Letteratura italiana
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Giovanni Boccaccio


L'amore di Florio e Biancifiore
(Filocolo, II, 4)

È l'inizio della vicenda amorosa al centro dell'opera, con l'innamoramento dei due giovani protagonisti ad opera di Cupido, inviato dalla madre Venere al palazzo del re Felice allo scopo di far nascere la passione: "galeotto" è il libro "Ars amatoria" di Ovidio, nella cui lettura sono intenti i due ragazzi e che spinge Florio prima a guardare Biancifiore con occhi diversi, notando la sua accresciuta bellezza, poi ad abbracciarla e baciarla ricambiato da lei (è fin troppo evidente l'imitazione dantesca della vicenda di Paolo e Francesca). I gesti amorosi della coppia sono spiati dal precettore Racheio, che decide di non intervenire subito ma di accertarsi della reale natura del loro sentimento.

► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio








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Taciti e soli lasciò Amore i due novelli amanti, i quali riguardando l’un l’altro fiso, Florio primieramente chiuse il libro [1], e disse: «Deh, che nuova bellezza t’è egli cresciuta, o Biancifiore da poco in qua, che tu mi piaci tanto? Tu non mi solevi tanto piacere; ma ora gli occhi miei non possono saziarsi di riguardarti!». Biancifiore rispose:
«Io non so, se non che di te poss’io dire che in me sia avvenuto il simigliante. Credo che la virtù de’ santi versi, che noi divotamente leggiamo, abbia accese le nostre menti di nuovo fuoco, e adoperato in noi quello già veggiamo che in altrui adoperarono [2]». «Veramente - disse Florio - io credo che come tu di’ sia, però che tu sola sopra tutte le cose del mondo mi piaci ». «Certo tu non piaci meno a me che io a te - rispose Biancifiore». E così stando in questi ragionamenti co’ libri serrati avanti, Racheio [3], che per dare a’ cari scolari dottrina andava, giunse nella camera e loro gravemente riprendendo [4], cominciò a dire: «Questa che novità è, che io veggio i vostri libri davanti a voi chiusi? Ov’è fuggita la sollecitudine del vostro studio?». Florio e Biancifiore, tornati i candidi visi come vermiglie rose per vergogna della non usata riprensione [5], apersero i libri; ma gli occhi loro più disiderosi dell’effetto che della cagione [6], torti, si volgeano verso le disiate bellezze, e la loro lingua, che apertamente narrare solea i mostrati versi, balbuziendo andava errando [7]. Ma Racheio, pieno di sottile avvedimento, veggendo i loro atti, incontanente conobbe il nuovo fuoco acceso ne’ loro cuori, la qual cosa assai gli dispiacque; ma più ferma esperienza della verità volle vedere, prima che alcuna parola ne movesse ad alcuno altro, sovente sé celando in quelle parti nelle quali egli potesse lor vedere sanza essere da essi veduto. E manifestamente conoscea, come da loro partitosi, incontanente chiusi i libri, abbracciandosi si porgeano semplici baci, ma più avanti non procedeano, però che la novella età, in che erano, non conoscea i nascosi diletti. [8] E già il venereo fuoco gli avea sì accesi, che tardi la freddezza di Diana li avrebbe potuti rattiepidare.



[1]
L'Ars amatoria di Ovidio.



[2] E provocato in noi ciò che vediamo provocare negli altri.

[3] Il precettore dei due ragazzi.
[4] E rimproverandoli aspramente.
[5] Del rimprovero cui non erano abituati. [6] Desiderando più guardarsi che leggere il libro.

[7] Balbettando sbagliava.




[8] Dal momento che la loro giovane età ignorava ancora i diletti amorosi.


Interpretazione complessiva

  • I due protagonisti del romanzo sono Florio, figlio del re saraceno di Spagna Felice, e Biancifiore, figlia di una donna cristiana morta nel darla alla luce e che l'ha affidata alle cure del sovrano, venendo infine allevata insieme a Florio come se fossero due fratelli. L'innamoramento tra i due segna l'inizio delle peripezie dell'opera, poiché il re Felice tenta di contrastare la relazione (addirittura facendo "tentare" Florio da due donzelle, senza esito) e poi vende Biancifiore a dei pirati, spingendo il figlio a intraprendere un viaggio avventuroso per cercarla (la "fatica d'amore" che dà titolo all'opera, Filocolo, che è anche il nome assunto da Florio durante la ricerca). La trama, ricca di intermezzi narrativi secondari, riprende lo schema classico del romanzo tardo-antico, concludendosi con la tipica agnitio che rivela le origini nobili di Biancifiore e consente le nozze dei due protagonisti.
  • L'intera scena presenta ovviamente dei voluti riferimenti all'episodio dantesco di Inf., V (► TESTO: Paolo e Francesca), a cominciare dalla circostanza della lettura di un libro da parte dei due ignari fanciulli: qui si tratta dell'Ars amatoria di Ovidio e l'effetto è simile a quello del romanzo di Lancillotto e Ginevra sui due personaggi infernali, poiché Florio e Biancifiore si guardano e scoprono di "piacersi" assai più di prima, quindi chiudono il libro (che tuttavia leggono per studio e non "per diletto") e si scambiano tenere effusioni, subendo poi i duri rimproveri del loro precettore. Naturalmente l'ispirazione del passo boccaccesco è molto diversa, in quanto non vi è la minima condanna morale (anzi, ad essere messo in una luce negativa è Racheio, che agisce in modo subdolo spiando i due amanti per poi riferire tutto a Felice) e la vicenda amorosa avrà un lieto fine, col matrimonio dei due giovani e la conversione al Cristianesimo da parte di Florio.
  • Interessante l'accenno finale del passo alla dea Diana, della quale si dice che ben difficilmente avrebbe potuto intiepidire il "venereo fuoco" acceso dalla freccia di Cupido: la contrapposizione tra le due dee (Diana, dea della caccia e soprattutto della castità, Venere della bellezza e dell'amore) era già presente nella Caccia di Diana e tornerà nel Ninfale fiesolano, in cui la ninfa Mensola, devota al culto di Diana, si innamorerà del pastore Africo e sarà poi punita dalla dea. L'immagine del dio Cupido che si introduce di nascosto nel palazzo di Felice per fare innamorare i due giovani riprende vari passi della letteratura latina, a cominciare dal libro IV dell'Eneide in cui il dio trafigge con la freccia amorosa la regina Didone.


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