Niccolò Machiavelli
I condottieri e la fortuna
(Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, III, 9)
L'autore affronta uno dei nodi della sua dottrina politica, ovvero la capacità che secondo lui deve avere il condottiero (e, in generale, chiunque abbia responsabilità di governo) nell'adattarsi al mutare delle circostanze per avere sempre una buona "fortuna": il tema era già stato affrontato nel cap. XXV del "Principe", in cui Machiavelli affermava che la fortuna (intesa come capriccio del caso) dominava non più di metà delle vicende umane e per tutto il resto era decisiva la virtù del monarca, citando quale esempio proprio papa Giulio II che ricorre anche in questo passo dei "Discorsi". Qui l'autore scopre il suo pensiero politico e afferma che le Repubbliche riescono a sopravvivere più a lungo dei principati, in quanto sono governate da uomini diversi che si succedono l'un l'altro e quindi con maggior facilità si possono cambiare le strategie, proprio come accadde a Roma durante la seconda guerra punica in cui dapprima Q. Fabio Massimo adottò una strategia attendista, poi Scipione promosse una linea più aggressiva. Così non seppe fare invece Pier Soderini, amico di Machiavelli, che trascinò nella sua rovina anche la Repubblica di Firenze.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli
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COME CONVIENE VARIARE CO' TEMPI VOLENDO SEMPRE AVERE BUONA FORTUNA.
Io ho considerato più volte come la cagione della trista e della buona fortuna degli uomini è riscontrare il modo del procedere suo con i tempi [1]: perché e’ si vede che gli uomini nelle opere loro procedono, alcuni con impeto, alcuni con rispetto e con cauzione. [2] E perché nell’uno e nell’altro di questi modi si passano e’ termini convenienti, non si potendo osservare la vera via, nell’uno e nell’altro si erra. Ma quello viene ad errare meno, ed avere la fortuna prospera, che riscontra, come ho detto, con il suo modo il tempo, e sempre mai si procede, secondo ti sforza la natura. [3] Ciascuno sa come Fabio Massimo [4] procedeva con lo esercito suo rispettivamente [5] e cautamente, discosto da ogni impeto e da ogni audacia romana, e la buona fortuna fece che questo suo modo riscontrò bene con i tempi. Perché, sendo venuto Annibale in Italia, giovane e con una fortuna fresca, ed avendo già rotto [6] il popolo romano due volte; ed essendo quella republica priva quasi della sua buona milizia, e sbigottita; non potette sortire migliore fortuna, che avere uno capitano il quale, con la sua tardità [7] e cauzione, tenessi a bada il nimico. Né ancora Fabio potette riscontrare tempi più convenienti a’ modi suoi: di che ne nacque che fu glorioso. E che Fabio facessi questo per natura, e non per elezione, si vide, che, volendo Scipione passare in Affrica con quegli eserciti per ultimare la guerra, Fabio la contradisse assai, come quello che non si poteva spiccare da’ suoi modi e dalla consuetudine sua; talché, se fusse stato a lui [8], Annibale sarebbe ancora in Italia; come quello che non si avvedeva che gli erano mutati i tempi, e che bisognava mutare modo di guerra. E se Fabio fusse stato re di Roma, poteva facilmente perdere quella guerra; perché non arebbe saputo variare, col procedere suo, secondo che variavono i tempi: ma essendo nato in una republica dove erano diversi cittadini e diversi umori, come la ebbe Fabio, che fu ottimo ne’ tempi debiti a sostenere la guerra, così ebbe poi Scipione, ne’ tempi atti a vincerla. [9] Quinci nasce che una republica ha maggiore vita, ed ha più lungamente buona fortuna, che uno principato; perché la può meglio accomodarsi alla diversità de’ temporali [10], per la diversità de’ cittadini che sono in quella, che non può uno principe. Perché un uomo che sia consueto a procedere in uno modo, non si muta mai, come è detto; e conviene di necessità che, quando e’ si mutano i tempi disformi a quel suo modo, che rovini. Piero Soderini [11], altre volte preallegato, procedeva in tutte le cose sue con umanità e pazienza. Prosperò egli e la sua patria, mentre che i tempi furono conformi al modo del procedere suo: ma come e’ vennero dipoi tempi dove e’ bisognava rompere la pazienza e la umiltà, non lo seppe fare; talché insieme con la sua patria rovinò. Papa Iulio II [12] procedette in tutto il tempo del suo pontificato con impeto e con furia; e perché gli tempi l’accompagnarono bene, gli riuscirono le sua imprese tutte. Ma se fossero venuti altri tempi che avessono ricerco [13] altro consiglio, di necessità rovinava; perché non arebbe mutato né modo né ordine nel maneggiarsi. E che noi non ci possiamo mutare, ne sono cagioni due cose: l’una, che noi non ci possiamo opporre a quello a che c'inclina la natura; l’altra, che, avendo uno con uno modo di procedere prosperato assai, non è possibile persuadergli che possa fare bene a procedere altrimenti: donde ne nasce che in uno uomo la fortuna varia, perché ella varia i tempi, ed elli non varia i modi. Nascene ancora le rovine delle cittadi, per non si variare gli ordini delle republiche co’ tempi; come lungamente di sopra discorremo: ma sono più tarde, perché le penono più a variare, perché bisogna che venghino tempi che commuovino tutta la republica, a che uno solo, col variare il modo del procedere, non basta. E perché noi abbiamo fatto menzione di Fabio Massimo che tenne a bada Annibale, mi pare da discorrere nel capitolo sequente, se uno capitano, volendo fare la giornata in ogni modo col nimico [14], può essere impedito, da quello, che non lo faccia. |
[1] È adattare il suo modo di agire alle circostanze. [2] Con prudenza e cautela. [3] A seconda di come tu sia spinto dalla tua indole. [4] Quinto Fabio Massimo fu uno dei condottieri romani durante la II guerra punica (218-202 a.C.). [5] Con prudenza. [6] Sconfitto, sbaragliato. [7] Con la sua tattica di temporeggiamento. [8] Se fosse dipeso da lui. [9] Mentre prima guidò lo Stato Fabio... poi lo guidò Scipione. [10] Può meglio adattarsi al variare delle circostanze. [11] Pier Soderini (1452-1522) fu Gonfaloniere a vita della Repubblica fiorentina, e Machiavelli fu suo amico e collaboratore. [12] Giulio II fu papa dal 1503 al 1513. [13] Che avessero richiesto. [14] Volendo combattere a ogni costo col nemico. |
Interpretazione complessiva
- Il passo riprende in modo abbastanza stretto il contenuto del cap. XXV del Principe, in cui l'autore discuteva del rapporto tra fortuna e virtù per concludere che la seconda (intesa come il caso) dominava solo la metà delle vicende umane e per tutto il resto il monarca doveva usare la sua "virtù" (► TESTO: Il principe e la fortuna): anche qui Machiavelli ribadisce che l'uomo di governo deve adattare la propria condotta politica e militare al mutare delle circostanze, agendo ora in maniera cauta ora in modo più audace, cosa difficile da ottenere in quanto ciascuno tende a comportarsi in base alla propria indole ed è problematico per chi è impetuoso essere prudente, e viceversa. Lo scrittore cita l'esempio del dittatore romano Q. Fabio Massimo, chiamato alla guida dello Stato durante la seconda guerra punica in seguito alla sconfitta del Lago Trasimeno (217 a.C.) e che adottò una tattica cauta che gli valse il soprannome di cunctator, "temporeggiatore" (Livio ne tratta ampiamente nei libri XXII-XXIV delle sue Storie); la linea di Fabio fu quella vincente date le circostanze di quel momento, ma quando venne il tempo di attaccare i Cartaginesi in Africa tale decisione fu assunta da Scipione, condottiero di diversa indole che fu dal primo duramente contestato nonostante quella fosse la cosa giusta da fare. L'esempio di Fabio Massimo e Scipione dà modo a Machiavelli di elogiare il modello repubblicano contro quello del principato, poiché in una Repubblica le cariche di governo passano di mano in mano ed è più facile che si succedano al potere uomini di tempra diversa che adottano comportamenti differenti a seconda delle circostanze, laddove un solo monarca ben difficilmente potrà cambiare modo di agire (come accadde ai due esempi moderni, Soderini e Giulio II, sia pure con esiti diversi). L'autore scopre il suo pensiero politico e accorda la sua preferenza al sistema repubblicano, cosa del resto comprensibile se si pensa che i Discorsi nacquero nell'ambiente filo-repubblicano degli Orti Oricellari.
- Machiavelli cita anche due esempi moderni per corroborare la sua tesi, ovvero Pier Soderini (il Gonfaloniere perpetuo della Repubblica di Firenze, di cui era stato collaboratore e amico nel periodo 1502-1512) e papa Giulio II, citato a più riprese anche nel Principe: il primo viene descritto come un uomo prudente e cauto sulla falsariga di Q. Fabio Massimo, cosa che gli permise di prosperare nei tempi adatti ma che causò la rovina sua e dello Stato quando le circostanze mutarono (nel 1512 i Medici rientrarono a Firenze e Soderini dovette andarsene); il secondo viene presentato come impetuoso e impulsivo, in grado peraltro a raggiungere molti suoi obiettivi, ma se la situazione fosse improvvisamente cambiata non avrebbe saputo cambiare condotta e sarebbe rovinato (la morte gli evitò di sperimentare questa eventualità). I due esempi sono solo in apparenza distanti, in quanto entrambi i personaggi erano di fatto a capo di uno Stato monarchico (il papa in quanto capo della Chiesa, Soderini come leader a vita della Repubblica e non soggetto a un avvicendamento), quindi il loro modello contrasta con quello repubblicano che ha in mente Machiavelli e che è molto più vicino a quello dell'antica Roma e, forse, allo Stato svizzero del primo Cinquecento.