Arnaut Daniel
«Su quest'arietta leggiadra»
È una canzone di Arnaut Daniel, celebre trovatore occitanico vissuto tra XII-XIII sec. e considerato maestro del "trobar clus", ovvero uno stile difficile che ricercava appositamente un lessico complicato e le "caras rimas", le rime rare e preziose. Arnaut creò anche la cosiddetta "sestina", un tipo di componimento in cui le stesse parole-rima ricorrevano di strofa in strofa secondo uno schema fisso, poi ripreso da Dante e Petrarca (in particolare fu notevole il suo influsso su Dante, specie nella fase delle "Rime petrose" in cui si ispirò dichiaratamente al poeta provenzale, mentre Arnaut compare come personaggio nel finale del Canto XXVI del "Purgatorio" in cui pronuncia parole in lingua d'oc). In questa lirica ricorrono molti temi propri dell'amor cortese, come la bellezza della donna che soggioga il poeta e il carattere assoluto dell'amore, che spinge Arnaut a desiderare la donna più di qualunque altra cosa.
► PERCORSI: Le Origini / La lirica amorosa
► SCHEDA: La concezione dell'amor cortese
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► SCHEDA: La concezione dell'amor cortese
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Su quest'arietta leggiadra
compongo versi e li digrosso e piallo, e saran giusti ed esatti quando ci avrò passata su la lima [1]; ché Amore istesso leviga ed indora il mio canto, ispirato da colei che pregio mantiene e governa. Io bene avanzo ogni giorno e m'affino [2] perché servo ed onoro la più bella del mondo, ve lo dico apertamente. Tutto appartengo a lei , dal capo al piede, e per quanto una gelida aura spiri, l'amore ch'entro nel cuore mi raggia [3] mi tien caldo nel colmo dell'inverno. Mille messe per questo ascolto ed offro, per questo accendo lumi a cera e ad olio: perché Dio mi conceda felice esito di quella contro cui schermirsi è vano; e quando miro la sua chioma bionda e la persona gaia, agile e fresca più l'amo che d'aver Luserna [4] in dono. Tanto l'amo di cuore e la desidero, che per troppo desío temo di perderla, se perdere si può per molto amare. Il suo cuore sommerge interamente tutto il mio, né s'evapora. Tanto ha oprato d'usura che ora possiede officina e bottega. [5] Di Roma non vorrei tener l'impero, né bramerei esserne fatto papa, se non potessi tornare a colei per cui il cuore m'arde e mi si spezza. E se non mi ristora dell'affanno pur con un bacio, pria dell'anno nuovo, me fa morire e a sé l'anima danna. [6] Ma per l'affanno ch'io soffro dall'amarla non mi distolgo, bench'ella mi costringa a solitudine, sì che ne faccio parole per rima. Più peno, amando, di chi zappa i campi, ché punto più di me non amò quel di Monclin donna Odierna. [7] Io sono Arnaldo che raccolgo il vento e col bue vado a caccia della lepre e nuoto contro la marea montante. [8] |
[1] L'arietta è la melodia su cui Arnaut compone i suoi versi, che sottopone a un lavorìo continuo (paragonato alla lima di un falegname). [2] Io compio progressi e miglioro di giorno in giorno. [3] L'amore che arde nel mio cuore. [4] Città leggendaria, citata nelle Chansons de geste. [5] Mi ha preso a tal punto che ora le appartengo completamente. [6] Fa morire me e condanna se stessa alla dannazione. [7] Monclino e donna Odierna (Audierna) erano una coppia celebre ai tempi di Arnaut, oggi non più identificabile. [8] Arnaut intende dire che il suo amore, non ricambiato, lo spinge a fare cose impossibili, non realizzabili. |
Interpretazione complessiva
- La canzone è formata da sette strofe di sette versi ciascuna, seguite da un "congedo" di tre versi (il metro è simile alla canzone Amore di terra lontana, di Jaufré Rudel). Nel testo originale in lingua d'oc lo schema della rima è fisso (ABCDEFG nelle strofe, EFG nel congedo) per l'intero componimento e fra le parole-rima vi sono molte rimas caras, termini ricercati e preziosi come issert ("esito"), escrima ("schermirsi"), sobretracima ("sommergere totalmente"), apostoli ("papa"), tipici del trobar clus di cui Arnaut era maestro.
- La donna amata da Arnaut è descritta nei termini della bellezza classica (la "chioma" è "bionda", la "persona" è "gaia, agile e fresca") e non ricambia il poeta, che per questo amore non corrisposto si strugge: il cuore "arde" e "si spezza" e contro di lei "schermirsi è vano", tanto che tiranneggia il cuore dell'uomo ed esercita nei suoi confronti una sorta di "usura". In cambio delle sue attenzioni Arnaut non accetterebbe né ricchezze né potere, neppure l'Impero di Roma o diventare papa, ma i suoi sforzi sono vani e ciò è indicato dalle iperboli del congedo, in cui l'autore si paragona a uno che raccoglie il vento, va a caccia della lepre in groppa a un lento bue e nuota controcorrente (tutte cose ai limiti del possibile).
- Il tema della donna dura e insensibile che non ricambia il poeta influenzerà molto Dante, specie nelle "Rime petrose" in cui si ispirerà in modo dichiarato proprio ad Arnaut (nella canzone Così nel mio parlar voglio esser aspro vi sono alcuni riferimenti a questo testo, poiché la donna Petra colpisce metaforicamente Dante con le armi dell'amore e lui non può schermirsi: " Non trovo scudo ch’ella non mi spezzi / né loco che dal suo viso m’asconda", vv. 14-15; ► VAI AL TESTO). Il v. 142 di Purg., XXVI ("Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan") è una citazione del v. 43 di questa canzone ("Ieu sui Arnautz qu'amas l'aura"), che tra l'altro costituisce la "firma" del trovatore occitanico sul componimento.