allo scopo di celebrare la sua figura o la sua famiglia, ponendosi come mecenate a tutti gli effetti e stimolando la produzione di una letteratura di carattere encomiastico che in quanto tale diventa predominante nel corso del Quattrocento. Tale carattere "di corte" si accentuerà maggiormente nel corso del Rinascimento e si può affermare che tutta la letteratura dei secc. XV-XVI sia di tipo "chiuso", prodotta da uomini che lavorano nella corte e si rivolgono a un pubblico dello stesso ambiente sociale con profondo disinteresse per la vita e i problemi delle classi socialmente inferiori, almeno per quanto riguarda la produzione letteraria di livello più alto. Nel corso del Quattrocento una delle corti più importanti e splendide è naturalmente quella dei Medici a Firenze, dove nell'ultimo scorcio del secolo Lorenzo il Magnifico (1449-1492) non solo forma attorno a sé una cerchia con i maggiori pittori e artisti della città, tra cui il pittore Sandro Botticelli (1445-1510) e i poeti Luigi Pulci (1432-1484) e Angelo Poliziano (1454-1494), ma è lui stesso scrittore e autore di alcune opere volgari che riflettono un certo eclettismo dilettantesco, ponendosi su un piano leggermente inferiore rispetto agli altri intellettuali citati (► AUTORI: Lorenzo de' Medici; Luigi Pulci; Angelo Poliziano). Lorenzo stimola l'attività culturale su più fronti e durante il suo potere si sviluppa anche l'Accademia platonica di Marsilio Ficino (1433-1499), fondata nel 1462 per impulso di Cosimo il Vecchio e divenuta ben presto un centro culturale di prima importanza basato sul modello del Simposio di Platone e in cui si riunivano liberamente intellettuali e scrittori di varia provenienza, mentre il fondatore tentava di conciliare aspetti della filosofia platonica col Cristianesimo influenzando a vari livelli l'attività letteraria di Firenze (inclusa l'opera di Lorenzo). L'accademia diventa d'altronde, accanto alla corte, uno degli ambienti culturali dell'Italia umanistica e il suo carattere privato la rende in molti casi indipendente dal potere politico dei signori, anche se spesso questi appoggiano e finanziano tali istituzioni per servirsene a scopo celebrativo (come nel caso appunto dell'Accademia platonica di Firenze e di quella creata dal Pontano a Napoli sotto la protezione di re Alfonso d'Aragona), mentre va detto che le accademie sono per lo più l'evoluzione dei cenacoli umanisti già sorti nel primo Quattrocento e che se ne distinguevano in quanto privi di un rigido cerimoniale al proprio interno, in quanto tali destinati a tramontare nel corso del XV sec.
Altra corte e centro culturale di prima grandezza nell'Italia del Nord è Ferrara, dove gli Este creano alla fine del Quattrocento un vasto dominio politico e dove è attivo soprattutto Matteo Maria Boiardo (1441-1494), autore di varie opere di carattere encomiastico e in particolare di un poema epico-cavalleresco (l'Orlando innamorato) che costituirà in parte il modello di questo genere letterario destinato a un grande sviluppo nella stessa città, specie con l'opera di Ariosto e Tasso nel Cinquecento (► AUTORE: M. M. Boiardo). Se Firenze e Ferrara sono i centri più attivi e vivaci sul piano strettamente letterario, non va scordato che altre città vedono un'intensa fioritura artistica e intellettuale in altri campi nel periodo umanistico, tra cui occorre citare soprattutto Roma (destinata a un grandissimo sviluppo anche nel Rinascimento, specie attraverso l'opera di Michelangelo), Napoli (dove pure è attivo uno scrittore come Iacopo Sannazaro, per il quale si veda oltre) e Venezia (su un piano inferiore rispetto alle altre città, ma dove pure sono attivi gli stampatori più importanti del secolo, i Giolito e Manuzio).
Altra corte e centro culturale di prima grandezza nell'Italia del Nord è Ferrara, dove gli Este creano alla fine del Quattrocento un vasto dominio politico e dove è attivo soprattutto Matteo Maria Boiardo (1441-1494), autore di varie opere di carattere encomiastico e in particolare di un poema epico-cavalleresco (l'Orlando innamorato) che costituirà in parte il modello di questo genere letterario destinato a un grande sviluppo nella stessa città, specie con l'opera di Ariosto e Tasso nel Cinquecento (► AUTORE: M. M. Boiardo). Se Firenze e Ferrara sono i centri più attivi e vivaci sul piano strettamente letterario, non va scordato che altre città vedono un'intensa fioritura artistica e intellettuale in altri campi nel periodo umanistico, tra cui occorre citare soprattutto Roma (destinata a un grandissimo sviluppo anche nel Rinascimento, specie attraverso l'opera di Michelangelo), Napoli (dove pure è attivo uno scrittore come Iacopo Sannazaro, per il quale si veda oltre) e Venezia (su un piano inferiore rispetto alle altre città, ma dove pure sono attivi gli stampatori più importanti del secolo, i Giolito e Manuzio).
Qui puoi vedere una breve video-presentazione dei Medici e della loro corte a Firenze, tratta dal canale YouTube Video Letteratura |
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I generi della letteratura volgare
La grande letteratura in volgare nella seconda metà del Quattrocento riprende in parte i generi già consolidati nella tradizione del XIV sec., cui vanno ovviamente aggiunti quelli di derivazione classica che ora vengono riproposti con nuovo vigore appoggiandosi a una nuova e più approfondita conoscenza dei modelli originali: la grande fioritura volgare avviene soprattutto negli ultimi quarant'anni del secolo (alla corte medicea di Firenze e in quella estense di Ferrara), tuttavia già nei primi decenni si assiste alla ripresa di alcuni generi in prosa con l'opera di alcuni autori minori, dal momento che come detto nel primo Quattrocento è il latino a imporsi come lingua letteraria. Ecco in breve le caratteristiche essenziali dei generi della letteratura volgare, con l'indicazione degli autori principali.
La novellistica
Nonostante il grande esempio del Decameron la narrativa non conosce un grande sviluppo in età umanistica e all'inizio del Quattrocento vi sono alcuni imitatori del capolavoro che producono raccolte di novelle con o senza cornice, come nel caso del Novellino di Masuccio Salernitano (m. nel 1475 ca.) che in cinquanta racconti imita Boccaccio con particolare insistenza sui motivi satirici contro il clero e le donne, senza spunti di particolare originalità (► TESTO: Le brache di san Griffone). Interessante è poi la Novella del grasso legnaiuolo, un racconto anonimo di impostazione comica che ebbe vari rimaneggiamenti nel corso del secolo e che ci è giunto in diverse redazioni, tra cui la più nota è quella dello scrittore fiorentino Antonio Manetti (► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.): il racconto narra una feroce burla organizzata da alcuni uomini (tra cui Filippo Brunelleschi) ai danni di un ingenuo falegname cui viene fatto credere di essere un'altra persona, in modo talmente convincente da fargli dubitare persino della sua identità; è evidente la ripresa di motivi boccacceschi e in particolare delle novelle di Calandrino, il che spiega in parte il successo della novella e le molte versioni in cui è stata tramandata. A metà tra narrativa e poesia pastorale è anche l'Arcadia dello scrittore napoletano Iacopo Sannazaro (1456-1530) attivo alla corte di re Alfonso d'Aragona, che in quest'opera alterna dodici parti in prosa ad altrettante egloghe di argomento bucolico e in cui la trama, di per sé molto esile, tratteggia la splendida vita della corte quattrocentesca e i riti della vita "pastorale", creando tuttavia il modello per questo tipo di egloga che influenzerà molto la successiva letteratura (anche nel titolo, poiché il termine "Arcadia" diventerà sinonimo di mondo pastorale e darà il nome anche all'accademia omonima del Settecento; ► TESTO: Selvaggio e Ergasto).
La lirica e la poesia comica
La poesia volgare di stile elevato e di argomento amoroso è praticamente assente nel primo Quattrocento e rinasce nell'ultimo scorcio del secolo soprattutto grazie all'opera di Lorenzo de' Medici e Poliziano a Firenze, per quanto i due autori producano opere di carattere alquanto diverso: i modelli della lirica sono certo i poeti lirici della letteratura classica e in particolare Orazio e gli elegiaci latini, anche se molti spunti sono ripresi da Dante (Lorenzo imita la struttura della Vita nuova nel Comento ad alcuni suoi sonetti) e in parte da Petrarca, che diventerà il modello principale specialmente nel Cinquecento. Non di rado la poesia amorosa si arricchisce di riferimenti alla filosofia neoplatonica che era stata elaborata dall'Accademia di Firenze, il che vale per Lorenzo e parzialmente anche per Boiardo, autore di una raccolta di liriche (gli Amorum libri tres) che si rifanno nella struttura al Canzoniere petrarchesco e presentano l'amore come forza operosa capace di muovere il mondo. Genere poetico nuovo ma comunque attinente alla lirica amorosa è poi il poemetto di argomento mitologico, il cui esempio più noto e meglio riuscito sono le Stanze di Poliziano in cui l'autore tenta di riproporre i miti classici in una chiave nuova e moderna, senza l'apparato di interpretazioni allegoriche ancora presenti nella poesia del Trecento (in questo senso erano già assenti in Petrarca).
Un certo sviluppo conosce nel corso del secolo anche il filone della poesia comica, specie attraverso l'opera del Burchiello (pseudonimo di Domenico di Giovanni, 1404-1449), fiorentino, che si rifà alla tradizione comico-realistica delle Origini e compone molti sonetti di argomento satirico e beffardo, alcuni anche con giochi di parole e accostamenti verbali senza senso (► PERCORSO: La poesia comica). Il Burchiello esercita una notevole influenza anche sugli scrittori del secondo Quattrocento, anzitutto su Pulci che produce una poesia ricca di elementi beffardi e ironici (specie nel Morgante, poema epico-cavalleresco per cui si veda oltre), mentre anche Lorenzo compone la Nencia da Barberino contenente l'ironico lamento amoroso del pastore Vallera nei confronti di una bella contadina, descritta con attribuzioni e immagini del mondo agricolo che suonano decisamente parodistici.
Un certo sviluppo conosce nel corso del secolo anche il filone della poesia comica, specie attraverso l'opera del Burchiello (pseudonimo di Domenico di Giovanni, 1404-1449), fiorentino, che si rifà alla tradizione comico-realistica delle Origini e compone molti sonetti di argomento satirico e beffardo, alcuni anche con giochi di parole e accostamenti verbali senza senso (► PERCORSO: La poesia comica). Il Burchiello esercita una notevole influenza anche sugli scrittori del secondo Quattrocento, anzitutto su Pulci che produce una poesia ricca di elementi beffardi e ironici (specie nel Morgante, poema epico-cavalleresco per cui si veda oltre), mentre anche Lorenzo compone la Nencia da Barberino contenente l'ironico lamento amoroso del pastore Vallera nei confronti di una bella contadina, descritta con attribuzioni e immagini del mondo agricolo che suonano decisamente parodistici.
Il poema epico-cavalleresco
La poesia epica conosce una grande fioritura in età umanistica e costituisce indubbiamente una delle innovazioni più vistose tra i generi della letteratura volgare, essendo quasi totalmente assente nella tradizione delle Origini: il più antico riferimento sono ovviamente le chansons de geste della letteratura in lingua d'oïl che a loro volta erano state riprese dai cantari del Trecento, affidati alla trasmissione orale dei giullari (► PERCORSO: Le Origini), mentre Boccaccio si era ispirato a questa tradizione nel Filostrato e nel Teseida in cui aveva usato lo stesso metro dei cantari, ovvero l'ottava di endecasillabi con schema della rima ABABABCC (destinato poi a diventare il metro "ufficiale" della poesia epica italiana; ► AUTORE: Giovanni Boccaccio). In età umanistica l'interesse per la poesia epica del ciclo carolingio rinasce soprattutto alle corti di Firenze e Ferrara, dove sono attivi rispettivamente Luigi Pulci e Matteo Maria Boiardo autori di due poemi molto diversi per tono e struttura (il Morgante e l'Orlando innamorato), che però hanno in comune l'ambientazione storica e i personaggi appartenenti al mondo di Carlo Magno e dei suoi paladini, che finiranno per imporsi come un modello e prevalere nettamente sul ciclo bretone un tempo usato nei romanzi cortesi in lingua d'oïl. In particolare la corte estense di Ferrara diventerà il centro di principale produzione di questo genere di poesia, specie nel Cinquecento con l'opera importantissima di Ariosto e Tasso i quali, sia pure con molte novità, proseguiranno sulla strada tracciata a suo tempo da Boiardo. Rispetto alla tradizione delle chansons de geste e dei cantari il poema epico-cavalleresco del Quattrocento si rifà ai modelli classici di cui imita episodi e struttura (le fonti sono i poemi omerici, l'Iliade specialmente, e l'Eneide) e innova la materia con intermezzi romanzeschi e invenzioni di varia natura, specie con l'introduzione dell'elemento fiabesco e magico di derivazione "arturiana" (questo vale soprattutto per Boiardo, mentre in Pulci prevale nettamente l'elemento beffardo e ironico). Se nel Quattrocento il genere del poema conosce ancora una certa libertà compositiva e gli autori si muovono in base alla loro ispirazione, nel secolo seguente ci saranno invece molte discussioni fra i dotti circa le regole che dovevano caratterizzare tale genere e in epoca rinascimentale verrà teorizzato il poema cavalleresco come prosecuzione del modello boiardesco, mentre nella Controriforma ci si concentrerà sul poema eroico come quello tassiano, che presenterà notevoli innovazioni rispetto alle opere di Boiardo e Ariosto. Il poema del XV-XVI sec. inoltre offre ancora una visione positiva e celebrativa dell'ideale della cavalleria, pure entrato in crisi in seguito ai mutamenti militari e sociali, anche se già Ariosto tende a descrivere il mondo cortese con tono nostalgico, essendo pienamente consapevole del tramonto dei valori cavallereschi e dell'evoluzione delle guerre anche a causa delle armi da fuoco.
Il teatro
Una vera attività teatrale in senso moderno è di fatto assente nel corso del Quattrocento, come pure per buona parte del Medioevo anche a causa dell'opposizione della Chiesa che condannava il teatro come pratica irreligiosa e blasfema, se si eccettua l'opera dei giullari che, tuttavia, tendono a scomparire durante il secolo; sopravvive più che altro il teatro di argomento religioso e in esso grande importanza hanno le sacre rappresentazioni, sorta di evoluzione delle laude drammatiche della tradizione del XIII-XIV sec. e che erano recitate per lo più da attori dilettanti, durante le festività liturgiche di cui erano una manifestazione popolare (famose soprattutto quelle scritte dal cardinale Giovanni de Dominici e Feo Belcari; ► PERCORSO: La poesia religiosa). Del resto l'aspetto religioso non è affatto assente nella letteratura dell'Umanesimo e un certo rilievo assumono anche generi come la predica, da considerarsi un sottogenere della letteratura devota delle Origini (autori significativi a questo riguardo sono specialmente Bernardino da Siena e Girolamo Savonarola, quest'ultimo oppositore dei Medici a Firenze e autore della loro cacciata e della nascita della Repubblica nel 1494). Il teatro di argomento profano e ispirato ai generi classici nasce solo verso la fine del Quattrocento e il primo esempio in tal senso è la Fabula di Orfeo di Poliziano, composta nel 1480 e destinata a influenzare profondamente il teatro del secolo successivo, in cui comunque si tornano a scrivere commedie e tragedie a imitazione dei modelli greci e latini: il testo mette in scena la vicenda di Orfeo ed Euridice narrata, tra gli altri, da Ovidio nelle Metamorfosi ed è scritto in versi, mentre i personaggi di contorno sono pastori e la storia si colloca in un ambiente non diverso da quello dell'Arcadia di Sannazaro, dunque offrendo una rappresentazione raffinata e destinata all'intrattenimento di un pubblico di corte (l'opera venne commissionata a Poliziano dalla corte dei Gonzaga, benché non sappiamo se fu poi rappresentata). L'Orfeo inaugurò di fatto la rinascita del teatro classico sganciato dagli argomenti religiosi e la strada aperta da Poliziano fu poi seguita dai principali autori del Cinquecento, tra cui soprattutto Ariosto e Machiavelli che scrissero entrambi commedie rappresentate con successo e si inserirono nel vivace dibattito sulla forma delle opere teatrali che caratterizzò almeno in parte l'attività culturale del loro tempo (► PERCORSO: Il Rinascimento).