Francesco Petrarca
«Chiare, fresche et dolci acque»
(Canzoniere, 126)
È la canzone più celebre della raccolta e una delle liriche più note della poesia italiana delle Origini e della nostra letteratura in assoluto: il testo propone una rievocazione di un incontro tra Petrarca e Laura sulle rive del fiume Sorga, nei pressi di Valchiusa, dove la donna era solita fare il bagno e dove il poeta la ammirava estasiato, nella cornice di un "locus amoenus" di derivazione classica e stilnovista; Petrarca sente prossima la propria morte e si augura come estrema consolazione di poter essere sepolto in quel luogo, sperando che Laura giunga sulla sua tomba e pianga per lui invocando il perdono di Dio per i suoi peccati. Nonostante la presenza di numerosi motivi della tradizione poetica cortese, la canzone propone in realtà una situazione decisamente classica (incluso il particolare della donna che si bagna nel fiume, più simile a una ninfa boschereccia che non a una "donna-angelo") e incline all'espressione di un amore sensuale, molto lontano dalla spiritualizzazione dello Stilnovo e dei poeti precedenti. Conforme a questa novità è anche la descrizione di Laura come donna crudele che non ricambia il poeta, qualificando l'amore di Petrarca come infelice e senza speranza.
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere
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Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir’ mi rimembra) a lei di fare al bel fiancho colonna; herba et fior’ che la gonna leggiadra ricoverse co l’angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse: date udïenzia insieme a le dolenti mie parole extreme. S’egli è pur mio destino, e ’l cielo in ciò s’adopra, ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda, qualche gratia il meschino corpo fra voi ricopra, e torni l’alma al proprio albergo ignuda. La morte fia men cruda se questa spene porto a quel dubbioso passo: ché lo spirito lasso non poria mai in più riposato porto né in più tranquilla fossa fuggir la carne travagliata et l’ossa. Tempo verrà anchor forse ch’a l’usato soggiorno torni la fera bella et mansüeta, et là ’v’ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disïosa et lieta, cercandomi: et, o pieta!, già terra in fra le pietre vedendo, Amor l’inspiri in guisa che sospiri sì dolcemente che mercé m’impetre, et faccia forza al cielo, asciugandosi gli occhi col bel velo. Da’ be’ rami scendea (dolce ne la memoria) una pioggia di fior’ sovra ’l suo grembo; et ella si sedea humile in tanta gloria, coverta già de l’amoroso nembo. Qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde, ch’oro forbito et perle eran quel dì a vederle; qual si posava in terra, et qual su l’onde; qual con un vago errore girando parea dir: Qui regna Amore. Quante volte diss’io allor pien di spavento: Costei per fermo nacque in paradiso. Così carco d’oblio il divin portamento e ’l volto e le parole e ’l dolce riso m’aveano, et sì diviso da l’imagine vera, ch’i’ dicea sospirando: Qui come venn’io, o quando?; credendo esser in ciel, non là dov’era. Da indi in qua mi piace questa herba sì, ch’altrove non ò pace. Se tu avessi ornamenti quant’ài voglia, poresti arditamente uscir del boscho, et gir in fra la gente. |
O acque limpide, fresche e dolci, dove colei che sola sembra a me una donna bagnò le belle membra; o nobile ramo, dove a lei piacque (e lo ricordo tra i sospiri) appoggiare il bel fianco come a una colonna; o erba e fiori che la sua gonna leggiadra ricoprì col suo bellissimo seno; o aria sacra, pura, dove l'Amore mi colpì il cuore attraverso i begli occhi: date tutti insieme ascolto alle ultime mie parole addolorate.
Se è davvero il mio destino, e il cielo si adopera per questo, che l'Amore chiuda i miei occhi [mi uccida] tra le lacrime, una qualche grazia ricopra il mio misero corpo tra di voi [possa essere sepolto in questo luogo] e l'anima ritorni nuda alla sua sede [in cielo]. La morte sarà meno crudele se conservo questa speranza in quel momento dubbioso: infatti il mio spirito affranto non potrebbe lasciare la carne afflitta e le ossa in un porto più sereno, né in una fossa più tranquilla [di questo posto]. Forse ci sarà un tempo in cui la belva bella e mansueta [Laura] tornerà in questo luogo a lei noto, e, cercandomi, volgerà la vista desiderosa e lieta in quel punto dove mi vide quel giorno benedetto: e (oh pietà!) vedendo che sono diventato ormai terra tra le pietre [vedendo la mia tomba], possa Amore ispirarla in modo tale che sospiri con tanta dolcezza da ottenere per me il perdono [di Dio], e forzi il cielo [intercedendo per me] asciugandosi gli occhi col bel velo. Dai bei rami scendeva una pioggia di fiori sul suo grembo (lo ricordo con dolcezza); e lei sedeva umile in tanta gloria, già coperta da quella nuvola amorosa. Un fiore cadeva sul lembo della sua veste, un altro sulle trecce bionde, che quel giorno a vederle sembravano oro zecchino e perle; un altro si posava a terra, un altro sull'acqua del fiume; un altro, girando con un bel volteggio, sembrava dire: «Questo è il regno di Amore». Quante volte allora, pieno di paura, io dissi: «Questa donna è certo nata in paradiso». Il suo portamento divino, il volto, le parole e il dolce sorriso mi avevano riempito a tal punto di oblio e a tal punto separato dalla realtà, che io dicevo sospirando: «Come e quando io sono venuto qui?»; e credevo di essere in cielo, non lì dov'ero. Da quel momento, quest'erba mi piace così tanto che non trovo pace in nessun altro posto. O canzone, se tu fossi adornata secondo i tuoi desideri, potresti con coraggio uscire dal bosco e andare tra la gente. |
Interpretazione complessiva
- Metro: canzone formata da cinque stanze di tredici versi ciascuna (endecasillabi e settenari), con schema della rima abCabCcdeeDfF e un congedo il cui schema riprende gli ultimi tre versi della sirma (DfF). La lingua presenta numerosi latinismi, consueti nello stile petrarchesco, tra cui "et" (vv. 1, 7, 26 ecc.), "herba" (v. 7), "extreme" (v. 14), "gratia" (v. 17), "humile" (v. 44); alcune forme sono proprie della grafia del latino medievale, come "fiancho" (v. 6), "anchor" (v. 27), "boscho" (v. 68). Il lessico non presenta termini ricercati o preziosi, conformemente a tutta la lirica petrarchesca, e lo stile è piuttosto fluido e musicale, anche grazie alla prevalenza di versi settenari (contrariamente alla tradizione della poesia lirica e al modello della canzone dantesca).
- Il testo rappresenta la rievocazione da parte del poeta di un incontro con Laura sulle rive del Sorga, il fiume che scorre nei pressi di Valchiusa descritto in molte altre liriche della raccolta e dove la donna era solita fare il bagno: gli elementi del paesaggio circostante formano un locus amoenus di derivazione classica e stilnovistica, in cui Laura viene descritta con alcuni moduli tipici della "donna-angelo" (le trecce bionde, l'aspetto e il portamento divino...), ma anche come oggetto di un amore terreno e sensuale che è molto distante dalla tradizione precedente e si rifà, piuttosto, alla visione propria del mondo classico, in modo simile alla canzone Nel dolce tempo de la prima etade (23) in cui Laura viene spiata dall'autore mentre fa il bagno nuda in una fonte (forse proprio il Sorga) e, irritata per gli sguardi indiscreti, gli getta acqua sul viso (Petrarca riprende qui il mito classico di Diana e Atteone, mentre Laura viene descritta come una ninfa boschereccia, molto lontana dallo stereotipo della donna cantata dagli stilnovisti). La donna viene anche mostrata nella sua crudeltà verso il poeta di cui respinge gli inviti all'amore, col definirla "fera bella et mansüeta" (v. 29) e augurandosi che possa impietosirsi di lui dopo la morte, con un riferimento forse alla Petra delle Petrose di Dante.
- La canzone si fonda tutta sulla contrapposizione tra il passato e la memoria del precedente incontro con Laura e il presente, in cui Petrarca si sente prossimo alla morte per le sofferenze amorose e desidera essere sepolto in quel luogo che ama: all'inizio si rivolge agli elementi del paesaggio (le acque del fiume, il ramo, l'erba, i fiori, l'aria) pregandoli di ascoltare il suo lamento amoroso, quindi esprime il desiderio che Laura torni lì e pianga sulla sua tomba, invocando per lui il perdono divino, nella consapevolezza che il suo amore è frutto del peccato e da condannare sul piano morale. L'immagine sarà ripresa e rovesciata da T. Tasso nel libro VII della Gerusalemme liberata, quando Erminia, ospitata dai pastori, si augurerà che l'amato Tancredi possa capitare sulla sua tomba posta in quel luogo idilliaco e piangere per lei, cosa che non ha fatto in vita ignorando il suo amore (► TESTO: Erminia tra i pastori).
- Il ricordo di Laura sulle rive del Sorga è una descrizione idilliaca e ricca di immagini tratte dalla tradizione classica, in cui Laura sembra più una divinità pagana che non la "donna-angelo" di ispirazione stilnovista: la donna siede morbidamente sull'erba con la "gonna / leggiadra", mentre dai rami degli alberi scende una pioggia di fiori simile a un "amoroso nembo" che si posano su di lei e sugli elementi del paesaggio con un leggiadro volteggiare, con una ripresa di immagini della mitologia classica (il dio Amore, la simbologia dei petali...) che, a differenza dei poeti precedenti, sono del tutto sganciate da qualunque spiritualizzazione, fanno da sfondo a un amore terreno e dalle implicazioni sensuali inequivocabili (al v. 9 l'"angelico seno" è proprio il seno di Laura appoggiato all'erba, per cui la donna è mostrata nella sua nudità e con la bellezza seducente del suo giovane corpo). La scena sarà ripresa, pur con alcune varianti, da Poliziano nelle Stanze (I, 37 ss.), quando Iulio durante una battuta di caccia incontra una ninfa di cui si innamora per l'azione di Cupido (► TESTO: Iulio e Simonetta).
- Il congedo riprende e rovescia quello della canzone precedente nella raccolta (Se 'l pensier che mi strugge, 125), in cui Petrarca osservava che la lirica era "rozza" e le conveniva rimanere nei boschi, con implicita ammissione della povertà dei propri mezzi poetici (si trattava di un topos letterario e retorico).