Dante Alighieri
«Così nel mio parlar voglio esser aspro»
(Rime, 46)
È la canzone che conclude il ciclo delle cosiddette "Rime petrose", quattro componimenti dedicati da Dante a una donna "Petra" descritta come dura e crudele, che non ricambia l'amore del poeta e lo tratta duramente: siamo agli antipodi dell'esperienza poetica dello Stilnovo e l'autore sperimenta un linguaggio e uno stile difficili e oscuri, che trovano il proprio modello nel "trobar clus" dei provenzali e in particolare di Arnaut Daniel. Questo testo contiene un'esplicita dichiarazione di poetica e accanto a un lessico ricercato e prezioso e alle "rimas caras" di Arnaut troviamo anche la descrizione di un amore "violento", con desideri quasi "sadici" da parte dell'autore.
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
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Così nel mio parlar voglio esser aspro
com’è ne li atti questa bella petra, la quale ognora impetra maggior durezza e più natura cruda, e veste sua persona d’un diaspro tal che per lui, o perch’ella s’arretra, non esce di faretra saetta che già mai la colga ignuda; ed ella ancide, e non val ch’om si chiuda né si dilunghi da’ colpi mortali, che, com’avesser ali, giungono altrui e spezzan ciascun’arme: sì ch’io non so da lei né posso atarme. Non trovo scudo ch’ella non mi spezzi né loco che dal suo viso m’asconda: ché, come fior di fronda, così de la mia mente tien la cima. Cotanto del mio mal par che si prezzi quanto legno di mar che non lieva onda; e ’l peso che m’affonda è tal che non potrebbe adequar rima. Ahi angosciosa e dispietata lima che sordamente la mia vita scemi, perché non ti ritemi sì di rodermi il core a scorza a scorza com’io di dire altrui chi ti dà forza? Che più mi triema il cor qualora io penso di lei in parte ov’altri li occhi induca, per tema non traluca lo mio penser di fuor sì che si scopra, ch’io non fo de la morte, che ogni senso co li denti d’Amor già mi manduca: ciò è che ‘l pensier bruca la lor vertù sì che n’allenta l’opra. E’ m’ha percosso in terra, e stammi sopra con quella spada ond’elli ancise Dido, Amore, a cui io grido merzé chiamando, e umilmente il priego: ed el d’ogni merzé par messo al niego. Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida la debole mia vita, esto perverso, che disteso a riverso mi tiene in terra d’ogni guizzo stanco: allor mi surgon ne la mente strida; e ‘l sangue, ch’è per le vene disperso, fuggendo corre verso lo cor, che ‘l chiama; ond’io rimango bianco. Elli mi fiede sotto il braccio manco sì forte che ‘l dolor nel cor rimbalza: allor dico: "S’elli alza un’altra volta, Morte m’avrà chiuso prima che ‘l colpo sia disceso giuso". Così vedess’io lui fender per mezzo lo core a la crudele che ‘l mio squatra; poi non mi sarebb’atra la morte, ov’io per sua bellezza corro: ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo questa scherana micidiale e latra. Omè, perché non latra per me, com’io per lei, nel caldo borro? ché tosto griderei: "Io vi soccorro"; e fare’l volentier, sì come quelli che nei biondi capelli ch’Amor per consumarmi increspa e dora metterei mano, e piacere’le allora. S’io avessi le belle trecce prese, che fatte son per me scudiscio e ferza, pigliandole anzi terza, con esse passerei vespero e squille: e non sarei pietoso né cortese, anzi farei com’orso quando scherza; e se Amor me ne sferza, io mi vendicherei di più di mille. Ancor ne li occhi, ond’escon le faville che m’infiammano il cor, ch’io porto anciso, guarderei presso e fiso, per vendicar lo fuggir che mi face; e poi le renderei con amor pace. Canzon, vattene dritto a quella donna che m’ha ferito il core e che m’invola quello ond’io ho più gola, e dàlle per lo cor d’una saetta, ché bell’onor s’acquista in far vendetta. |
Nelle mie parole voglio essere aspro come lo è nei suoi gesti questa bella Petra, la quale racchiude in sé una sempre maggiore durezza e una natura più crudele, e riveste il suo corpo di un diaspro [pietra durissima] tale che, a causa sua o del fatto che lei arretra, non esce mai dalla mia faretra una freccia che la colpisca nel vivo; e lei invece uccide, e non serve che uno si protegga o cerchi di schivare i suoi colpi mortali, che, come avessero le ali, giungono a segno e spezzano qualunque armatura: cosicché io non so e non posso difendermi da lei.
Non trovo uno scudo che lei non mi spezzi, né un rifugio che mi nasconda dal suo sguardo: infatti, come un fiore sta in cima al ramo, così lei sta in cima alla mia mente. Sembra preoccuparsi delle mie sofferenze tanto quanto una nave [si preoccupa] di un mare che non solleva un'onda; e il peso che mi affonda è tale che nessuna rima lo potrebbe esprimere in modo adeguato. Ahimè, spietata e angosciosa lima che consumi silenziosamente la mia vita, perché non hai timore di rodermi il cuore a poco a poco, come io [ho timore] di dire il nome della donna che ti dà forza? Infatti mi trema maggiormente il cuore quando penso a lei in un luogo dove altri possono vedermi, nel timore che traspaia all'esterno il mio pensiero così che si scopra, più di quanto non tema della morte, che già mi divora ogni senso coi denti di Amore: infatti la loro potenza diminuisce il pensiero e ne indebolisce l'opera. E Amore mi ha gettato a terra e mi sovrasta con quella spada con cui uccise Didone, Amore, al quale io chiedo urlando pietà, e lo prego umilmente: ma lui sembra voler negare qualunque pietà. Egli alza ogni tanto la mano e sfida la mia debole vita, questo malvagio, che mi tiene steso a terra incapace di qualunque gesto: allora nascono grida nella mia mente; e il sangue, che scorre nelle vene, fuggendo si raccoglie al cuore, che lo chiama; dunque io rimango pallido. Egli mi colpisce sotto il braccio sinistro [al cuore] così forte che il dolore rimbalza nel cuore: allora dico: "Se egli alza la mano un'altra volta, la morte mi avrà finito prima che il colpo arrivi a segno". Ah, se potessi vedere lui che trafigge a metà il cuore di quella donna crudele che fa a pezzi il mio; poi non temerei la morte, dove io corro per la sua bellezza: infatti questa assassina malvagia e letale colpisce tanto nel sole quanto nel buio. Ahimè, perché non urla per me, come io urlo per lei, nel caldo torrente [della passione]? Infatti io griderei subito: "Vengo a salvarvi"; e lo farei volentieri, e metterei le mani nei biondi capelli che Amore, per consumarmi, increspa e colora d'oro, e allora le piacerei. Se io prendessi le belle trecce che per me son diventate uno scudiscio e una sferza, prendendole prima delle nove del mattino. trascorrerei con esse il pomeriggio e la sera: e non sarei pietoso, né cortese, anzi farei come l'orso quando gioca [sarei violento]; e se Amore mi sferza con esse, io mi vendicherei più di mille volte. Guarderei anche da vicino e fisso negli occhi da cui escono le fiamme che mi bruciano il cuore, che ormai è morto, per vendicarmi del fatto che lei fugge da me; e poi le renderei amore e pace. Canzone, va' direttamente da quella donna che mi ha ferito il cuore e che mi sottrae quello che mi fa più gola, e colpiscila al cuore con una saetta, poiché nel vendicarsi si ottiene un bell'onore. |
Interpretazione complessiva
- Metro: canzone formata da sei stanze di tredici versi ciascuna (endecasillabi e settenari), con schema della rima ABbCABbCCDdEE; congedo di sei versi, con schema identico alla sirma (CDdEE). Rima siciliana ai vv. 40, 44-45 ("sui", "nui", "altrui"). Lo stile ricerca appositamente sonorità dure, specialmente la lettera "z" solitamente evitata nelle rime stilnoviste (v. 4, "durezza"; v. 12, "spezzan"; v. 16, "spezzi", ecc.), oppure nessi gutturali come "tr" (v. 2, "petra"; v. 3, "impetra"; v. 6, "arretra", ecc.). C'è la presenza di alcune rime difficili, le rimas caras della tradizione trobadorica, come aspro/diaspro (vv. 1, 5), scorza/forza (vv. 25-26), rimbalza/alza (vv. 49-50), e di un lessico ricercato e prezioso, con vocaboli rari come "impetra" ("racchiude", v. 3), "diaspro" ("pietra durissima", v. 5), "adequar" ("esprimere in modo adeguato", v. 21), "scherana" ("assassina", v. 58).
- Il testo fa parte di un gruppo di rime, le cosiddette "Petrose" (due canzoni e due sestine) dedicate a una donna dura e crudele, indicata appunto col senhal Petra, che disdegna il poeta e non gli si concede procurandogli sofferenza: qui Dante esprime una dichiarazione di poetica affermando di voler ricercare uno stile adeguato all'asprezza della donna, che infatti viene descritta in modo molto diverso dalla donna-angelo dello Stilnovo e verso la quale il poeta prova rabbia e rancore, esprimendo persino un desiderio sadico di vendetta nell'infliggere all'amata lo stesso dolore patito a causa sua (vv. 66 ss., dove l'autore immagina che le "belle trecce" di Petra, che sono state uno scudiscio che lo ha fustigato, vengano da lui violentemente afferrate). Di derivazione stilnovistica è la descrizione dell'amore che infligge sofferenza e colpisce il poeta con le sue armi (vv. 1 ss., dove la donna è vista come una guerriera implacabile che non viene raggiunta da alcuna freccia e a sua volta spezza l'armatura di Dante; vv. 40 ss., in cui è l'Amore a gettare a terra il poeta e a minacciarlo con una spada), mentre di tradizione trobadorica è il ritegno del poeta che non rivela il nome dell'amata (v. 26), al contrario di lei che non ha timore di ferirlo. L'immagine finale della canzone che dovrà trafiggere il cuore di Petra con una freccia è ancora stilnovista ed ha un precedente, tra gli altri, in Cavalcanti (► TESTO: Voi che per li occhi mi passaste 'l core).
- Nonostante alcuni richiami formali, la canzone si allontana decisamente dalla poesia stilnovista in quanto descrive un amore fisico e sensuale, soffermandosi anzi sul desiderio frustrato dell'amante che si inasprisce per il rifiuto della donna e si accende ancor più di passione, fantasticando propositi di vendetta: già all'inizio la schermaglia amorosa è presentata come una battaglia fisica tra l'uomo e la donna, in cui quest'ultima è protetta da uno scudo di "diaspro" (sorta di pietra durissima descritta dai lapidari medievali, che rendeva invulnerabile chi la cingeva purché fosse casto) e non può essere colta "ignuda", mentre Dante soffre in un "caldo borro", in un torrente della passione che ricorda anche l'abisso infernale, e dagli occhi di lei escono fiamme che incendiano il suo cuore. L'immagine "sadica" del poeta che sogna di afferrare i capelli biondi di Petra e di comportarsi con lei "com'orso quando scherza" è una rivalsa per le sofferenze subite, ma anche la descrizione di un contatto fisico tra i due che, seppure solo immaginato, è lontanissimo dalle descrizioni spiritualizzate delle poesie dello Stilnovo (il congedo ricorda infine che la donna sottrae al poeta ciò che più gli fa "gola", ovvero il suo amore ma anche, probabilmente, la gioia del suo corpo).
- I vv. 45-47 fanno riferimento alla credenza medievale secondo cui il pallore del volto sarebbe dovuto al fatto che il cuore, in presenza di un forte turbamento, richiama il sangue a sé, teoria che si ricollega a quella degli "spiriti vitali" largamente presente anche in Cavalcanti (► TESTO: Il primo incontro con Beatrice).