Dante Alighieri
«Ne li occhi porta la mia donna Amore»
(Vita nuova, cap. XXI)
È una delle più classiche rime di "loda" di Dante a Beatrice, collocata subito dopo la canzone "Donne ch'avete intelletto d'amore" (cap. XIX) che inaugurava la fase delle "nove rime" e il sonetto "Amore e 'l cor gentil" (cap. XX) facente parte di una probabile tenzone poetica con Cavalcanti. L'autore, sulla scorta proprio di quanto affermato nel sonetto precedente, descrive non solo come Beatrice operi sui cuori nobili "svegliando" l'amore che vi dimora in potenza, ma anche su quelli non nobili suscitando comunque sentimenti nei suoi confronti.
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Vita nuova
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Vita nuova
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Poscia che trattai d’Amore ne la soprascritta rima [1], vennemi volontade di volere dire anche, in loda di questa gentilissima [2], parole, per le quali io mostrasse come per lei si sveglia questo Amore, e come non solamente si sveglia là ove dorme, ma là ove non è in potenzia [3], ella, mirabilemente operando, lo fa venire. E allora dissi questo sonetto, lo quale comincia: Ne li occhi porta.
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[1] Il sonetto del cap. XX.
[2] In lode di Beatrice. [3] Ma anche là dove esso non è in potenza, ovvero nei cuori non nobili. |
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Ne li occhi porta la mia donna Amore,
per che si fa gentil ciò ch’ella mira; ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira, e cui saluta fa tremar lo core, sì che, bassando il viso, tutto smore, e d’ogni suo difetto allor sospira: fugge dinanzi a lei superbia ed ira. Aiutatemi, donne, farle onore. Ogne dolcezza, ogne pensero umile nasce nel core a chi parlar la sente, ond’è laudato chi prima la vide. Quel ch’ella par quando un poco sorride, non si pò dicer né tenere a mente, sì è novo miracolo e gentile. |
La mia donna porta l'amore nei suoi occhi, per cui ciò che essa guarda diventa nobile; dove lei passa, ogni uomo si volta verso di lei e trema il cuore a colui al quale rivolge il suo saluto,
cosicché egli, abbassando lo sguardo, diventa pallido, e si rammarica di ogni suo difetto: davanti a lei svaniscono la superbia e l'ira. Aiutatemi, voi altre donne, ad onorarla. Nel cuore di chi la sente parlare nasce ogni dolcezza, ogni pensiero umile, per cui ottiene pregio chi l'ha vista per primo. L'aspetto che lei assume quando sorride un poco non si può dire né tenere a mente, a tal punto è una cosa prodigiosa, nuova e nobile. |
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Questo sonetto si ha tre parti: ne la prima dico sì come questa donna riduce questa potenzia in atto secondo la nobilissima parte de li suoi occhi; e ne la terza dico questo medesimo secondo la nobilissima parte de la sua bocca; e intra queste due parti è una particella, ch’è quasi domandatrice d’aiuto a la precedente parte e a la sequente, e comincia quivi: Aiutatemi, donne. La terza comincia quivi: Ogne dolcezza. La prima si divide in tre; che ne la prima parte dico sì come virtuosamente fae [4] gentile tutto ciò che vede, e questo è tanto a dire quanto inducere Amore in potenzia là ove non è; ne la seconda dico come reduce in atto Amore ne li cuori di tutti coloro cui [5] vede; ne la terza dico quello che poi virtuosamente adopera ne’ loro cuori. La seconda comincia quivi: ov’ella passa; la terza quivi: e cui saluta. Poscia quando dico: Aiutatemi, donne, do a intendere a cui la mia intenzione è di parlare [6], chiamando le donne che m’aiutino onorare costei. Poscia quando dico: Ogne dolcezza, dico quello medesimo che detto è ne la prima parte, secondo due atti de la sua bocca; l’uno de li quali è lo suo dolcissimo parlare, e l’altro lo suo mirabile riso; salvo che non dico di questo ultimo come adopera ne li cuori altrui, però che la memoria non puote ritenere lui né sua operazione.
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[4] Fa. [5] Che (oggetto). [6] A chi intendo parlare. |
Interpretazione complessiva
- Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDE, EDC, conforme agli standard stilnovisti. Al v. 4 "cui" è pronome relativo oggetto ("che"), secondo un uso ampiamente attestato in Dante e nei poeti delle Origini. Al v. 13 "dicer" è latinismo per "dire".
- La lirica riprende alcuni dei motivi classici dello Stilnovo, sia pure rielaborandoli alla luce della nuova poetica delle "nove rime" (la felicità del poeta risiede nella "loda" disinteressata, senza attendere alcun riconoscimento da parte della donna): anzitutto lo sguardo di Beatrice che è portatore di amore e la descrizione degli effetti che esso suscita negli uomini quando cammina per strada, per cui tutti tremano quando li saluta e rimpiangono i propri difetti, mentre superbia e ira svaniscono al suo apparire (► TESTO: Tanto gentile); poi la sua capacità di suscitare reazioni amorose anche nei cuori non nobili, inducendo all'umiltà e a pensieri virtuosi secondo lo schema stilnovista della donna "salutifera" (► TESTO: Io voglio del ver la mia donna laudare). È presente anche il tema tipicamente cavalcantiano dell'impossibilità per il poeta di descrivere la bellezza della donna (► TESTO: Chi è questa che vèn), ripreso e ampliato dallo stesso Dante nel celebre sonetto del cap. XXVI. Nel testo Dante si rivolge alle donne come il suo pubblico privilegiato, pregandole di aiutarlo ad onorare Beatrice in quanto, è implicito, esse hanno cacciato da sé ogni vizio (il motivo è presente anche in Cavalcanti e in Cino da Pistoia).