Letteratura italiana
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Ludovico Ariosto


La morte di Isabella
(Orlando furioso, XXIX, 1-30)

Zerbino è stato brutalmente ucciso da Mandricardo nel tentativo vano di impedirgli di prendere Durindana, la spada che Orlando ha lasciato dopo aver perso il senno, e la sua morte ha gettato nello sconforto la fidanzata Isabella, che ha giurato a se stessa di serbarsi fedele alla sua memoria. La giovane giunge presso una chiesetta con la salma del guerriero e un eremita che le fa da scorta e qui incontra Rodomonte, disperato per il tradimento di Doralice: il saraceno si invaghisce follemente di Isabella e tenta di dissuaderla dal suo proposito di farsi monaca, uccidendo in seguito il religioso che è con lei e catturandola, ben deciso a farla sua nonostante tutto. La fanciulla, pur di mantenersi casta e non cedere alla violenza bieca del re africano, ricorrerà a un incredibile inganno e lo indurrà a ucciderla, dando prova di un sacrificio che viene elogiato dal poeta.

► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso


1
O degli uomini inferma e instabil mente!
come siàn presti a variar disegno!
Tutti i pensier mutamo facilmente,
più quei che nascon d'amoroso sdegno.
Io vidi dianzi il Saracin sì ardente
contra le donne, e passar tanto il segno,
che non che spegner l'odio, ma pensai
che non dovesse intiepidirlo mai.

2
Donne gentil, per quel ch'a biasmo vostro
parlò contra il dover, sì offeso sono,
che sin che col suo mal non gli dimostro
quanto abbia fatto error, non gli perdono.
Io farò sì con penna e con inchiostro,
ch'ognun vedrà che gli era utile e buono
aver taciuto, e mordersi anco poi
prima la lingua, che dir mal di voi.

3
Ma che parlò come ignorante e sciocco,
ve lo dimostra chiara esperienza.
Incontra tutte trasse fuor lo stocco
de l'ira, senza farvi differenza:
poi d'Issabella un sguardo sì l'ha tocco,
che subito gli fa mutar sentenza.
Già in cambio di quell'altra la disia,
l'ha vista a pena, e non sa ancor chi sia.

4
E come il nuovo amor lo punge e scalda,
muove alcune ragion di poco frutto,
per romper quella mente intera e salda
ch'ella avea fissa al Creator del tutto.
Ma l'eremita che l'è scudo e falda,
perché il casto pensier non sia distrutto,
con argumenti più validi e fermi,
quanto più può, le fa ripari e schermi.

5
Poi che l'empio pagan molto ha sofferto
con lunga noia quel monaco audace,
e che gli ha detto invan ch'al suo deserto
senza lei può tornar quando gli piace;
e che nuocer si vede a viso aperto,
e che seco non vuol triegua né pace:
la mano al mento con furor gli stese,
e tanto ne pelò, quanto ne prese.

6
E sì crebbe la furia, che nel collo
con man lo stringe a guisa di tanaglia;
e poi ch'una e due volte raggirollo,
da sé per l'aria e verso il mar lo scaglia.
Che n'avenisse, né dico né sollo:
varia fama è di lui, né si raguaglia.
Dice alcun che sì rotto a un sasso resta,
che 'l piè non si discerne da la testa;

7
ed altri, ch'a cadere andò nel mare,
ch'era più di tre miglia indi lontano,
e che morì per non saper notare,
fatti assai prieghi e orazioni invano;
altri, ch'un santo lo venne aiutare,
lo trasse al lito con visibil mano.
Di queste, qual si vuol, la vera sia:
di lui non parla più l'istoria mia.

8
Rodomonte crudel, poi che levato
s'ebbe da canto il garrulo eremita,
si ritornò con viso men turbato
verso la donna mesta e sbigottita;
e col parlar ch'è fra gli amanti usato,
dicea ch'era il suo core e la sua vita
e 'l suo conforto e la sua cara speme,
ed altri nomi tai che vanno insieme.

9
E si mostrò sì costumato allora,
che non le fece alcun segno di forza.
Il sembiante gentil che l'innamora,
l'usato orgoglio in lui spegne ed ammorza:
e ben che 'l frutto trar ne possa fuora,
passar non però vuole oltre a la scorza;
che non gli par che potesse esser buono,
quando da lei non lo accettasse in dono.

10
E così di disporre a poco a poco
a' suoi piaceri Issabella credea.
Ella, che in sì solingo e strano loco,
qual topo in piede al gatto si vedea,
vorria trovarsi inanzi in mezzo il fuoco;
e seco tuttavolta rivolgea
s'alcun partito, alcuna via fosse atta
a trarla quindi immaculata e intatta.

11
Fa ne l'animo suo proponimento
di darsi con sua man prima la morte,
che 'l barbaro crudel n'abbia il suo intento,
e che le sia cagion d'errar sì forte
contra quel cavallier ch'in braccio spento
l'avea crudele e dispietata sorte;
a cui fatto have col pensier devoto
de la sua castità perpetuo voto.

12
Crescer più sempre l'appetito cieco
vede del re pagan, né sa che farsi.
Ben sa che vuol venire all'atto bieco,
ove i contrasti suoi tutti fien scarsi.
Pur discorrendo molte cose seco,
il modo trovò al fin di ripararsi,
e di salvar la castità sua, come
io vi dirò, con lungo e chiaro nome.

13
Al brutto Saracin, che le venìa
già contra con parole e con effetti
privi di tutta quella cortesia
che mostrata le avea ne' primi detti:
«Se fate che con voi sicura io sia
del mio onor (disse) e ch'io non ne sospetti,
cosa all'incontro vi darò, che molto
più vi varrà, ch'avermi l'onor tolto.

14
Per un piacer di sì poco momento,
di che n'ha sì abondanza tutto 'l mondo,
non disprezzate un perpetuo contento,
un vero gaudio a nullo altro secondo.
Potrete tuttavia ritrovar cento
e mille donne di viso giocondo;
ma chi vi possa dar questo mio dono,
nessuno al mondo, o pochi altri ci sono.

15
Ho notizia d'un'erba, e l'ho veduta
venendo, e so dove trovarne appresso,
che bollita con elera e con ruta
ad un fuoco di legna di cipresso,
e fra mano innocenti indi premuta,
manda un liquor, che, chi si bagna d'esso
tre volte il corpo, in tal modo l'indura,
che dal ferro e dal fuoco l'assicura.

16
Io dico, se tre volte se n'immolla,
un mese invulnerabile si trova.
Oprar conviensi ogni mese l'ampolla;
che sua virtù più termine non giova.
Io so far l'acqua, ed oggi ancor farolla,
ed oggi ancor voi ne vedrete prova:
e vi può, s'io non fallo, esser più grata,
che d'aver tutta Europa oggi acquistata.

17
Da voi domando in guiderdon di questo,
che su la fede vostra mi giuriate
che né in detto né in opera molesto
mai più sarete alla mia castitate.»
Così dicendo, Rodomonte onesto
fe' ritornar; ch'in tanta voluntate
venne ch'inviolabil si facesse,
che più ch'ella non disse, le promesse:

18
e servaralle fin che vegga fatto
de la mirabil acqua esperienza;
e sforzerasse intanto a non fare atto,
a non far segno alcun di violenza.
Ma pensa poi di non tenere il patto,
perché non ha timor né riverenza
di Dio o di santi; e nel mancar di fede
tutta a lui la bugiarda Africa cede.

19
Ad Issabella il re d'Algier scongiuri
di non la molestar fe' più di mille,
pur ch'essa lavorar l'acqua procuri,
che far lo può qual fu già Cigno e Achille.
Ella per balze e per valloni oscuri
da le città lontana e da le ville
ricoglie di molte erbe; e il Saracino
non l'abandona, e l'è sempre vicino.

20
Poi ch'in più parti quant'era a bastanza
colson de l'erbe e con radici e senza,
tardi si ritornaro alla lor stanza;
dove quel paragon di continenza
tutta la notte spende, che l'avanza,
a bollir erbe con molta avertenza:
e a tutta l'opra e a tutti quei misteri
si trova ognor presente il re d'Algieri.

21
Che producendo quella notte in giuoco
con quelli pochi servi ch'eran seco,
sentia, per lo calor del vicin fuoco
ch'era rinchiuso in quello angusto speco,
tal sete, che bevendo or molto or poco,
duo baril votar pieni di greco,
ch'aveano tolto uno o duo giorni inanti
i suoi scudieri a certi viandanti.

22
Non era Rodomonte usato al vino,
perché la legge sua lo vieta e danna:
e poi che lo gustò, liquor divino
gli par, miglior che 'l nettare o la manna;
e riprendendo il rito saracino,
gran tazze e pieni fiaschi ne tracanna.
Fece il buon vino, ch'andò spesso intorno,
girare il capo a tutti come un torno.

23
La donna in questo mezzo la caldaia
dal fuoco tolse, ove quell'erbe cosse;
e disse a Rodomonte: «Acciò che paia
che mie parole al vento non ho mosse,
quella che 'l ver da la bugia dispaia,
e che può dotte far le genti grosse,
te ne farò l'esperienza ancora,
non ne l'altrui, ma nel mio corpo or ora.

24
Io voglio a far il saggio esser la prima
del felice liquor di virtù pieno,
acciò tu forse non facessi stima
che ci fosse mortifero veneno.
Di questo bagnerommi da la cima
del capo giù pel collo e per lo seno:
tu poi tua forza in me prova e tua spada,
se questo abbia vigor, se quella rada.»

25
Bagnossi, come disse, e lieta porse
all'incauto pagano il collo ignudo,
incauto, e vinto anco dal vino forse,
incontra a cui non vale elmo né scudo.
Quel uom bestial le prestò fede, e scorse
sì con la mano e sì col ferro crudo,
che del bel capo, già d'Amore albergo,
fe' tronco rimanere il petto e il tergo.
 
26
Quel fe' tre balzi; e funne udita chiara
voce, ch'uscendo nominò Zerbino,
per cui seguire ella trovò sì rara
via di fuggir di man del Saracino.
Alma, ch'avesti più la fede cara,
e 'l nome quasi ignoto e peregrino
al tempo nostro, de la castitade,
che la tua vita e la tua verde etade,

27
vattene in pace, alma beata e bella!
Così i miei versi avesson forza, come
ben m'affaticherei con tutta quella
arte che tanto il parlar orna e come,
perché mille e mill'anni e più, novella
sentisse il mondo del tuo chiaro nome.
Vattene in pace alla superna sede,
e lascia all'altre esempio di tua fede.

28
All'atto incomparabile e stupendo,
dal cielo il Creator giù gli occhi volse,
e disse: «Più di quella ti commendo,
la cui morte a Tarquinio il regno tolse;
e per questo una legge fare intendo
tra quelle mie, che mai tempo non sciolse,
la qual per le inviolabil'acque giuro
che non muterà seculo futuro.

29
Per l'avvenir vo' che ciascuna ch'aggia
il nome tuo, sia di sublime ingegno,
e sia bella, gentil, cortese e saggia,
e di vera onestade arrivi al segno:
onde materia agli scrittori caggia
di celebrare il nome inclito e degno;
tal che Parnasso, Pindo ed Elicone
sempre Issabella, Issabella risuone.»

30
Dio così disse, e fe' serena intorno
l'aria, e tranquillo il mar più che mai fusse.
Fe' l'alma casta al terzo ciel ritorno,
e in braccio al suo Zerbin si ricondusse.
Rimase in terra con vergogna e scorno
quel fier senza pietà nuovo Breusse;
che poi che 'l troppo vino ebbe digesto,
biasmò il suo errore, e ne restò funesto.


O mente degli uomini malcerta e instabile! come siamo tutti pronti a cambiare idea! Mutiamo fac
ilmente tutti i pensieri, specie quelli nati da una delusione amorosa. Io vidi poco fa il saraceno [Rodomonte] così sdegnato contro le donne, ed esagerare a tal punto che pensai che non solo non avrebbe mai estinto il suo odio, ma neppure l'avrebbe alleviato.




O nobili donne, sono così offeso per quell'uomo che ha parlato fuor di luogo per accusarvi, che non lo perdonerò finché non gli avrò dimostrato a suo danno quanto abbia sbagliato. Io farò in modo, con la penna e l'inchiostro, che ognuno veda che sarebbe stato meglio per lui tacere, e mordersi la lingua prima di dir male di voi.





Ma la vostra esperienza dimostra chiaramente che parlò da ignorante e da sciocco. Estrasse la spada dell'ira contro tutte voi, senza fare distinzioni: poi uno sguardo di Isabella lo ha talmente colpito che gli ha fatto cambiare idea in un istante. Già la desidera in cambio di quell'altra [Doralice], l'ha appena vista e nemmeno sa chi sia.





E appena il nuovo amore lo stimola e riscalda, esprime alcuni ragionamenti sciocchi per dissuadere quella mente integra e salda che lei aveva fissato in modo irremovibile al Creatore [decidendo di monacarsi]. Ma l'eremita che la sostiene e le fa da scudo, si adopera quanto più può con validi e solidi argomenti affinché i suoi casti pensieri non siano annullati.




Dopo che il malvagio pagano ha sopportato a lungo con molto fastidio quell'audace monaco, e dopo avergli detto invano che lui può tornarsene nel deserto quando vuole senza di lei, e vedendo che lo contrasta a viso aperto senza dargli un attimo di tregua, alla fine lo afferrò alla gola per la barba e ne strappò un gran numero di peli.




E la sua furia aumentò tanto che lo strinse al collo come una tenaglia; e dopo averlo fatto roteare in aria una e due volte, lo scagliò lontano verso il mare. Cosa gli sia successo non lo so e non posso dirlo: ci sono varie versioni e tutte diverse. Qualcuno dice che si sfracellò contro una roccia, tanto che non distingueva più la testa dai piedi;





altri dicono che andò a finire in mare a più di tre miglia di distanza, e che morì poiché non sapeva nuotare, dopo inutili preghiere e orazioni: altri che un santo venne in suo aiuto e lo trascinò a riva con una mano visibile. Una di queste è la versione giusta, ma la mia storia non parlerà più di lui.





Il crudele Rodomonte, dopo essersi liberato del loquace eremita, tornò con viso meno corrucciato alla donna triste e sbalordita; e con parole usate tra gli amanti le diceva che lei era il suo cuore e la sua vita, il suo conforto e la sua cara speranza, e diceva altre cose che si adattavano a queste.





E allora si mostrò tanto cortese che non fece alcun atto di violenza. L'aspetto gentile della donna lo fa innamorare e spegne in lui il consueto orgoglio: e anche se potrebbe ottenere subito il frutto, non vuole tuttavia passare attraverso la scorza [non vuole usare violenza]; non gli sembra che sia una cosa buona se non lo accetta in dono da lei.






E così credeva di potere indurre Isabella al suo piacere poco alla volta. Lei, che in quel luogo solitario e deserto si vedeva come il topo tra le grinfie del gatto, avrebbe voluto gettarsi nel fuoco; e si guardava intorno, per vedere se ci fosse un mezzo, una via adatta a portarla via di lì immacolata e intatta.



Nel suo animo si ripropone di uccidersi di sua mano prima che il crudele barbaro ottenga il suo intento [la violenti], e che la costringa a peccare contro la memoria di quel cavaliere [Zerbino] che era morto tra le sue braccia per una sorte crudele e spietata, al quale ha fatto voto perpetuo di castità nel suo pensiero.





Vede che il cieco desiderio amoroso del re pagano cresce sempre di più e non sa che fare. Sa bene che lui prima o poi compirà l'atto bestiale [le farà violenza], contro il quale lei non potrà certo opporsi. Rimuginando vari pensieri, alla fine trovò il modo di difendersi e di salvare la propria castità, come io vi narrerò, ottenendo una fama durevole e splendida.





Disse così al brutto saraceno, che già le veniva contro con parole e gesti privi di tutta quella cortesia che prima le aveva usato nei primi discorsi: «Se voi preserverete il mio onore e me ne lascerete sicura, in cambio vi darò una cosa che poi vi servirà assai più che l'avermi privata del mio onore.




Non disprezzate una felicità perpetua e una gioia superiore ad ogni altra, per un piacere di così poco valore di cui c'è abbondanza in tutto il mondo [il piacere sessuale]. Potrete sempre trovare cento e mille altre donne dal bel viso; ma nessuno al mondo, o pochi altri, vi può dare questo mio dono.





Io so di un'erba (e l'ho vista venendo qui e saprei trovarla nelle vicinanze) che se viene bollita con edera e ruta su un fuoco prodotto da legno di cipresso, e poi viene premuta da delle mani innocenti, produce un liquore che, se si bagna con esso tre volte il corpo, lo indurisce al punto che lo rende invulnerabile al ferro e al fuoco.





Io dico che se ci si bagna tre volte si diventa invulnerabili per un mese. Ogni mese bisogna aprire l'ampolla; infatti il potere non dura più a lungo. Io sono capace di produrre il liquore e lo farò oggi stesso, e voi potrete sperimentarlo: e se non sbaglio, sarà cosa per voi più gradita che aver conquistato tutta l'Europa.





Da voi domando come ricompensa questo, che mi giuriate sulla vostra fede che non infastidirete più la mia castità né a parole né coi fatti.» Così dicendo, Isabella fece calmare Rodomonte; infatti egli diventò così desideroso di diventare invincibile, che le promise più di quanto lei chiedesse:




e le serberà fede finché non sperimenterà l'acqua meravigliosa, e si sforzerà intanto di non compiere alcun gesto di violenza. Ma pensa tra sé di non mantenere la parola, perché è irriverente verso Dio e i santi; e in tutta l'Africa bugiarda non è secondo a nessuno nel mancare alle promesse.





Il re d'Algeri [Rodomonte] fece mille scongiuri ad Isabella di non molestarla più purché lei lavorasse per produrre il liquore, che può renderlo tale quale Cicno e Achille. Lei raccoglie molte erbe tra i dirupi e oscure valli lontano dalle città e dalle fattorie; e il saraceno non la lascia, le è sempre accanto.





Dopo aver raccolto a sufficienza in più luoghi erbe con le radici e senza di esse, tornarono tardi al loro alloggio; e qui quel modello di continenza [Isabella] trascorre tutto il tempo restante della notte a bollire erbe con molta accortezza: e il re d'Algeri è sempre presente durante tutta l'opera e tutti quei misteri.




Rodomonte, mentre vegliava quella notte coi pochi servi che aveva con sé, sentiva per il calore del fuoco vicino, chiuso in quella stretta stanza, una tale sete che svuotarono, bevendo ora molto ora poco,
due barili pieni di vino greco che uno o due giorni prima i suoi scudieri avevano sottratto a certi viaggiatori.





Rodomonte non era abituato al vino, perché la sua religione lo vieta e lo condanna: e dopo averlo assaggiato, gli sembrò un liquore divino, migliore che il nettare o la manna; e biasimando la fede islamica, ne tracannava grandi coppe e fiaschi pieni. Il buon vino, che girava spesso intorno ai bevitori, fece girare a sua volta la testa a tutti come un tornio.




La donna intanto tolse dal fuoco la pentola dove aveva cotto quelle erbe, e disse a Rodomonte: «Affinché non sembri che io abbia sparso parole al vento, io farò l'esperienza - quella che separa la verità dalla bugia e che può istruire le genti ignoranti - non sul corpo di un altro, ma sul mio.






Io voglio essere la prima a provare il meraviglioso liquore pieno di virtù, affinché tu non pensi che possa essere pieno di veleno mortale. Mi bagnerò con esso dalla punta della testa giù per il collo e il seno: poi tu proverai la tua forza e la tua spada contro di me, per vedere se il liquore ha potere e se la tua spada taglia.»




Si bagnò come aveva detto e porse lieta il collo nudo all'incauto pagano, forse anche ubriacato dal vino, contro cui non vale elmo né scudo. Quell'uomo bestiale le credette e abbatté su di lei la mano e il ferro crudo, in modo tale che le tagliò di netto la bella testa, già albergo d'amore, dal resto del tronco.





La testa fece tre balzi in terra e se ne udì chiaramente una voce che pronunciò il nome di Zerbino, per seguire il quale Isabella trovò un modo così singolare di sfuggire di mano al saraceno. O anima, che hai amato la fede e il nome della castità quasi ignoto e sconosciuto ai giorni nostri, più della tua vita e della tua giovinezza,




vattene in pace, anima beata e bella! Se solo i miei versi avessero forza, come mi sforzerei con tutta l'arte che orna e abbellisce le parole, affinché il mondo sentisse per più di mille anni il tuo splendido nome. Vattene in pace in paradiso, e lascia alle altre l'esempio della tua fede.






Il Creatore volse gli occhi giù dal cielo a quel gesto incomparabile e stupendo e disse: «Ti lodo più di quella [Lucrezia] la cui morte tolse il regno a Tarquinio; e per questo intendo fare una legge tra le mie, che il tempo non ha mai cancellato, per la quale giuro sulle acque inviolabili che il secolo futuro non cambierà.




Per l'avvenire voglio che ogni donna che avrà il tuo nome sia di ingegno sublime, e sia bella, nobile, cortese e saggia, e sia esempio di vera onestà: per cui gli scrittori avranno materia di celebrare il nome degno e illustre; tale che Parnaso, Pindo ed Elicona risuoneranno sempre del nome di Isabella, di Isabella.»




Dio disse così, e rasserenò l'aria intorno, e fece placare il mare più che mai. L'anima casta di Isabella tornò al terzo cielo, riunendosi fra le braccia del suo Zerbino. Invece quel novello Breus [personaggio dei romanzi bretoni], feroce e senza pietà, rimase in terra con vergogna e onta; e dopo aver smaltito il troppo vino bevuto, biasimò il suo errore e ne restò intristito.


Interpretazione complessiva

  • Il passo si colloca dopo che Rodomonte ha appreso del tradimento di Doralice, la sua fidanzata rapita da Mandricardo che si è concessa al suo rapitore (► TESTO: Mandricardo e Doralice), cosa che lo ha gettato in un profondo sconforto e lo ha spinto a pronunciare una dura invettiva contro tutte le donne, dicendo che esse sono volubili e facili all'adulterio e sono state create solo per il tormento dell'uomo (cfr. XXVII.117-121; dopo essere giunto in una locanda ascolta dall'oste la favola di Iocondo e Astolfo, riguardante l'infedeltà femminile). L'autore all'inizio del canto XXIX torna sulle parole del saraceno e le smentisce con forza, accusandolo di aver biasimato a torto tutte le donne e criticando lui stesso per essere non meno volubile di Doralice, poiché è fin troppo rapido a dimenticare la sua ex-fidanzata per innamorarsi di Isabella che nemmeno conosce e di cui non sa nulla. Discorso analogo aveva fatto Ariosto anche parlando di Olimpia e Bireno, affermando che i giovani innamorati fanno spesso promesse al vento e si dimostrano incostanti e infedeli verso le loro donne, proprio come Bireno che non esita ad abbandonare crudelmente Olimpia per essersi invaghito della giovane figlia di Cimosco (cfr. X.1-9; ► TESTO: L'abbandono di Olimpia).
  • Rodomonte viene presentato in questo episodio con una connotazione fortemente negativa e come un personaggio rozzo e bestiale, compendiando praticamente tutti i caratteri malvagi altrove attribuiti ai saraceni: fin dall'inizio è definito "empio pagan" (5.1), "Rodomonte crudel" (8.1), poi "brutto Saracin" (13.1); il suo appetito sessuale verso Isabella è "cieco" (12.1), mentre alla fine è detto "uom bestial (25.5) e "nuovo Breusse" (30.6), il personaggio dell'epica bretone esempio di crudeltà verso le donne. Promette a Isabella di rispettare la sua castità al solo scopo di indurla a produrre il liquore magico, già progettando di non mantenere la parola (non ha timor di Dio e, soprattutto, nessuno più di lui è mancatore di fede in tutta "la bugiarda Africa", con riferimento alla Punica fides attribuita ai Cartaginesi dai Romani); è irrispettoso sia verso la religione cristiana, irridendo il proposito di Isabella di farsi monaca e poi aggredendo brutalmente il povero eremita che tentava di difenderla, sia verso il suo proprio culto, poiché si ubriaca in spregio ai precetti coranici e li biasima, in quanto vietano il consumo di alcool (con qualche riferimento, forse, al Margutte del Morgante; ► TESTO: Incontro con Margutte). Soprattutto il suo comportamento è feroce nei confronti proprio di Isabella, disperata per la morte di Zerbino e verso la quale il guerriero non ha alcun rispetto, anzi ne è attratto fisicamente e vorrebbe farla sua ad ogni costo e si astiene inizialmente dal farle violenza solo per il gusto di sedurla e piegarla ai suoi desideri "con le buone" (proposito che non dura a lungo, poiché la donna capisce presto che lui "vuol venire all'atto bieco"). La violenza sessuale si configura come spregio di ogni regola cavalleresca e non casualmente un tale comportamento si riscontra presso un guerriero pagano, poiché i campioni di cortesia nel poema sono quasi esclusivamente i paladini cristiani (con la sola eccezione di Ruggiero, destinato comunque alla conversione).
  • Isabella ha visto morire il fidanzato Zerbino tra le sue braccia dopo che il giovane ha tentato senza successo di opporsi al feroce Mandricardo, deciso a impadronirsi della spada di Orlando a tradimento, e ha promesso in cuor suo di mantenersi casta in sua memoria e di consacrarsi a Dio, raggiungendo poi una chiesetta con la salma del cavaliere e accompagnata da un santo eremita: è qui che arriva casualmente Rodomonte, il quale (adirato per il tradimento di Doralice) è rapido a incapricciarsi della giovane cristiana e a decidere di sedurla ad ogni costo, insensibile alla sua vicenda umana e alla sua decisione di monacarsi. Il comportamento di Isabella è opposto a quello di Doralice, poiché la principessa di Granata si era concessa a Mandricardo suo rapitore dimostrando una certa superficialità, mentre la figlia del re di Galizia pur di mantenere la propria promessa arriva a farsi uccidere e sacrifica così la sua vita in nome della castità, valore (osserva con amara ironia Ariosto) quasi sconosciuto ai tempi moderni. Per riuscirvi ricorre a un inganno ben architettato, fa credere cioè all'ingenuo Rodomonte che lei è in grado di produrre un liquore capace di rendere chiunque invulnerabile, a patto che venga preparato da mani "innocenti", quindi promette di offrirlo al saraceno in cambio del suo impegno a rispettarla e a smettere di molestarla sessualmente; ovviamente è tutto un inganno e Isabella è consapevole che Rodomonte non terrà fede all'impegno, ma il suo scopo è solo indurre l'uomo a "sperimentare" la bontà dell'intruglio su di lei e per questo lo invita a colpirle il collo con la spada dopo che lei si sarà bagnata il collo con il preparato "miracoloso", ben sapendo che in tal modo morirà. Rodomonte esegue le istruzioni in modo sciocco e bestiale, sia per la sua naturale rozzezza sia per il troppo vino bevuto, per cui decapita la povera Isabella che muore invocando il nome dell'amato Zerbino e lasciando il saraceno preda di rabbia e rimorsi. Alla fine del passo Ariosto scioglie un inno solenne all'eroismo della giovane che si è sacrificata in nome della fedeltà al suo uomo, parlando di "atto incomparabile e stupendo" e paragonando Isabella alla matrona romana Lucrezia che si uccise dopo la violenza di Sesto Tarquinio, mentre Dio stabilisce che tutte le donne che porteranno il suo nome saranno un fulgido esempio di onestà e saggezza, a cominciare da Isabella d'Este Gonzaga duchessa di Mantova (l'episodio si ricollega al tema encomiastico del poema, in quanto Isabella era figlia del duca di Ferrara Ercole I d'Este). Il passo è importante perché il personaggio di Isabella si può accostare a quelli di Bradamante e Olimpia, entrambe pronte a lottare per il proprio uomo, e dimostra la grande varietà di figure femminili del poema, a sua volta espressione della rivalutazione della donna nella società rinascimentale (► SCHEDA: La figura femminile nel '500).
  • Numerosi i riferimenti a modelli letterari nel passo, tra cui l'espressione "usato orgoglio" in 9.4 che si rifà a Dante (Purg., II.126), come la citazione del "terzo cielo" (30.3) che rimanda al Paradiso (dove il cielo di Venere ospita gli spiriti "amanti"). Nell'ottava 27 l'autore enuncia il proposito di rendere immortale la fama di Isabella, invocando la capacità elogiativa della sua arte, e il passo riecheggia Aen., IX.446-50, in cui vi è la celebrazione della eroica morte di Eurialo e Niso (brano a sua volta imitato nell'episodio di Cloridano e Medoro; ► VAI AL TESTO).


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