Franco Sacchetti
Dolcibene a Padova
(Trecentonovelle, CXVII)
Protagonista della novella è il giullare Dolcibene (personaggio ricorrente nell'opera di Sacchetti) che si trova a Padova alla corte di un aristocratico e vorrebbe andarsene per cambiare protettore, ma il suo signore gli impedisce con una beffa di lasciare la città. L'astuto giullare vi riuscirà comunque grazie a un accorto stratagemma, che ricorda su un piano più modesto le trovate di altri personaggi simili del "Decameron", il grande modello al quale Sacchetti si rifà costantemente.
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
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Messer Dolcibene, essendo nella città di Padova, e non volendo il Signore che si partisse, con una nuova e sottile astuzia al suo dispetto si parte.
Nella città di Padova con messer Francesco vecchio da Carrara si trovò messer Dolcibene, il quale a drieto [1] in piú novelle è stato raccontato, a una sua festa; ed essendo stato piú dí, e avendo aúto quella utilità che gli uomeni di corte, che traggono a’ signori, possono avere [2], e piú nulla sperando, pensò di voler mutare asgiere [3] e di partirsi, chiedendo commiato al signore. Il signore, veggendo che costui si volea partire, perché non vedea da potere piú trarre a sé [4], non lo licenziò; ed elli pur ritornando a domandar licenza, però che non avendo il bullettino [5] non potea uscire di Padova, il signore ordinò con quelli delle bullette gli facessino il bullettino, e a quelli delle porte avea ordinato non lo lasciassono andare, se elli medesimo, o suo famiglio [6], non dicesse loro. Messer Dolcibene, andando e’ co’ bullettini e con licenza, pervenuto alla porta per uscir fuori, niuna cosa gli valea. Ritornando in fine al signore e dicendogli: - Al nome del diavolo, non mi straziar piú, lasciamene andare -; dice il signore: - Va’, per me non ti tengo; e acciò che tu ’l creda bene, tu vedrai testeso [7] la prova. E chiamò messer Ugolino Scovrigni, e disse: - Sali a cavallo, e va’ con Dolcibene, e di’ a’ portinari lo lascino andare. A messer Dolcibene parve esser licenziato da dovero, e muovesi col detto messer Ugolino; e come furono alla porta, dice messer Ugolino: - Lasciate andare messer Dolcibene, e io ve lo dico per bocca del signore. Dissono i portinari: - Se il signore il dicesse qui in persona, noi non siamo per lasciarlo andare. Messer Ugolino strigne le spalle, e tornasi con messer Dolcibene al signore, e dice quello ch’e’ portinari hanno detto. E ’l signore mostra di adirarsi, e dice: - Dunque m’hanno i miei servi per cosí dappoco? per lo corpo e per lo sangue, che io scavezzerò loro le braccia su la colla. [8] Messer Dolcibene, che s’avvedea, dice al signore: - Deh, non facciamo tanti atti; tu fai fare tutto questo, e fa’ lo per istraziarmi; ma quando io mel porrò in cuore, io me n’andrò a tuo dispetto. [9] Disse il signore: - Se tu puo’ far cotesto, o che vieni per licenzia e per bullette? vattene ogni ora segnato e benedetto. Disse messer Dolcibene: - Vuo’ tu, s’io posso? Disse il signore: - Sí sí, va’ pur via. E messer Dolcibene si parte, e vassene a uno luogo s’uccideano li castroni e’ porci [10]; e toglie uno coltellaccio, e tutto quanto l’avviluppò nel sangue, e sale a cavallo, e portalo alla scoperta in alto, mostrando che con esso avesse fatto omicidio; e dà degli sproni, correndo verso la porta. La gente gridava: «Che è, che è?» E chi dicea: «Piglia»; e chi: «Pigliate»; e messer Dolcibene gridava: - Oimè lasciatemi andare, ch’io ho morto [11] il todesco Casalino. Come la gente udiva questo, chi a man giunte gli priega drieto, e chi in un modo, e chi in un altro, dicendo: - Dio ti dia grazia che tu scampi e che tu vada salvo. Giugnendo alla porta, i portinari si fanno incontro per pigliarlo e con le spade e con lance, e averebbonlo fatto; ma come udirono lui dire avere morto il tedesco Casalino, le lance e le spade di piatto si menavono [12], e davano maggiori colpi che poteano su la groppa al cavallo, gridando: «Piglia, piglia»; ogni cosa feciono, perché fuggisse bene; e cosí, uscendo fuori della porta a sproni battuti, s’andò con Dio. E acciò che questa novella sia meglio gustata, questo tedesco Casciolino fu il piú sgraziato padovano che mai fosse in Padova, e non era niuno, non che bene gli volesse, ma che non bramasse a lui venire ogni male. Era ricchissimo, e per questa disgrazia si partí di Padova con ciò ch’egli avea, e vennesene a Firenze, e comperò casa, e puosesi su la piazza di Santa Croce; e comperò il bel luogo da Rusciano, il quale è oggi di messer Antonio degli Alberti. E come in Padova non avea grazia in persona, in Firenze n’ebbe vie meno [13], e ivi si morí. Il signore di Padova, sentendo in che maniera messer Dolcibene se n’era andato, pensi ciascuno che piacer ne prese, non ch’elli, ma tutta Padova. E ’l tedesco Casalino era guardato da ciascuno con gran risa; ed elli n’aombrò [14] di questa novella per sí fatta maniera che quasi ne parea fatto piú tristo che prima. Messer Dolcibene, uscito di Padova, se n’andò ricercando i signori di Lombardia, e con questa novella guadagnò di molte robe, e ritornossi a Firenze con esse. E ritrovandosi fra’ rigattieri, poiché con esse ebbe fatto un pezzo la mostra, le recò a contanti [15]; e poi se n’andò a un suo luogo a Leccio in Valdimarina, e con quelli danari fece fare di be’ lavori. |
[1] Più indietro, in altre novelle. [2] Avendo ottenuto quei vantaggi che i giullari possono avere dai loro signori. [3] Cambiare aria (da aere). [4] Poiché non sapeva come trattenerlo. [5] Il documento che permetteva di uscire dalle porte cittadine. [6] Un suo servo. [7] Tra poco, immediatamente. [8] Romperò loro le braccia alla fune (usata per i tormenti). [9] Quando lo deciderò, me ne andrò anche senza il tuo permesso. [10] Una macelleria. [11] Ho ucciso. [12] Usavano le spade e le lance di piatto, per non ferire. [13] Ancor meno. [14] Si adirò. [15] Le vendette, ricavandone denaro contante. |
Interpretazione complessiva
- Dolcibene, uomo di corte e giullare protagonista di altre novelle dell'opera (una sorta di "ciclo" come quello di Calandrino nel Decameron), si distingue per la sua volgarità e astuzia, che gli permette sia di ordire beffe a danno del prossimo sia, come in questo caso, di escogitare stratagemmi per cavarsi d'impiccio: la sua figura è ispirata a quella di Dolcibene de' Tori, un giullare vissuto nel XIV sec. che venne considerato "re dei buffoni" d'Italia e di cui non si sa molto, tranne quanto ne racconta Sacchetti nel Trecentonovelle (qui riesce a raggirare il signore padovano dalla cui corte vorrebbe andarsene ma che non vuole dargli il permesso, fingendo di avere assassinato un uomo odiato da tutti ed essendo perciò aiutato a fuggire). Nella novella compaiono altri personaggi storici, tra cui Francesco il Vecchio da Carrara, che fu signore di Padova a metà del XIV sec. e fu anche amico di Petrarca, nonché Ugolino degli Scrovegni, altro nobile padovano che gravitava nella sua corte; il "todesco Casalino" ("Casciolino") potrebbe essere un usuraio ebreo proveniente dall'Europa Orientale, il che spiegherebbe l'odio dei Padovani nei suoi confronti (l'antisemitismo era assai diffuso nell'Europa del Medioevo).
- La figura del "giullare" era ancora discretamente diffusa nelle corti del Nord Italia del XIV sec., anche se ormai in declino e prossima a scomparire in età umanistica, quando le corti sarebbero state il centro di un mecenatismo culturale di livello superiore (► PERCORSO: La poesia comica). Dolcibene ricorda per la sua verve altri personaggi del Decameron di Boccaccio, anche se nel capolavoro del Trecento il giullare come personaggio non compare quasi mai, a eccezione di Martellino (II, 1) che è protagonista di una beffa sacrilega ai danni degli abitanti di Treviso, a causa della quale tuttavia rischia serie conseguenze.