Guido Cavalcanti
«Chi è questa che vèn»
Rime, 4
Sonetto tra i più celebri di Cavalcanti, in cui la lode della bellezza della donna amata si accompagna alla dichiarazione di impotenza da parte del poeta nel descriverla appieno, data la natura angelica e trascendente della figura femminile e la sproporzione rispetto alle limitate capacità umane dello scrittore. La bellezza della donna-angelo è tale che ogni uomo al solo guardarla rimane ammutolito, mentre la sua virtù più importante è l'umiltà, che la rende paradossalmente superiore a tutte le altre donne. L'amore diventa esperienza religiosa e quasi mistica, anticipando tra l'altro il tema dell'ineffabilità della bellezza che sarà ripreso soprattutto da Dante, tanto nella "Vita nuova" quanto (su un piano più elevato) nel "Paradiso".
► PERCORSO: La lirica amorosa
► PERCORSO: La lirica amorosa
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Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira,
che fa tremar di chiaritate l’âre e mena seco Amor, sì che parlare null’omo pote, ma ciascun sospira? O Deo, che sembra quando li occhi gira! dical’ Amor, ch’i’ nol savria contare: cotanto d’umiltà donna mi pare, ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ira. Non si poria contar la sua piagenza, ch’a le’ s’inchin’ ogni gentil vertute, e la beltate per sua dea la mostra. Non fu sì alta già la mente nostra e non si pose ’n noi tanta salute, che propiamente n’aviàn canoscenza. |
Chi è questa donna che arriva, che ognuno ammira e che fa tremare l'aria di luminosità, e che porta con sé l'amore, cosicché nessuno può parlare ma ognuno sospira?
O Dio, che cosa sembra quando muove gli occhi! Lo dica l'amore, poiché io non lo saprei descrivere: mi sembra una donna talmente umile che ogni altra donna, al suo confronto, io la definisco malvagia. La sua bellezza non si potrebbe raccontare, poiché a lei si inchina ogni virtù nobile e la bellezza la indica come sua dea. La nostra mente non è mai stata così profonda e in noi non c'è mai stata tanta perfezione, che possiamo avere una conoscenza compiuta di questa bellezza. |
Interpretazione complessiva
- Metro: sonetto con schema della rima regolare (ABBA, ABBA, CDE, EDC), senza la presenza di rime siciliane. La lingua presenta alcuni latinismi ("âre", v. 2; "seco", v. 3) e provenzalismi ("piagenza", v. 9; "canoscenza", v. 14), con uno stile alquanto semplice e conforme al trobar leu proprio dello Stilnovo.
- Il sonetto celebra la bellezza della donna amata, tuttavia arricchisce il tema con riferimenti religiosi e scritturali secondo il modello di Guinizelli e, soprattutto, sviluppa il motivo dell'ineffabilità della bellezza femminile, espressione della grazia divina e dunque impossibile da cogliere per la mente umana e da esprimere per i limitati mezzi umani del poeta: fin dall'inizio l'atmosfera del componimento è mistica, con l'incipit che ricorda il Cantico dei Cantici (8,5: quae est ista quae ascendit de deserto / deliciis affluens et nixa super dilectum suum?, "Chi è costei che sale dal deserto, / piena di delizie e appoggiata al suo diletto"?), mentre la donna è circonfusa di luce come un'aureola, che fa ammutolire tutti coloro che la guardano; essa è umile più di qualunque altra donna e ciò la rende paradossalmente superiore a tutte, mentre la bellezza la indica come propria dea, come creatura sovrumana. L'incapacità di cogliere pienamente la bellezza della donna è di tipo filosofico, poiché la mente umana sembra inadeguata a penetrare sino in fondo a un mistero che proviene dalla grazia divina, perciò l'amore diventa un'esperienza affine al misticismo medievale, troppo profonda per essere espressa a parole. Alcuni studiosi hanno visto in questi versi dei riferimenti alla dottrina dell'averroismo, di cui forse Cavalcanti era seguace, mentre è noto che l'uomo fu dedito a studi filosofici e come tale anche rappresentato in altri testi letterari, per es. nel Decameron di Boccaccio (► TESTO: Guido Cavalcanti).
- Il motivo della bellezza "sovrumana" della donna e dell'incapacità poetica di esprimerla pienamente sarà ripreso anche da Dante, amico di Guido e suo compagno di scuola nell'ambito dello Stilnovo, sia in alcune rime della Vita nuova in cui all'apparire di Beatrice i presenti restano senza parole (► TESTO: Tanto gentile e tanto onesta pare), sia soprattutto nella poesia del Paradiso, in cui il tema dell'ineffabilità della bellezza di Beatrice e della visione divina sarà dominante in tutta la Cantica ed è largamente derivato dal modello di Cavalcanti.