Ludovico Ariosto
La fuga di Angelica (terza parte)
(Orlando furioso, I, 59-81)
Mentre Angelica è alle prese con Sacripante per indurlo ad aiutarla a uscire sana e salva dalla foresta, sopraggiunge inaspettato un cavaliere armato di tutto punto con cui il re circasso si scontra in un duello: l'uomo ha la peggio e poco dopo apprenderà con suo scorno che si trattava di una fanciulla, Bradamante che va in cerca dell'amato Ruggiero (è questa la sua prima apparizione nel poema). Il primo canto del "Furioso" si chiude con un ulteriore colpo di scena, poiché sulla scena si presenta dapprima Baiardo, il destriero di Rinaldo anch'esso in fuga, e poi Rinaldo stesso, che sarà impegnato nell'ennesimo duello con Sacripante.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso
59
Così dice egli; e mentre s’apparecchia al dolce assalto, un gran rumor che suona dal vicin bosco gl’intruona l’orecchia, sì che mal grado l’impresa abbandona: e si pon l’elmo (ch’avea usanza vecchia di portar sempre armata la persona), viene al destriero e gli ripon la briglia, rimonta in sella e la sua lancia piglia. 60 Ecco pel bosco un cavallier venire, il cui sembiante è d’uom gagliardo e fiero: candido come nieve è il suo vestire, un bianco pennoncello ha per cimiero. Re Sacripante, che non può patire che quel con l’importuno suo sentiero gli abbia interrotto il gran piacer ch’avea, con vista il guarda disdegnosa e rea. 61 Come è più appresso, lo sfida a battaglia; che crede ben fargli votar l’arcione. Quel che di lui non stimo già che vaglia un grano meno, e ne fa paragone, l’orgogliose minacce a mezzo taglia, sprona a un tempo, e la lancia in resta pone. Sacripante ritorna con tempesta, e corronsi a ferir testa per testa. 62 Non si vanno i leoni o i tori in salto a dar di petto, ad accozzar sì crudi, sì come i duo guerrieri al fiero assalto, che parimente si passar li scudi. Fe’ lo scontro tremar dal basso all’alto l’erbose valli insino ai poggi ignudi; e ben giovò che fur buoni e perfetti gli osberghi sì, che lor salvaro i petti. 63 Già non fero i cavalli un correr torto, anzi cozzaro a guisa di montoni: quel del guerrier pagan morì di corto, ch’era vivendo in numero de’ buoni: quell’altro cadde ancor, ma fu risorto tosto ch’al fianco si sentì gli sproni. Quel del re saracin restò disteso adosso al suo signor con tutto il peso. 64 L’incognito campion che restò ritto, e vide l’altro col cavallo in terra, stimando avere assai di quel conflitto, non si curò di rinovar la guerra; ma dove per la selva è il camin dritto, correndo a tutta briglia si disserra; e prima che di briga esca il pagano, un miglio o poco meno è già lontano. 65 Qual istordito e stupido aratore, poi ch’è passato il fulmine, si leva di là dove l’altissimo fragore appresso ai morti buoi steso l’aveva; che mira senza fronde e senza onore il pin che di lontan veder soleva: tal si levò il pagano a piè rimaso, Angelica presente al duro caso. 66 Sospira e geme, non perché l’annoi che piede o braccio s’abbi rotto o mosso, ma per vergogna sola, onde a’ dì suoi né pria né dopo il viso ebbe sì rosso: e più, ch’oltre il cader, sua donna poi fu che gli tolse il gran peso d’adosso. Muto restava, mi cred’io, se quella non gli rendea la voce e la favella. 67 «Deh! (diss’ella) signor, non vi rincresca! che del cader non è la colpa vostra, ma del cavallo, a cui riposo ed esca meglio si convenia che nuova giostra. Né perciò quel guerrier sua gloria accresca che d’esser stato il perditor dimostra: così, per quel ch’io me ne sappia, stimo, quando a lasciare il campo è stato primo.» 68 Mentre costei conforta il Saracino, ecco col corno e con la tasca al fianco, galoppando venir sopra un ronzino un messagger che parea afflitto e stanco; che come a Sacripante fu vicino, gli domandò se con un scudo bianco e con un bianco pennoncello in testa vide un guerrier passar per la foresta. 69 Rispose Sacripante: «Come vedi, m’ha qui abbattuto, e se ne parte or ora; e perch’io sappia chi m’ha messo a piedi, fa che per nome io lo conosca ancora.» Ed egli a lui: «Di quel che tu mi chiedi io ti satisfarò senza dimora: tu dei saper che ti levò di sella l’alto valor d’una gentil donzella. 70 Ella è gagliarda ed è più bella molto; né il suo famoso nome anco t’ascondo: fu Bradamante quella che t’ha tolto quanto onor mai tu guadagnasti al mondo.» Poi ch’ebbe così detto, a freno sciolto il Saracin lasciò poco giocondo, che non sa che si dica o che si faccia, tutto avvampato di vergogna in faccia. 71 Poi che gran pezzo al caso intervenuto ebbe pensato invano, e finalmente si trovò da una femina abbattuto, che pensandovi più, più dolor sente; montò l’altro destrier, tacito e muto: e senza far parola, chetamente tolse Angelica in groppa, e differilla a più lieto uso, a stanza più tranquilla. 72 Non furo iti due miglia, che sonare odon la selva che li cinge intorno, con tal rumore e strepito, che pare che triemi la foresta d’ogn’intorno; e poco dopo un gran destrier n’appare, d’oro guernito e riccamente adorno, che salta macchie e rivi, ed a fracasso arbori mena e ciò che vieta il passo. 73 «Se l’intricati rami e l’aer fosco, (disse la donna) agli occhi non contende, Baiardo è quel destrier ch’in mezzo il bosco con tal rumor la chiusa via si fende. Questo è certo Baiardo, io ‘l riconosco: deh, come ben nostro bisogno intende! ch’un sol ronzin per dui saria mal atto, e ne viene egli a satisfarci ratto.» 74 Smonta il Circasso ed al destrier s’accosta, e si pensava dar di mano al freno. Colle groppe il destrier gli fa risposta, che fu presto al girar come un baleno; ma non arriva dove i calci apposta: misero il cavallier se giungea a pieno! che nei calci tal possa avea il cavallo, ch’avria spezzato un monte di metallo. 75 Indi va mansueto alla donzella, con umile sembiante e gesto umano, come intorno al padrone il can saltella, che sia duo giorni o tre stato lontano. Baiardo ancora avea memoria d’ella, ch’in Albracca il servia già di sua mano nel tempo che da lei tanto era amato Rinaldo, allor crudele, allor ingrato. 76 Con la sinistra man prende la briglia, con l’altra tocca e palpa il collo e ‘l petto: quel destrier, ch’avea ingegno a maraviglia, a lei, come un agnel, si fa suggetto. Intanto Sacripante il tempo piglia: monta Baiardo e l’urta e lo tien stretto. Del ronzin disgravato la donzella lascia la groppa, e si ripone in sella. 77 Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira venir sonando d’arme un gran pedone. Tutta s’avvampa di dispetto e d’ira, che conosce il figliuol del duca Amone. Più che sua vita l’ama egli e desira; l’odia e fugge ella più che gru falcone. Già fu ch’esso odiò lei più che la morte; ella amò lui: or han cangiato sorte. 78 E questo hanno causato due fontane che di diverso effetto hanno liquore, ambe in Ardenna, e non sono lontane: d’amoroso disio l’una empie il core; chi bee de l’altra, senza amor rimane, e volge tutto in ghiaccio il primo ardore. Rinaldo gustò d’una, e amor lo strugge; Angelica de l’altra, e l’odia e fugge. 79 Quel liquor di secreto venen misto, che muta in odio l’amorosa cura, fa che la donna che Rinaldo ha visto, nei sereni occhi subito s’oscura; e con voce tremante e viso tristo supplica Sacripante e lo scongiura che quel guerrier più appresso non attenda, ma ch’insieme con lei la fuga prenda. 80 «Son dunque (disse il Saracino), sono dunque in sì poco credito con vui, che mi stimiate inutile e non buono da potervi difender da costui? Le battaglie d’Albracca già vi sono di mente uscite, e la notte ch’io fui per la salute vostra, solo e nudo, contra Agricane e tutto il campo, scudo?» 81 Non risponde ella, e non sa che si faccia, perché Rinaldo ormai l’è troppo appresso, che da lontan al Saracin minaccia, come vide il cavallo e conobbe esso, e riconobbe l’angelica faccia che l’amoroso incendio in cor gli ha messo. Quel che seguì tra questi duo superbi vo’ che per l’altro canto si riserbi. |
Così parla Sacripante; e mentre si prepara a sedurre Angelica, un gran rumore che strepita dal bosco vicino gli rintrona le orecchie, sicché abbandona l'impresa suo malgrado: indossa l'elmo (infatti aveva l'antica abitudine di essere sempre armato), raggiunge il cavallo e lo imbriglia, rimonta in sella e impugna la lancia. Ecco che un cavaliere attraversa il bosco, con l'aspetto di un uomo feroce e coraggioso: la sua armatura è bianca come la neve, per cimiero ha un pennacchio bianco. Re Sacripante, che non può sopportare che quello col suo arrivo improvviso gli abbia interrotto il piacere intrapreso, lo fissa con sguardo sdegnato e iroso. Appena si avvicina lo sfida a duello, convinto di disarcionarlo facilmente. Quell'altro, che credo abbia lo stesso suo valore e lo dimostra, tronca a metà le orgogliose minacce di Sacripante e, al tempo stesso, sprona e mette la lancia in resta. Sacripante corre a sua volta come il vento e vanno a cozzare l'uno contro l'altro. Né i leoni né i tori saltano per scontrarsi nel petto così feroci, come i due guerrieri in quel fiero assalto in cui si trapassarono entrambi gli scudi. Lo scontro fece tremare dal basso in alto le valli erbose, sino alle colline aride; e meno male che le corazze erano di buona fattura, cosicché salvarono i loro petti. I cavalli non fecero un cammino obliquo, ma cozzarono come due montoni: quello di Sacripante morì all'istante, pur essendo da vivo uno dei migliori destrieri: l'altro cadde a sua volta, ma si rialzò appena sentì gli sproni nel fianco. Quello del re saraceno rimase a terra addosso al suo padrone, con tutto il peso. Il vincitore sconosciuto che restò in piedi, appena vide l'altro a terra col cavallo, pensando di essere ormai padrone del campo, non pensò a rinnovare lo scontro; ma correndo a briglia sciolta nel bosco, dove il sentiero è dritto, si allontana; e prima che Sacripante si sia liberato, è già lontano poco meno di un miglio. Come un contadino stordito e fuori di sé, dopo che è caduto un fulmine, si alza dal punto in cui il grande fragore l'aveva fatto cadere insieme ai buoi morti, mentre osserva il pino che di solito vedeva da lontano ormai senza fronde e senza bellezza, così il pagano rimasto appiedato si alzò, alla presenza di Angelica che aveva visto la sua sconfitta. Sospira e si lamenta, non perché gli dia fastidio che si sia rotto o slogato un piede o un braccio, ma solo per la vergogna, non avendo mai avuto né prima né dopo in vita sua il viso così rosso: inoltre, oltre al fatto di essere caduto, era stata la donna a togliergli di dosso il peso del cavallo. Sarebbe rimasto in silenzio, almeno credo, se Angelica non gli avesse ridato la voce. La donna disse: «Orsù, signore, non vi dispiaccia, poiché non è colpa vostra se siete caduto, ma del cavallo, cui servivano riposo e biada anziché un nuovo scontro. Quindi quel guerriero non deve darsi vanto, poiché in realtà è lui a uscire sconfitto: così infatti io credo, dal momento che è stato il primo a lasciare il campo». Mentre Angelica conforta il saraceno, ecco giungere al galoppo sopra un ronzino, con un corno e con la bisaccia al fianco, un messaggero che sembrava molto stanco; e appena fu vicino a Sacripante, gli chiese se avesse visto passare per la foresta un guerriero con uno scudo bianco e un pennacchio bianco in testa. Sacripante rispose: «Come vedi mi ha abbattuto qui, e se ne è appena andato; e fammi sapere chi mi ha appiedato, dimmi il suo nome». E il messaggero disse: «Io ti risponderò subito quel che mi chiedi: tu devi sapere che a sbalzarti di sella è stata una nobile fanciulla di gran valore. Lei è coraggiosa e anche più bella; non ti nascondo neppure il suo nome famoso: è Bradamante quella che ti ha tolto tutto l'onore da te guadagnato nella tua vita». Dopo aver detto così, andò via a spron battuto e lasciò lì il saraceno poco felice, che non sa cosa dire o fare e avvampa tutto di vergogna in viso. Dopo aver pensato invano per un bel pezzo a quanto gli era successo, e realizzato alla fine che era stato vinto da una donna, e quanto più ci pensa, più sente dolore; montò l'altro cavallo, silenzioso: e senza dire una parola, fece salire Angelica in groppa e la portò via da lì, verso un luogo più tranquillo dove stare. Non avevano percorso due miglia quando sentirono risuonare la foresta che li attornia con un tale rumore e strepito che sembra che tutto tremi nelle vicinanze; e poco dopo appare un gran destriero, bardato in oro e riccamente adornato, che salta cespugli e ruscelli, e con gran fracasso porta via gli alberi e tutto ciò che ostacola il suo cammino. «Se i rami intricati e l'aria scura (disse Angelica) non ingannano i miei occhi, è Baiardo quel destriero che con tale rumore si apre la strada in mezzo al bosco. Questo è certo Baiardo, io lo riconosco: oh, come capisce le nostre necessità! Infatti un solo cavallo per entrambi sarebbe inadatto, ed egli viene veloce a darci una mano». Il Circasso smonta e si avvicina al cavallo, e pensava di prendere il freno in mano. Il destriero gli risponde con la groppa, rapido a voltarsi in un baleno; ma i calci che sferra non giungono al bersaglio: povero Sacripante, se fosse stato colpito! infatti il cavallo nei calci aveva una tale forza che avrebbe spezzato una montagna di metallo. Poi se ne va mansueto da Angelica, con aspetto umile e atteggiamento umano, come il cane saltella intorno al padrone che ne è stato lontano due o tre giorni. Baiardo si ricordava ancora di lei, quando ad Albraca gli dava da mangiare con le sue mani, nel tempo in cui lei amava Rinaldo che, invece, era crudele e ingrato verso di lei. Prende la briglia con la mano sinistra, con l'altra tocca e accarezza il collo e il petto: quel destriero, che aveva un meraviglioso ingegno, si fa guidare da lei come un agnellino. Intanto Sacripante coglie il momento favorevole: monta Baiardo e lo sferza e lo tiene stretto. La fanciulla lascia la groppa del suo cavallo, ora privo del peso di Sacripante, e si rimette in sella. Poi, volgendo lo sguardo a caso, vede venire un guerriero a piedi che fa risuonare le armi. Avvampa tutta d'odio e d'ira, poiché conosce il figlio del duca Amone [Rinaldo]. Lui la ama e la desidera più della sua vita; le lo odia e lo rifugge più di quanto la gru faccia col falcone. Un tempo era lui ad odiare lei più della morte, mentre lei lo amava: ora hanno rovesciato i ruoli. E questa cosa è stata causata da due fontane la cui acqua produce un effetto opposto, entrambe poste nelle Ardenne e non lontane l'una dall'altra: una riempie il cuore di desiderio amoroso, mentre chi beve l'altra rimane senza amore e trasforma in ghiaccio il precedente ardore. Rinaldo aveva bevuto dalla prima e amore lo strugge; Angelica aveva bevuto dall'altra e lo odia e lo sfugge. Quel liquido, misto a un segreto veleno, che muta l'amore in odio, fa sì che la donna, che ha visto Rinaldo, si oscura subito nei suoi occhi; e con voce tremante e viso rabbuiato supplica Sacripante e lo scongiura di non aspettare che quel guerriero si avvicini di più, ma che fugga insieme a lei. Il saraceno disse: «Godo dunque di così poco credito presso di voi, che mi stimate inutile e incapace di difendervi da costui? Già avete dimenticato le battaglie di Albraca, e la notte in cui io fui il solo scudo alla vostra salvezza, solo e disarmato contro Agricane e tutti i suoi uomini?» Lei non risponde e non sa cosa fare, perché Rinaldo ormai le è troppo vicino, e da lontano minaccia il saraceno, non appena ha visto il cavallo e riconosciuto l'uomo, e dopo aver riconosciuto il volto angelico che gli ha incendiato il cuore d'amore. Ma quello che accadde tra questi cavalieri così superbi lo racconterò nel canto seguente. |
Interpretazione complessiva
- Il passo conclude il canto I del poema e mostra il re circasso Sacripante alle prese con Angelica, la donna di cui è innamorato e che ha incontrato fortuitamente nella radura in cui lei stava riposando (► TESTO: La fuga di Angelica/2): l'uomo è determinato a tentare di sedurla, quando è interrotto dall'arrivo di un cavaliere vestito di bianco che gli provoca irritazione e che lui sfida a duello credendo di vincere facilmente, invece viene disarcionato e il suo cavallo è addirittura ucciso. È la prima apparizione nell'opera di Bradamante, la sorella di Rinaldo che va in cerca dell'amato Ruggiero e che si rivela subito una guerriera valorosa, come dimostrerà poi in più di un'occasione; la sua apparizione improvvisa è poi seguita da quella del messaggero che la cerca, il quale rivela a Sacripante che a vincerlo in duello è stata una donna (è comprensibile la vergogna del saraceno nell'apprendere questo, per di più di fronte all'amata Angelica che ha assistito alla sconfitta). È interessante l'atteggiamento di quest'ultima, poiché si affretta a consolare Sacripante dello scorno subìto dando la colpa al cavallo, parole frutto del calcolo in quanto la donna ha bisogno dell'aiuto del saraceno per uscire dalla foresta ed è per questo che nel passo precedente gli ha rivolto parole melliflue. Il finale del canto è molto concitato e mostra l'irrompere sulla scena di vari personaggi senza preavviso, secondo uno schema narrativo che è caratteristico di questo e altri episodi del poema.
- Alla fine dell'episodio Angelica e Sacripante ritrovano Baiardo, il prodigioso cavallo di Rinaldo che il paladino insegue vanamente dall'inizio del canto (gli era sfuggito di mano "per strano caso" e in quell'occasione aveva già incontrato la donna; ► TESTO: La fuga di Angelica/1). Il saraceno tenta di prendere il destriero, ma questi lo scalcia e manca poco che lo uccida, data la sua forza terribile: è l'ennesima brutta figura che il circasso deve sostenere in presenza di Angelica, la quale invece ammansisce Baiardo che si ricorda di lei quando lo aveva nutrito ad Albraca, episodio che si rifà all'Orlando innamorato (Orlando lo aveva sottratto ad Agricane dopo averlo ucciso in duello, che a sua volta ne era venuto fortunosamente in possesso, poi il cavallo era stato affidato ad Angelica; ► TESTO: Il duello di Orlando e Agricane). Baiardo, cavallo fatato e di intelligenza umana, riconosce Angelica e diventa un agnellino nelle sue mani, quindi consente a Sacripante di montarlo e i due possono allontanarsi: più avanti (II.20-22) ci verrà spiegato che l'animale era sfuggito a Rinaldo non per caso, ma per condurlo dalla donna che lui amava e che aveva seguito sin da quando lei aveva lasciato la tenda di Namo di Baviera, anche se poi Ferraù e Sacripante avevano creato impaccio. Rinaldo comparirà tuttavia poco tempo dopo, ancora innamorato di Angelica e ben deciso a riprendersi il destriero, chiudendo idealmente il cerchio del canto.
- L'autore ricorda il fatto che Rinaldo ama Angelica e che lei, invece, lo odia in quanto tempo prima i due hanno bevuto rispettivamente alla fonte dell'amore e del disamore nelle Ardenne, episodio che ancora una volta si rifà all'Innamorato (II.XV, mentre in precedenza era avvenuto il contrario e quindi era Ranaldo ad odiare la fanciulla). Questi continui riferimenti al poema di Boiardo sono tutt'altro che casuali e rientrano nei codici narrativi dei poemi cavallereschi, poiché i lettori conoscevano bene le storie dei paladini e chi affrontava la materia epica doveva confrontarsi con la tradizione precedente, sia pure innovandola in modo originale come fa Ariosto. Allo stesso modo Sacripante, di fronte alle preghiere di Angelica affinché la faccia fuggire da Rinaldo, risponde piccato che lui è ben capace di difenderla e ricorda l'episodio in cui affrontò Agricane ad Albraca, la città asiatica dove lei era assediata dal re dei Tartari che voleva sposarla ad ogni costo (Inn., I.XI). Il canto si conclude con Sacripante e Rinaldo in procinto di affrontarsi nell'ennesimo duello, narrazione che però rimane "sospesa" e rimandata al canto successivo, secondo una tecnica narrativa spesso utilizzata da Ariosto nel poema (lo stesso avviene, ad es., nell'episodio di Cloridano e Medoro; ► VAI AL TESTO). Per la cronaca, lo scontro sarà vinto da Rinaldo, che poi sarà distolto da un demone inviato da un negromante e tornerà a Parigi dopo essersi ripreso Baiardo.